venerdì 20 aprile 2012

Incognito

La letteratura, come qualsiasi attività umana, necessita di riconoscimento. L'appagamento dell'autoreferenziale fa capo a capacità critiche e risorse di autostima chiamate a superare la forza dirompente dell'ostracismo, l'arma sociale preferita nelle società umane che nemmeno le scimmie sono così crudeli da utilizzare. Puoi essere l'orologiaio più capace del mondo e non trovare non dico acquirenti per le tue sveglie, ma nemmeno esperti in materia disposti a fare pubbliche ammissioni. Ci vuole una grande forza interiore per fare a meno del riconoscimento pubblico, ufficiale, è rivoluzionario l'atteggiamento del fuori concorso, di chi non partecipa alla competizione perché non condivide le regole o denuncia la soggettività delle premiazioni. Perché se fai orologi puoi dimostrare che i tuoi sono più precisi, ma non puoi dimostrare nulla se scrivi, canti, reciti, fotografi, pensi, fai cultura.

È facile paragonare all'onanismo la pratica di chi non rivolge la sua produzione a un pubblico. È facile paragonare a facili costumi chi dà via la sua produzione gratuitamente. Il paragone col sesso è calzante: se lo fai per te stesso non va bene, se lo fai gratis al primo che passa non va bene, se lo fai a pagamento col primo che passa è già più accettabile, e in fondo è quello che fanno tutti coloro che hanno successo. È raro che qualcuno venga riconosciuto per un lavoro non espressamente finalizzato a gratificare un acquirente ben identificato, che sia l'adolescente con soldi in tasca per comprare canzoni d'amore, che sia il partito politico che vuole modificare i comportamenti sociali, che sia il cittadino medio che occupa una fascia di mercato lasciata scoperta. Se invece pensate davvero che la cultura sia un fiore spontaneo allora vi lascio tranquilli a brancolare nei dolci pascoli dell'ingenuità.

Prendete per esempio il testo di una canzone di un cantautore famoso, di quelli che gli danno le lauree honoris causa, che ogni tanto salta su qualcuno a dire che dovrebbero insegnarle a scuola. Sembra un testo fantastico, pieno di emozione e sentimento, di una profondità abissale in grado di far piangere i sassi, lo è fino a quando non immaginate che l'abbia scritto un liceale brufoloso sconosciuto, uno che si comporta male, dice le parolacce e fa il buffone. A quel punto ditemi che non andate in tilt. Non c'è il personaggio sul palco, vestito così, coi capelli così, il tatuaggio, il trucco, oppure con l'aria normale del bravo ragazzo, insomma non c'è materiale per dargli un riconoscimento ufficiale. Se il vostro cameriere scrivesse una poesia e ve la mostrasse voi lo guardereste come si guarda un cane finito sotto la macchina. La stessa poesia riportata in tv e sui giornali, citata da giornalisti e trasmessa alla radio diventa un capolavoro.

Non è colpa di nessuno. È così che funziona. Il pubblico, tranne rare eccezioni, non è in grado di giudicare da sé il valore di opere culturali. La gente si appoggia al riconoscimento ufficiale. Una volta questo riconoscimento veniva dall'alto, c'era un establishment, un'intellighenzia che decideva chi riconoscere. Nelle dittature venivano riconosciute solo opere grate al Partito, il resto era underground, era dissidenza, era rivoluzionari-reazionari che rischiavano galera, tortura, campi di rieducazione e condanne a morte. Adesso l'underground è diventato nazional-popolare, adesso il riconoscimento è dato dalle copie vendute e non dai premi della giuria, adesso sei scrittore perché il tuo libro è stato pubblicato, lo sei ancora di più se hai venduto tante copie. Adesso ci sono case discografiche, case editrici, vere e proprie industrie commerciali che non hanno nulla di culturale ma fanno un investimento sull'autore, analizzando le preferenze di mercato, programmando la sua carriera a tavolino, comprando la popolarità dell'autore adottato e inserito nella scuderia aziendale a suon di promozione e visibilità mediatica.

Ecco perché io ho scritto qui sul web, in questi anni, solo per mio figlio, per dimostrargli che non ho mai avuto paura di mostrarmi per quello che sono, che non ho niente da nascondere, mio figlio è il mio unico pubblico, l'unico pubblico che mi sia mai interessato. Ecco perché non me ne frega niente, in fondo, di essere riconosciuto dal mondo quando parlo del mondo, dell'economia, della filosofia, dell'arte, e me ne tornerò presto a farmi gli affari miei, a giocare a gw2, fare passeggiate, dedicarmi a hobby privati che non necessitano né aspirano ad alcun riconoscimento pubblico, tornerò a far finta che non esista questo baraccone mediatico e neppure i clienti che gli danno modo di funzionare. Perché anche l'amore ha bisogno di riconoscimento per esistere, non puoi dire di aver sperimentato l'amore se hai sempre e solo amato te stesso, perfino un dio non sarebbe tale senza qualcuno in grado di riconoscerlo come tale. Ma anche pretendere di essere dio è superbia, foss'anche dio a pretenderlo, il risultato è che siamo liberi, e per me essere libero e avere la capacità di rendermene conto è più che sufficiente, anche a costo di dover bastare a me stesso.


mercoledì 11 aprile 2012

Omeopatia

Premetto che io sono un deficiente. Come deficiente ho il diritto di dare del deficiente a chi mi pare, è come se un nano dà del piccoletto a qualcuno. Detto questo parto col dare del deficiente a tutti quanti. Se qualcuno vuole darmi del deficiente di rimando, tipo specchio riflesso all'asilo, per me va bene, non ho problemi a ritenermi un deficiente. A me piace sentirmi un deficiente, perché i deficienti ignorano, fischiettano camminando sotto i carichi sospesi e non gli cade mai in testa il pianoforte come nei cartoni animati, e se anche gli cade pazienza, non se ne sono accorti. Anch'io non voglio rendermi conto di niente, voglio essere un deficiente sereno e spensierato, che si gode le piccole cose e ha sempre il sorriso in tasca. Che non si sente responsabile di niente,anzi, gli altri si devono sentire responsabili di me, che sono solo un povero deficiente. Quindi se qualcuno vuole darmi del deficiente come io do del deficiente agli altri, si accomodi, sfonda una porta aperta.

A proposito di deficienti. All'inizio avevo il dubbio che l'impressione di un mondo pieno zeppo di deficienti fosse sbagliata. All'inizio pensavo fosse un problema mio, che vedevo deficienti ovunque, ero una specie di psicotico asociale meritevole solo di incappare nella sottile e crudele punizione sociale che si concretizza nella solitudine e nel senso di colpa: vai in un angolo e riflettici sopra, come si fa coi cani che hanno pisciato sul tappeto. Mi dicevo smettila di vedere deficienti ovunque, smettila di arrabbiarti per la sensazione sgradevole di avere a che fare solo con deficienti. Mi dicevo il mondo non è pieno di deficienti, è solo un effetto ottico deformante. Ragionavo: se davvero ci fosse pieno di deficienti la specie sarebbe estinta. Pregavo: dicevo liberaci dal male e intendevo liberaci dai deficienti, me compreso se è necessario, npon mi tiro indietro. Questo per far capire quanto mi spaventasse l'idea che ci fosse pieno di deficienti, un po' come essere sul pianeta delle scimmie. Cioè, lo siamo, intendo scimmie poco evolute. Cioè, in effetti lo siamo, scimmie molto poco evolute. Ok, come non detto, riparto dall'inizio.

All'inizio pensavo che la paranoia del ritenersi in balia dei deficienti fosse imputabile a media imbottiti di deficienti. Mi credevo che ci fosse pieno di persone intelligenti, solo che erano tenute fuori dal giro e imboccate con libri di merda, tv di merda, giornali di merda, politici di merda, gente di merda. Mi dicevo è una specie di tirannia dei deficienti che tiene in schiavitù una maggioranza di intelligenti a cui si impedisce di parlare e di fare. E con questa certezza illusoria e consolatoria ho tirato avanti parecchi decenni. Ero un deficiente contento, convinto di essere circondato da intelligenti nascosti nei cespugli, mascherati da deficienti. Una setta segreta di intelligenti stava organizzando la rivoluzione per liberarci dalla tirannia dei deficienti, era solo questione di portare pazienza, aspettare, dar modo agli eventi di realizzarsi. Un materialismo storico dove al posto dei poveri c'erano gli intelligenti, altrettanto numerosi a desiderosi di riscatto sociale. La fantascienza profetizzava energia gratis in abbondanza per tutti, immortalità, iperrazionalismo esasperato con picchi di amore per l'alveare, l'annichilimento dell'individuo che è come accettare di essere inutili replicabili deficienti corpi meccanici.

Un grande spot pubblicitario, una immensa campagna elettorale, dove trionfa l'ottimismo della ragione, dove nutrire fede nella scienza assicura un paradiso tecnologico alle future generazioni. Tutte balle, tutte stronzate. Bisogna essere deficienti per mettere in piedi una Storia che si svolge nel mondo come una fottuta narrazione dove è previsto un lieto fine alla disney per non deprimere consumatori e consumi. Meno male che sono un deficiente, pensa la sofferenza che implica essere intelligenti in un mondo di deficienti. Io voglio essere deficiente, di più, voglio essere più deficiente della media, voglio non capire un cazzo, non sapere un cazzo. Voglio mangiare dormire scopare ridere, una bella vita romantica con tanto di vecchiaia serena, con quella luce diffusa da vetro appannato che utilizzano nei film quando vogliono simulare la commozione. Voglio essere un deficiente che crede a tutto, a qualsiasi religione e all'ateismo, mi bevo tutto, dagli occhiali da sole firmati che mi fanno assomigliare all'attore famoso all'arrivo dei vulcaniani col motore a impulsi, mi bevo che un giorno saremo tutti uguali, la stessa faccia lo stesso destino, non esisteranno più i poveri e il pianeta distrutto si rivelerà una balla raccontata dal governo per farci stare buoni, come le brutte favole che si raccontano ai bambini deficienti, tutto quadra, infatti io sono un bambino deficiente, e anche tu.

All'inizio pensavo che la statistica fosse così, come una collina: tante persone intelligenti in cima e qualche deficiente giù in fondo, nella valle, dove c'è poco ossigeno. Poi ho riflettuto che di ossigeno c'è n'è meno ad alta quota. C'era qualcosa che non tornava, vuoi vedere, mi chiedevo ridendo per l'assurdità dell'ipotesi, che il mondo è veramente, davvero davvero, pieno zeppo di deficienti? Vuoi vedere che essere deficiente è la normalità? Ah, che sospiro di sollievo, allora io che sono deficiente vuol dire che sono normale. Che fortuna, pensa la sfiga se fossi intelligente, mi sentirei di merda in mezzo a milioni e milioni di deficienti. Per questo ci tengo moltissimo a essere un deficiente, se mi dai del deficiente ti ringrazio, ti rispondo almeno, speriamo, faccio il possibile. Perché la verità è che gli intelligenti sono pochi. Essere intelligente è come avere una grave malattia mentale, è come essere schizofrenici o cretini, la percentuale di intelligenti è la stessa di quelli che si credono napoleone, o che si credono molto intelligenti e invece sono deficienti nella media, la differenza è solo che gli intelligenti lo sono davvero, pensa che depressione se sei davvero intelligente e non ti crede nessuno, ti dicono sì sì, adesso prendi la pillolina e mettiti tranquillo.

A un certo punto è arrivato internet e ho capito che sbagliavo, i deficienti non erano solo dentro ai media, non era una dittatura dei deficienti. La cosa più importante di internet è che ha dimostrato al di là di ogni dubbio che il mondo è composto in stragrande maggioranza di deficienti. Siamo in balia dei deficienti, e io che stavo aspettando la rivoluzione dei superdotati, non nel senso di grandi cazzi, nel senso di intelligenti. Ho scoperto invece che sarebbe una dittatura qualora al potere ci fossero gli intelligenti, perché sono pochi. Se facessimo davvero che governa il più intelligente allora fanculo la democrazia, perché il voto significa che ha ragione la maggioranza e siccome la maggioranza è fatta di deficienti fai tu due più due, che io non ci arrivo, è troppo complicato per me. La statistica dice che sono molto pochi gli intelligenti e si tratta di una legge biologica, non dipende dall'istruzione obbligatoria o da quanto uno si sforza, sennò io adesso mi concentro e divento il gemello di brad pitt. Quei pochi intelligenti poi non stanno complottando un bel niente, se ne stanno zitti per mimetizzarsi meglio, per non dare nell'occhio, non assumersi responsabilità, non venire sbranati.

Gli intelligenti fanno l'unica cosa intelligente da fare: si arrendono alla realtà e pensano solo a sfruttare il sistema proprio come un deficiente qualsiasi, un furbetto qualsiasi, un ammanicato qualsiasi, un qualunque amico di amici in cerca di scambio di favori, perché alla fine l'intelligenza oggi è ininfluente, non conta, anzi, è un handicap perché il deficiente non si ferma di fronte a niente, è manipolabile e pronto a seguire la corrente. Al dunque servono attrezzi pesanti e uomini muscolosi in grado di eseguire lavoro materiale, armi potenti e uomini addestrati a usarle, oggi l'intelligenza si misura in quanti soldi hai e quanti sostenitori hai e che carriera hai fatto. L'intelligenza oggi si misura in popolarità e risultati economici, gli sponsor che hai alle spalle, come hai fatto a fregare qualcuno, come sei riuscito a vincere, soldi donne potere. E mi sono pure reso conto che è sempre stato così, nei secoli, al punto che i personaggi storici noti per la loro intelligenza ci sembrano animali dello zoo, matti strani che fan numeri da circo, attori scelti dallo sponsor per una campagna promozionale sull'intelligenza come prodotto di lusso: diventa anche tu un galileo con l'aiuto dei nostri prodotti culturali, con quel messaggio ingannevole tipico dei desideri irrealizzabili, compra il nostro prodotto e diventerai il cavaliere o la principessa delle favole. È un mondo in cui l'intelligenza è diluita fino alla disintegrazione, in omaggio al mito dell'omeopatia, e la persona intelligente si deve vergognare, deve sentirsi diversa, strana, deve stare attenta a dire delle pirlate ogni tanto, a fare il buffone, che qui si è tutti primi fra pari, qui siamo tutti uguali e chi è diverso viene emarginato, se va bene, eliminato se insiste a non volersi uniformare, e se vedi qualcuno bruciare non ti azzardi nemmeno a sputargli addosso perché magari se lo merita e rischi di essere accusato dalla folla di complicità con il bonzo.


giovedì 22 marzo 2012

Liberi di non esserlo

Come il giusto non è mai completo anche la libertà non mai assoluta. Dato un sistema di regole qualsiasi ci sarà sempre qualcuno che si sente fin troppo libero e chi si sente prigioniero. È un fenomeno sociale anch'esso paragonabile a eventi fisici, che obbediscono a leggi universali o comunque a vincoli di realtà. Anche parlare di libertà è spesso solo un modo per imporre un volere che si ritiene preferibile il linea di principio o per via delle finalità che si perseguono. Sono tante le parole chiave che simboleggiano l'assolutismo ideologico di un'epoca che ha fatto suo l'estremismo sentimentale e il fondamentalismo positivista, esplicitandoli all'interno di un'economia sviluppata per mezzo di un'impennata tecnologica unica e irripetibile, basata su risorse destinate a un rapido esaurimento. Questione di decenni e ci lasceremo alle spalle una parentesi durata più di due secoli. Tutto è collegato, non si può parlare di cultura come qualcosa che avviene al di fuori delle concrete situazioni esistenziali della popolazione, che ignora guerre, ideologie, invenzioni, redditi, diritti. E parlare di cultura significa anche parlare di libertà, se si ha la libertà di farlo.

Non si ha la libertà di parlare della libertà per tanti motivi: perché è una parola sequestrata da un partito politico o da un movimento eversivo, perché in un certo periodo storico o in un certo luogo geografico è una parola che viene associata a altre parole meno condivisibili tipo libertà sessuale, libertà dei mercati, libertà di movimento di merci e persone. La libertà è anch'esso un valore bifronte, una lama a doppio taglio, come il giusto di cui ho parlato qualche giorno fa e come tanti altri concetti che servono per dividere e non per unire, come quel tizio venuto a portare il fuoco sulla terra, no, non Prometeo, nemmeno un qualsiasi lucifer mitologico, quell'altro. La libertà è più complicata da gestire per via dei paradossi che genera fin dal principio, quando si discute fra il dire e il fare. Perché si può dichiarare che esiste la libertà di, che è lecito, che si può, ma non basta a impedire che ci sia paura a esercitarla, o se non paura convenienza, o preferenza per quieto vivere. È qui che si distingue una società libera da una che no, uno stato libero da uno che no.

Per esempio puoi garantire la libertà di pensarla come si vuole, di dire quello che si vuole, di credere in quel che si vuole. Grandissime libertà. Fondamentali per l'espressione completa di un essere umano. Eppure nei fatti queste libertà non esistono. Mai. Da nessuna parte. Non solo il mondo è ingiusto ma adesso salta fuori che la libertà è un'illusione. Nessuno è libero. Siamo solo liberi di crederci tali. Dove andremo a finire, signora mia? Che tempi viviamo! Non voglio nemmeno ascoltare certe sciocchezze, andiamo via. Prego, signora, l'uscita è da quella parte, liberissima di tapparsi le orecchie. Dicevo la libertà è solo di chi non si trova in condizione di doverla esercitare. Ti senti libero se ti esprimi con belati, hai le corna e sei circondato da caproni. Ti senti libero se sei biondo con gli occhi azzurri e sei circondato da svedesi. Ti senti libero se le tue opinioni, quello che pensi e quelli che hai la libertà di dire, coincide con quello che pensa e dice la gente attorno a te. Il giorno in cui tutti dicessero cose che ti irritano cominceresti a capire cosa significa libertà.

E fin qui non sarebbe nulla. Semplice dialettica, dialogo, confronto, amorevole fratellanza, convivenza pacifica. Se ti piace sgozzare galletti e imprigionare anime in vasi di terracotta invocando il baron samedì allora cominci a trovarti a disagio se ti trasferisci da un'isola dei caraibi in una cittadina texana dove si gira con speroni e pistole e si fa il barbecue tutte le domeniche. Ma d'altro canto che senso ha parlare di libertà se tutti la pensano allo stesso modo, fanno le stesse cose, nessuno si prende la libertà di. Per cui parliamo sempre di libertà relativa, di un certo grado di libertà, potenziale ed effettiva. Se qualcuno vi dice libertà come se dicesse una cosa infinita probabilmente si confonde con la prima volta che ha sperimentato l'orgasmo, sorridete a annuite fino a quando va a rompere le scatole a qualcun altro. Altro paradosso, stavolta a valle, della libertà, è che assume importanza in funzione di quanto poca si percepisca di averne. Come l'amore: più ne hai e più lo dai per scontato, più ti sembra inutile. Più ne dai e più ti sembra rubato, eccessivo, svalutato.

Invece in questi tempi di stupidità benestante il giusto, la libertà, l'amore sono oggettivizzati, reificati, svalutati dal materialismo come i giocattoli smontati e resi irreparabilmente inutilizzabili da un bambino curioso, per vedere come sono fatti dentro, come funzionano; se lo fai con una cosa viva poi non ti stupire se diventa fredda e morta. Se non lo fate ora non importa, ho tempo, posso aspettare, arriverà il giorno in cui mi darete ragione. Facciamo degli esempi. Quanta libertà se è necessario discriminare per dare lavoro a qualcuno? Discriminare intendo sia per motivi ideologici che economici. Per esempio non ottieni i finanziamenti pubblici perché passano dal partito al momento al potere. Oppure perché il pubblico non compra prodotti che lo identificano con una posizione politica: tipo il disco di un cantante impegnato che si è schierato a favore o contro un canditato alle presidenziali. E la libertà è un prezzo molto alto da pagare quando significa rifiutare di essere pagati per quel che si fa, e in molti casi lavorare si riduce a quello: venire pagati per cose in sé prive di valore.

Ma anche la possibilità di accoppiarsi è un valido incentivo a pensare le cose che ti fanno sentire libero e non quelle che ti fanno sentire strano. Dire le cose che ti procurano click sul tasto 'mi piace' da parte degli altri e non quelle che la gente inizia a far finta di non conoscerti. La libertà ha un prezzo altissimo, sempre, che può arrivare a dare la vita, a morirci sopra. Quei finali da morì povero ma felice, morì in prigione ma in pace con se stesso, venne torturato ma non rinnegò né una volta né tre. Di libertà se ne riempie la bocca chi si schiera dalla parte dove la libertà è gratuita, perché quelli che conoscono il prezzo della libertà autentica sanno che è un pessimo affare. Chi combatte per la libertà combatte per imporre la propria perché non esiste potere, istituzionale o emergente dalla coercizione della maggioranza, che non sia illiberale. Non è un discorso anarchico, l'anarchia tratta la libertà come l'ateismo tratta dio: escludendolo, squalificando l'interlocutore, ignorando il problema.







[Da qui si può smettere di leggere.]





Nel paese in cui sono nato e in cui vivo, per fare un esempio che conosco ma anche altrove è la stessa cosa, anche peggio, è la società umana che è fatta così, dal branco di primitivi che vivono nelle grotte ai giaccacravatta sempre in riunione a commentare grafici. Nel paese in cui vivo non esiste una destra di stampo anglosassone, perfino il termine 'destra' è offensivo. Di conseguenza tutto ciò che non è considerato di sinistra diventa automaticamente sospetto, brutto, malvagio. Un clima dove la mancanza di libertà si misura in quanti si dichiarano di sinistra, tantissimi, e quanti di destra, nessuno. Siamo pieni di attori, cantanti, scrittori, giornalisti, presentatori, calciatori, comici, musicisti, registi, professori, scienziati, industriali, sociologi, medici, tutti di sinistra o la massimo di centro, cattolici moderati, liberali riformisti. Di destra? Nessuno. Solo quelli iscritti a qualche partito che si richiama a valori della destra socialista del primo '900 che non sanno fare altro e prendono abbastanza soldi da sopportare la valanga di merda che si tirano addosso ogni volta che aprono bocca. Eppure siamo un paese libero. In Italia ci vantiamo di essere il paese più libero del mondo. Scommetto che anche i cubani si ritengono liberi in uno stato libero, una parte di essi, magari quelli che lavorano per il Leader Maximo, il Migliore, e vedono Cuba come un'isola con le fantastiche cadillac color pastello, la musica, i sigari, il rum e le belle ragazze: un paradiso per l'uomo con le palle, vedi alla voce Hemingway. Nei fatti Cuba è una dittatura dove la libertà, quella consentita e soprattutto quella esercitata, è pochissima. C'è gente che in Italia si sente libera allo stesso modo dei cubani, conformandosi al sistema, aderendo alle aspettative, non accettando di farsi spada che divide per farsi testimone vivente di una scelta di vita che va oltre, mira all'eterno, vuole dare significato a un'esistenza che non viene ridotta al quotidiano e al materiale. Non sto dicendo che sia sbagliato essere di sinistra, sto dicendo che dove non esiste la destra (la destra liberista di stampo anglosassone, non la destra televisiva della piccola borghesia, non la destra sociale del fascismo e del nazismo) è pretenzioso fingere di vivere in un paese libero. Da noi qualsiasi argomento non di sinistra viene utilizzato per etichettare di 'destra' chi lo esprime e per disprezzarlo e deriderlo come persona. Si prendono le singole persone e se ne fanno macchiette, si va a scavare nella vita privata per dimostrare che chi ha detto quella cosa di destra è una persona orribile. Al contrario se emerge qualcosa a carico di una persona di sinistra ci si volta dall'altra parte, si perdona, si inventano giustificazioni, si ribaltano le accuse facendo insinuazioni. Capite che ambientino? Uno appena appena furbo secondo voi cosa fa? Uno che vuole fare carriera da che parte si mette? Rischia di beccarsi una pistolettata nella gambe per aver firmato un articolo? Di venire ammazzato per strada per essere stato consulente di un Ministero? Esagero? Andiamo ancora più nel dettaglio: se dici troppe tasse fai demagogia perché le tasse sono belle e la colpa è degli evasori. L'immigrazione è un problema? Sei razzista, gli immigrati ci servono, fanno lavori che noi no, fanno figli che noi no. Statalismo? Sei anarchico, neoliberista, non ami l'Italia che i partigiani sono morti evviva Garibaldi. Aziende pubbliche? Finanziamenti pubblici? Vuoi la privatizzazione selvaggia, vuoi togliere diritti al popolo. I servizi pubblici sono costosi e di infima qualità? Servono più soldi, lo stato deve investire di più, è colpa dei tagli orizzontali. Il mercato è soffocato dalla burocrazia? Vuoi il far west nell'economia. I tempi e i modi della giustizia sono da terzo mondo? Attacchi la magistratura. Terrorismo rosso? Colpa dei servizi segreti deviati e della P2. Questioni etiche morali come aborto famiglia eutanasia? Sei un bigotto cattopirla baciapile amico dei preti pedofili, oppure un berlusconiano puttaniere corruttore padrone del vapore. Troppo debito pubblico? Colpa di agenzie rating e speculatori che ci hanno messo sotto attacco. Troppa inflazione? Colpa della finanza e dell'Europa dei banchieri che ci hanno messo nei pigs. La crisi economica? Colpa di wall street e di Bush. Troppa spesa pubblica improduttiva? Vuoi togliere il pane di bocca a chi non arriva a fine mese. Israele? Palestina! Usa? Imperialismo, individualismo egoista, luogo infernale dove il capitalismo fa morire di fame i poveri per strada e i malati senza soldi non vengono curati. Polizia? Assassini, fanatici delle armi incapaci di ribellarsi al potere. Questo è un paese libero, figurati se non lo fosse. Sentiamo, sei libero di scegliere di tirarti addosso i romani e i farisei, vivere tutta la tua vita isolato, solo tu e la tua cazzo di libertà, oppure puoi farti i cazzi tuoi, se proprio non vuoi partecipare cerca almeno evitare di metterti di traverso, pensa a fare soldi costruendo mobili nella falegnameria di papà e andare a pescare con gli amici nel weekend, cosa fai? In Italia, oggi, tu, che ti credi tanto libero, quanto facile ti viene esserlo? Quante opinioni non di sinistra hai? Non che me ne freghi, a me la politica fa schifo, tutta, ma non posso parlare di libertà così, sui generis, senza entrare nel merito per paura che sennò magari a qualche militante fanatico gli va il sangue alla testa e la bava alla bocca.

martedì 13 marzo 2012

giusto per ogni x compreso tra

Giusto in matematica significa il risultato cercato, l'unico valido. Quando fai finta che la morale sia un sottoprodotto della logica, a sua volta proiezione di un metodo scientifico, dentro un complesso teoretico di assolutismo razionale, a quel punto ci si è spinti troppo oltre, è andato perduto il contatto con la realtà. Si tratta di una deriva intellettuale positivista molto in voga da parecchi anni, un incubo a occhi aperti di conformismo imposto dalla scienza che attraversa tutte le espressioni della vita umana, intacca la sfera ludica e quella lavorativa, il privato e il sociale. La delimitazione del campo di una variabile nel caso dei valori, in questo caso la giustizia, declinata in equità, solidarietà, uguaglianza, non viene applicato. La matematica non muta il campo di applicabilità di un teorema a seconda di convenienza o consenso, non viene deciso a maggioranza se le rette sono parallele solo in un piano euclideo. Nel campo morale invece non esistono valori che sono tali o meno a seconda del punto di vista: pensate al cannibalismo, all'incesto, passate alla presunzione di innocenza e alla non imputabilità dei minori. Quando uno scienziato vi parla di giusto e sbagliato in termini indiscutibili, come se stesse parlando dei buchi neri o della termodinamica, mettetevi a urlare e scappate, oppure sorridete e fate finta di niente che tanto prima o poi si muore tutti lo stesso.

La democrazia moderna invece si basa esattamente su questi due principi cardine in concorrenza fra di loro: il consenso e la maggioranza. Per avere consenso devi dare dei diritti, ovvero dei soldi, perché di solito i diritti implicano spendere soldi per garantirli. La maggioranza è di per sé ingiusto come principio generale per ottimizzare un processo decisionale: il fatto che lo vogliano in tanti significa solo che sono in tanti a desiderare che vengano spesi soldi per garantire questo o quel diritto. Il diritto alla salute implica un costo, lo stesso la scuola, la sicurezza, l'aria pulita, produrre e consumare, tutto ha un costo e qualcuno lo deve pagare. Qui scatta l'inghippo che porta al fallimento: sono i ricchi che devono pagare. Logico, se uno è povero con cosa paga che non ha un manco un tollino bucato in saccoccia? Se servono soldi li vai a prendere a chi li ha. E quando dico soldi intendo risorse materiali. Immaginate un paese povero dove non esistono industrie ma solo coltivazione e allevamento, perché no? Forse non può esistere la giustizia in un paese povero? Certo che può, a patto che il livello dei servizi garantiti dallo stato per diritto siano di pessimo livello. I soldi li vai a prendere ai ricchi, a chi coltiva e alleva. La matematica stessa dice che esiste un punto in cui conviene non coltivare e non allevare perché ti girano i coglioni quando tu ti stai ammazzando di lavoro e quando vai al bar vedi uno che campa di sussidi statali e manco ti ringrazia, anzi, ti insulta.

Abbiamo dunque la democrazia come sistema di governo di lusso, per paesi ricchi, dove si prendono i soldi dei ricchi per garantire dei diritti. Sembra una forma di altruismo legalizzata ma non lo è. Si tratta di uno scambio: i ricchi pagano la pace sociale, è un contratto. Pagano le forze dell'ordine e la magistratura, che sia la masnada del feudatario o i corpi speciali del presidente, per vivere sicuri e tranquilli. Pagano la scuola pubblica perché si pensa che gli stupidi, se li istruisci e gli dai la paghetta settimanale, si convinceranno di essere dei nobili geniali e si comporteranno come si deve, tranne il venerdì sera, che si devono pur sfogare. È qui che si comincia a comprendere il meccanismo delle democrazie socialiste. Sono socialiste a prescindere che permettano o meno la proprietà privata, il profitto, l'interesse sul capitale. Sono socialiste a prescindere che utilizzino le elezioni per scegliere i governanti o ci sia un principe, un dittatore, un generale, un presidente. Sono socialiste quando garantiscono servizi pubblici, quando utilizzano un metodo progressivo di imposta, quando sfruttano il consenso per andare al potere e poi si trovano obbligati a garantire diritti costosi trovandosi di fronte al un bivio: o li garantisci a un livello scadente o li finanzi, con inflazione e svalutazione o con debito pubblico che grava sulle future generazioni. Non è difficile da capire, non so perché nessuno si decide a parlarne, forse si aspetta che finisca il petrolio, che i bilanci statali esplodano, non saprei.

Ricapitoliamo. Ogni diritto ha un costo che nei paesi poveri implica servizi di livello scadente o deficit di bilancio statale. La democrazia è uno strumento che necessita consenso e il consenso si ottiene combattendo per il riconoscimento di nuovi diritti, sempre più costosi, dal diritto di parola al diritto alla casa, dal diritto di protesta al reddito erogato dallo Stato a tutti i cittadini in possesso dei requisiti. Si passa da tasse pagate dai contribuenti in cambio di un servizio, per quanto scadente, quale può essere la polizia o le fognature, una vaccinazione obbligatoria o un ponte, a tasse pagate per cose 'giuste' di per sé. Si passa un valore di convenienza oltre il quale è preferibile essere poveri, essere dalla parte di coloro che non si addossano il peso economico dell'intera faccenda, e il circolo vizioso del socialismo si manifesta in odio verso chi è ricco perché 'non è giusto' e amore verso chi è povero, verso nuovi diritti premianti/punitivi nei confronti di chi non rientra nei parametri del valore medio, della mediocrità. Qui c'è il confine, qui finisce il campo entro il quale ha significato il teorema del giusto e sbagliato. Fino a quando il paese è abbastanza ricco per potersi permettere livelli crescenti di politiche socialiste va tutto bene. Va bene se ha pozzi di petrolio, industrie che esportano, miniere, foreste, poca popolazione in rapporto alle risorse disponibili sul territorio. Altrimenti inizia a impoverire sistematicamente i ricchi, che nel caso dei ricchi di un paese povero sono i poveri di un pese ricco, e qui parte il confronto tra Stati, perché se non è giusto all'interno dei confini nazionali, perché dovrebbe esserlo tra europei e africani, tra asiatici e americani?

Per cui teniamo presente il lato economico nelle discussioni politiche. Il giusto e lo sbagliato di per sé non significano niente. Il mondo intero è sbagliato. L'universo è sbagliato. Dio è insensibile e non risponde alle preghiere, non fa più miracoli e se ne frega del povero Giobbe. Muore l'eroe e l'empio campa mill'anni. Da decenni la febbre positivista illude i suoi discepoli riguardo alla possibilità di un mondo più giusto, sempre più giusto, in compagnia di un'economia delle risorse infinite che promette un mondo sempre più ricco, una medicina col miraggio di un mondo sempre più sano. C'è questa curva iperbolica della fede in promesse vane che è così romantica da commuovere i più ingenui, sempre alla ricerca di consolazioni nel mondo reale, di progetti in grado di sconfiggere la soggezione che si prova di fronte all'autorità invisibile e insensibile dell'universo panteista, ma post-spinoziano, un new age da natura matrigna, la disperazione di un orfano vendicativo alla ricerca dei veri genitori, come i protagonisti dei cartoni animati giapponesi, delle favole ottocentesche, dei racconti educativi e della trame da film che si trascinano a conclusione di quest'epoca agli sgoccioli, questo capitolo della cultura a cui restano pochi decenni di vita. Da oggi cercate di tenerlo presente, se ci riuscite, mentre venite bombardati dai media e fate tutto quello che ci si aspetta da voi, mentre vi fate venire l'acquolina davanti alla pubblicità e accettate di avere le reazioni emotive previste dal comiziante indignato in vena di omelie elettorali, quando sognate dentro a un libro o a un film e poi odiate lo specchio per settimane intere.


(Geronimo, capo di una tribù Apache, a bordo di una Locomobile Model C, nel 1904. Geronimo è quello al volante.)

lunedì 5 marzo 2012

parola aramaica che significa frantoio

Certi intellettuali, moderni tribuni che sfogliano un manuale studiato all'università come se fosse il codice civile del gusto, inquisitori evoluti il cui testo sacro è un compendio di regole che vanno per la maggiore. Certi intellettuali, soldati in guerra per la conquista del senso critico così dediti alla causa da essere pronti a sacrificare il buon gusto. Poi vedi lo scrittore che insulta il cantautore nel giorno del suo funerale e al contrario vedi l'attore che esalta il pittore anche se l'ha sempre detestato, sguazzando nella pantomima, la scena madre del comportamento adeguato. Certi intellettuali piromani che sfruttano l'effetto incidente, dove al posto del corpo da estrarre dai rottami fumanti dell'autovettura c'è un autore che guarda fuori dalla finestra, prigioniero di un'opera data alle fiamme.

Perché oggi nessuno si ferma a guardare un bel gesto, nessuno applaude l'eccelso, nessuno è alla ricerca del bello e del buono, no, è considerato ingenuo, infantile, poco realista, atto pusillanime di chi non vuole accettare un mondo schifoso, le realtà depressiva, un mondo da odiare. Se non ti arrabbi sei complice dei pochi che stanno bene e se ne fregano dei molti che stanno male. Se punti il dito per esaltare e non per indicare la posizione del nemico, allora sei un agente del male che inganna e illude sulla durezza della vita e la malvagità umana. Un ambiente ideologico dove solo il potere è in grado di salvarci, punendo il male, abbattendo coloro che non combattono al fianco degli eroi protagonisti di una storia-avventura marxista-holliwodiana, i ribelli, i bastian contrari, i protagonisti di storie che vendono milioni di copie.

Si devono scartare le opere belle, le opere così così, si devono trovare le opere brutte e darsi da fare su quelle, in modo che il pubblico si fermi a buttare monetine nel cappello, metta una firma, dedichi cinque minuti di tempo prezioso, faccia audience, clicchi, non cambi canale, per la possibilità di osservare nascosti dietro un cespuglio, un monitor, un foglio di giornale, ci si goda lo spettacolo di un peccatore che paga per i suoi peccati, un brutto che viene deriso dal comico o spiegato dallo scienziato o rimproverato da un cavaliere protettore dell'estetica. Persone intente a litigare fra di loro su tutto, dando importanza a sciocchezze solo per un questione di principio, di partito preso, sfacciati per non rimetterci la faccia, in un duello di insulti legittimi combattuto fino all'ultimo brandello di reputazione.

E chi critica il critico passa dalla parte del torto, perché ci si appella alla libertà, al diritto. Chi critica il critico diventa l'avvocato difensore della vittima sacrificale, dell'imputato, della strega, del capro espiatorio del giorno. Il pubblico si emoziona quando entra in gioco l'avvocato difensore, è come vedere qualcuno che si mette tra i leoni e i cristiani. Spesso è la vittima stessa che cerca di difendersi, col critico che si finge dispiaciuto e fa l'occhiolino al pubblico, come dire povero autore, mi fa pena, non voglio infierire. Quando salta su un avvocato difensore invece si può parteggiare, fare il tifo, innocentisti e colpevolisti, buoni e cattivi, nel solito gioco delle parti che ti sembra la norma per via che chiunque lo trova insopportabile non lo può contestare senza entrare a farne parte, e allora si allontana, sta zitto, così che sembri normale allo spettatore che al mondo non esista niente all'infuori dello scontro tra le parti in causa.

Questo è il grande inganno del conformismo sociale, oggi si fa in televisione quel che si faceva al Colosseo. Cambiano i contenuti, cambiano i supporti mediatici, ma non cambia l'essere umano, che sia preso singolarmente o in logiche di gruppo. Ci sono periodi in cui si cercano le cose belle per stare bene e periodi in cui si cercano cose brutte per stare male. Perché si gode a star male e si gode a far star male gli altri, si gode a trasformare un gesto violento in un atto di giustizia, come gli occhi spalancati e i grandi sorrisi della folla che assiste alle impiccagioni in piazza. Si è tutti bambini, bambini che giocano a fare i grandi. E fin qui si può dire è così, non importa, faccio finta di niente, ma dall'altra parte quando trovi uno che si appassiona a qualcosa che reputa bella, di cui ti elenca i pregi, che ti consiglia di provare, ti chiede di avere fiducia, ti invita a lasciare tutto e seguirlo, ecco che sospetti il marketing, la truffa, perché nessuno fa niente per niente, la propaganda e le campagne promozionali.

Non c'è più niente di bello e solo del brutto si può esser sicuri. Non c'è più niente di buono che non si ottenga punendo il cattivo. Ecco perché è così importante proteggere con tutte le proprie forze, per impedire che si spenga la piccola fiammella di virtù che da qualche parte tutti noi dobbiamo pur avere, o aver avuto. A volte succede che sia faticoso convincersi che non sia futile e viene voglia di ritirarsi nella pace relativa della solitudine, a parlare da soli o con chissà chi. A volte si prende nota del fallimento di condotte davvero anticonformiste, che sono tali non perché vogliono cambiare qualcosa ma perché aspirano a non cambiare, al paradosso del far parte di una comunità alla quale non sentiamo di appartenere, e a quel punto soffriamo davvero la mancanza di un amore qualunque, anche provvisorio, fittizio, mercificato, perché immergersi nella realtà, rendersi concreti, non è comunque sufficiente a placare il bisogno di appartenere a qualcosa di più grande di noi, di guardare in alto, lontano. 




venerdì 24 febbraio 2012

dire cose positive su internet

Posso dire cose positive su internet. In mezzo alle tante cose negative collegate a chi lo utilizza come strumento per raggiungere finalità criminali con mezzi innovativi, diversi dal puntare in faccia una pistola a qualcuno, sabotare la concorrenza, scogliere nell'acido i figli di chi tradisce la cosca. Per bruciare la biblioteca di Alessandria oggi ti basta togliere la corrente o usare un potente magnete, tutti gli archivi di internet sono destinati a sparire, anche solo per sopravvenuta obsolescenza. Posso dire anche cose positive, che è raro e piacevole incontrare qualcuno che non ti rovescia addosso ansia e terrore di questi tempi, ogni fonte d'informazione che campa sul sensazionalismo non vede l'ora di farti venire voglia di chiuderti in casa, sederti in un angolo buio, abbracciarti le ginocchia, dondolarti e bofonchiare preghiere che rimarranno inascoltate o maledizioni dirette a sospetti colpevoli. Cose positive, ottimismo, buonumore, il sonno della ragione, la luce della ragione, il grande amore, le piccole cose. C'è il sole oggi, tra un mese è primavera, facciamo discorsi piacevoli.

Per esempio internet permette di rispondere ai grandi fratelli che forgiano il pensiero unico modellando opinioni dominanti, rovistando la broda nel grande calderona junghiano del sapere ancestrale. Jung ha ipotizzato, senza saperlo, questa internet fatta di entità mentali che si connettono agli archetipi durante il sonno, la trance, l'esperienza mistica. Per esempio su Facebook posso rifiutare le pubblicità, dicendo perché. Posso esprimere un parere vincolante sulla cultura costruita, diffusa, espressa tramite la pubblicità. Posso oppormi al potere devastante del marketing, uno dei tanti dei del moderno pantheon dove mercurio è il culto della velocità, giunone la lussuria, venere l'estetica, giove la scienza, marte la virilità e via dicendo. Non è cambiato niente, questa faccenda del viviamo in un mondo nuovo è una truffa, è sempre il solito vecchio mondo, la solita vecchia gente.

Ma dicevo rifiutare la pubblicità, dire perché non vuoi ricevere specifici messaggi, Facebook ti offre un elenco: poco interessante, fuorviante, contenuti sessualmente espliciti, è contro le mie opinioni, contenuti offensivi, ridondante. Poter dire a qualcuno tu dici cose che non condivido, tu sei fuorviante. Ah, che soddisfazione. Ricevo pubblicità di ogni tipo: medicinali scontati canadesi, attrezzi per allargare il pene, gioco d'azzardo, prodotti per la forfora, giochini che creano dipendenza, orologi di lusso scontati, dentisti ungheresi, provini per lanciare i bambini nel mondo dello spettacolo. Senza contare gli avvisi falsi di banche, poste, siti di aste, ebay, amazon, paypal, tutta roba falsa, per mandarmi a inserire i miei dati su siti contraffatti. E lettere di ragazze che vogliono conoscermi meglio, dirigenti africani disonesti che vogliono esportare clandestinamente lingotti d'oro, madri vedove che chiedono soldi per scaldarsi nel rigido inverno nordico, tutta roba falsa. Ma posso dire cose positive di internet, tipo punire i pubblicitari con un click, da questo momento sei nella mia lista nera e non potrai mai più molestarmi con le tue allettanti profferte e sai perché, perché ho trovato la tua inserzione poco interessante. In una di queste hanno usato la faccia di uno degli attentatori delle torri gemelle, per dire, e a questa che motivazione si può dare alla propria censura individuale?

Posso dire cose positive di internet anche riguardo alla scienza. Qualcuno ha finanziato degli scienziati per dimostrare il limite di velocità della luce. Come dire ragazzi potete dire e=mc2 o che sono possibili le macchine del tempo. Nel secondo caso ci vorranno ulteriori investimenti, esperimenti, verifiche, gente che continua a giocare allo scienziato spesato da chi, non lo so, forse dai contribuenti, dai clienti ignari di industrie interessate, da filantropi che vogliono essere sepolti in orbita perché adorano la scienza, soprattutto a fumetti che hanno fatto la felicità di un'infanzia per altri versi orribile. Un po' come fare beneficenza con i soldi altrui, ci si sente bene senza retrogusti amarognoli. È come la pubblicità, la fanno a spese nostre senza consultarci e ce la tirano addosso come gli pare e piace. Come le armi e lo spedire tizi vestiti da omini michelin sulla luna. Alla fine noi subiamo e basta, ma con internet almeno puoi approfondire la notizia data in pompa magna da governo come sponsor ufficiale e dai media compiacenti, che campano di soldi pubblici e amicizie faziose in partiti a loro volta sovvenzionati dalle tasse, che regalano copie, in bilico sul macero, megafoni della guerra di opinioni che ci tiene distratti, la dialettica degli schieramenti sui cui si fonda la democrazia. Ebbene puoi approfondire la notizia con internet, non ti tocca limitarti al parere ufficiale di un giornalista qualunque che diventa famoso in base alle volte che appare sui media, più fai presenza e più diventi autorevole, come i presentatori televisivi che nelle pause ti consigliano quale prosciutto mangiare e su quale divano sederti, i commercianti al mercato che gridano la freschezza del pesce, le puttane sulla statale.





[punto in cui si deve smettere di leggere, da qui in poi vado a braccio e fuori tema]



Cose positive su internet, ne ho da dire, anche su chi ci vuole guadagnare e non è Facebook, è uno qualunque che mette Adsense di Google, scrive cose provocatorie, mette foto di persone nude, anche foto vecchie in bianco e nero di nudisti postatomici, per dire, o il quadro l'origine del mondo, fanno i furbi, c'è pieno di furbetti su internet ma ho detto che oggi c'è il sole e che dirò cose positive su internet. Puoi leggere articoli di stampa straniera, è una cosa positiva, c'è perfino il modo di tradurla al volo se non conosci l'inglese. È molto utile avere accesso alla stampa straniera quando il tuo paese è 64° nella classifica della libertà di stampa, quando vivi in una dittatura, quando ti viene il dubbio che tutte le tue opinioni siano state prodotte da un'intellighenzia colpevolmente disonesta o ingenuamente stupida, complice di una nomenclatura obsoleta agli ordini di una classe dirigente irresponsabile, incapace e inadeguata all'esercizio del potere. Magari ti viene da chiederti, se leggi quello che scrivono persone straniere intelligenti, colte, responsabili, oneste, dico magari ti fai delle domandi, abbandoni la spocchia tipica di chi crede di sapere tutto lui perché c'ha dietro un apparatchik che gli fornisce le risposte da dare per vincere le battaglie elettorali. Perché mettetevi nei panni di uno che vuole vincere, diventare importante, finire nei libri di storia, avere la possibilità di indirizzare grosse quantità di denaro, il tutto ammantandosi dell'aura del salvatore, del messia apparso sulla scena politica per portare giustizia in questo mondo corrotto, benessere ai poveri, salute ai malati. Immaginatevi una vita di privilegi, benefit, milioni nelle casse del partito, portaborse. Immaginatevi che uscite a dire che non ce n'è abbastanza per tutti, che la vita è dura. Perdete, non vi vota nessuno. Dovete dire cose positive, che risolverete la crisi energetica e sconfiggerete il cancro. Dovete fare come certi nonni che arrivano con pennarelli, tric e trac, giocattoli vietati e cattive abitudini, che quando se ne vanno i figli attaccano con i paragoni e le domande sul perché si deve obbedire ai genitori, fino a che punto si deve sopportare tutto questo. Su internet ci sono anche siti di populisti, a bizzeffe, di complottisti, di estremisti, vale come per la pubblicità, lo spam, la scienza, tutto quanto. Ma se uno deve dire cose positive ci sono anche i libri e i film stranieri che rimarrebbero inaccessibili senza la pirateria del p2p, non bisogna vietarla, è come i film di Rambo, se non fosse arrivato Rocky a gridare Adriana nei nostri cinema, Swarzy terminator, Alien, non dico che parleremmo russo e ci saluteremmo col pungo alzato e ci daremmo del tovarich a vicenda strimpellando la balalaika, ma la musica americana, la letteratura americana, il sogno americano, l'etica del capitalismo protestante, pensate che la gente faccia la fila per comprarsele? Pensate che i governi non vedano l'ora di importare idee rivoluzionarie? No, piuttosto tendono a bloccare ogni diffusione di cultura potenzialmente dannosa per la propria parte politica. Una cosa positiva di internet alla fine è anche la pirateria, essì, dico una cosa un po' così, che alla mia età non sta bene, la diffusione non selezionata da editori politicizzati o comunque polizia ideologica, distribuzione gratuita di cultura, anche se poca, anche se in bottiglie gettate a mare e affidate alle correnti, anche se mischiata a tanta pornografia violenza attività ludica propaganda. Per esempio il neo cardinale di New York, Timothy, ha consigliato un film con Martin Sheen durante il suo discorso al concistoro, il film 'The way', che magari un giorno lo guarderò e ne parlerò, fatto sta che in Italia non si trova, perché uno dovrebbe passare giorni e giorni a cercare un modo per pagarne la visione quando con internet ce l'ha in lingua originale sottotitolato entro sera? O rinuncia o delinque. La soluzione è impedirgli di vederlo o fargli pagare un paio di dollari dopo che ne ha visto mezzo per capire se vale la spesa? Oppure si può dare la colpa a sua eminenza che l'ha consigliato, insinuare che sapesse che qui non è disponibile e che quindi avrebbe incentivato la prateria digitale, accusarlo di istigazione a delinquere come si fa con i siti che pubblicano i torrent. Facciamo tintinnare le manette, istituiamo tribunali speciali, sguinzagliamo i dobermann, creiamo club esclusivo di tecnofili, creiamo un monopolio e otteniamo tutte le esclusive. Se uno compra il diritto di guardarlo poi lo può prestare a qualcuno? Lo può guardare assieme a qualcuno che non ha pagato? La guerra per il diritto d'autore su internet è persa in partenza, non c'è chiave hardware o mercato chiuso che tenga, come gli store digitali che ti chiedono la carta di credito e se gliela dai te li sposi a vita, come gli occhialini 3D per impedire che la gente registri con la videocamera e lo metta in rete. Ops, sono andato lungo, mi son distratto perché è partito un pezzo in cuffia da otto minuti. Per dire che lo so che la pirateria su internet è sbagliata perché non finanzia i produttori di contenuti (oltre all'industria che campa sulla edizione e promozione e distribuzione nel mercato pre-internet), ma la questione del chi seleziona e chi promuove e chi fa da mecenate (paga i conti) va oltre la giurisprudenza e interessa la cultura come motore per il progresso spirituale (nel senso di non materiale) dell'umanità intera. Pagare per vedere la pietà di Michelangelo, per guardare gli appunti di Leonardo, per leggere le riflessioni di un intellettuale ha senso perché anche Michelangelo e Leonardo devono mangiare e pagare le bollette, ma ha meno senso se servono al suo manager per svernare alle Bahamas o per dare lavoro a certi travet e passacarte che con internet non hanno più motivo di esistere. Il business dell'intrattenimento non paga più come una volta, lo star system cigola da tutte le parti, a furia di chirurgia estetica si finisce per assomiglia sempre di più al mostro che ci si porta nascosto dentro.


martedì 14 febbraio 2012

End of trasmission.

Col passare degli anni si scoprono diverse cose, nessuna delle quali piacevoli. Una delle cose che si scoprono con l'età è che non si può anticipare la conoscenza, trasmettere la sapienza, capitalizzare la saggezza. L'esperienza può assumere diversi significati: ripetere un esperimento di persona e verificarne gli esiti previsti, vivere un accadimento sulla propria pelle per comprendere il 'cosa si prova a' (nei film romantici è un lait motiv il 'tu non sai cosa sto provando' - 'e invece lo so perché anch'io una volta' - 'baciamoci sposiamoci facciamo tanti bambini'), oppure un avere il tempo di ragionare e giungere a conclusioni che ci rendono capaci di giudizi più corretti, più giusti, più umani. Una delle rivelazioni fondamentali che si conquistano invecchiando è che ci si sbaglia quando si crede di aver capito, che col tempo si resta fregati dal noi stesso più giovane che credeva di aver capito tutto e invece adesso si scopre che non aveva capito niente. Questo tipo di esperienza è diversa da quelle elencate prima, è un esperienza che non facciamo ma ci viene fatta, è un'esperienza che attraverso di noi viene a esistere dentro di noi, si nutre della nostra vita per trasformarci.

La scienza può indurre a pensare che l'esperienza sia qualcosa di trasmissibile per via genetica o culturale. Ci sono persone immerse in un'ipotetica realtà oggettiva dove tutto è materia e pertanto analizzabile, spiegabile, modellabile, digeribile. In questa fede cieca di un mondo che si esaurisce nel macinare l'ignoto con la mente per renderlo scibile, un sapere meccanicistico paragonabile al presente che macina futuro rendendolo passato, tutto diventa archiviabile, consultabile, intellegibile a priori. La vita come materia scolastica dove non ti serve averla combattuta per sapere cos'è la guerra, non ti serve averne esperienza al di fuori di un ambito intellettuale. Di questi tempi c'è la seccante tendenza a dare ogni cosa per appresa, interiorizzata, superata, in uno slancio verso il nuovo, il non ancora sperimentato da nessuno, terre inesplorate, invenzioni, ricerche, che se negli anni '60 era un modo simpatico di fare gli eccentrici oggi è insistere a dare capocciate al muro in un vicolo cieco.

Trasmettere geni ai figli non è come trasmettere esperienza. Tramandare riti, nozioni, esempi, proverbi, raccomandazioni, leggi morali, non permette alle nuove generazioni di nascere imparate, di poter fare a meno di esperire, sbagliare, rendersi conto delle proprie mancanze. Non è possibile far tendere l'umanità a una situazione dove l'esperienza escluda tutto ciò che è già stato esperito da altri in precedenza. La vita non è un teorema, che da quando l'ha dimostrato un matematico del passato noi lo diamo per scontato. Anche pretendere dai figli che la loro conoscenza profonda della vita e del mondo parta dall'accumulo di esperienza fatta dai padri è una forma di violenza. Sapere con la mente non è come sapere col corpo. Tirare una linea fra ciò che sapiamo con la mente ma non abbiamo intenzione di sapere anche con il corpo è il fondamento della coscienza: so cosa mi potrebbe capitare se deciderò di fare quella esperienza e decido liberamente di conseguenza. I padri possono solo mettere in guardia, non possono impedire ai figli di commettere i loro stessi errori.

Sapere anche con il corpo è una delle cose che avvengono con l'età. Magari ti è morto il cane che eri piccolo e per decenni l'hai saputo con la mente, è un ricordo, un'esperienza intellettuale che però effettui con il corpo chissà quanto tempo dopo. Ti svegli una mattina e mentre pensi a tutt'altro ti ritrovi a sentire, a capire, a provare l'esperienza di quel lutto o il dolore per quella volta che ti han preso in giro o che hai perso o che sei stato respinto. Così come quella volta che hai avuto fortuna, hai ricevuto un regalo o una cortesia, hai trovato qualcosa. Non esiste un modo per evitare il processo cognitivo legato all'avanzare dell'età. Non esiste un modo per comunicare o trasmettere questo tipo di esperienza che non ha niente a che fare con la scienza e il suo limitato approccio all'esistenza. Non credo nemmeno che esista una parola specifica, scientifica, per definire la percezione di un mutamento di consapevolezza legato a una comprensione che emerge, quando emerge, da un gomitolo di vita vissuta. Ma scommetto che adesso che ve ne ho parlato vi siete accorti che anche voi, almeno una volta, avete fatto esperienza di un sapere fatto di contenuti non esprimibili a parole, una certezza intima e profonda che non deriva da una formula scritta su una lavagna. 



lunedì 6 febbraio 2012

operiamo i distinguo

Tiriamo un linea ipotetica e mettiamo di qua i paesi ricchi, con le loro più o meno evolute e più o meno fittizie democrazie, di là i paesi poveri con i loro governi deboli o forti, corrotti o virtuosi, col capo di stato che di solito indossa uniformi carnevalesche o si maschera da esponente delle classi meni abbienti. Nel mezzo paesi così così, che non hanno un tessuto produttivo e nemmeno università che sfornano brevetti: sono ricchi per un colpo di fortuna, hanno risorse naturali che permettono al potere di pagare in contanti, valuta estera pregiata, benessere e pace sociale. Se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo fare un po' di ordine, stabilire dei criteri per classificare gli elementi in base a fattori che reputiamo discriminanti: la soluzione che mi piace di più è quella dei soldi. Se vuoi capire qualcosa di quello che succede intorno a te la prima cosa che ti consiglio di fare, quando e per quanto possibile, è di seguire i soldi. La morale si piega al mutare di interessi e al frantumarsi di equilibri, gli accordi saltano con facilità doppia di quella che è servita a stipularli, la verità diventa evanescente per via di prove che spariscono, testimoni che muoiono o ritrattano, nuove evidenze sbucate dal nulla. Ma i soldi no, i soldi sono l'unica traccia concreta che si lasciano dietro gli avvenimenti. Lo storico legge la storia con gli occhiali del suo tempo e il filtro della cultura e i pregiudizi del suo credo politico, ma il contabile no, il contabile scrive i soldi sono passati da questa mano e quell'altra. Diamo un'occhiata a come si muovono i soldi, tipo i 70 miliardi di euro che la pubblica amministrazione italiana deve dare a fornitori privati che aspettano da mesi e che si è pensato di pagare in titoli di stato, salvo poi fare marcia indietro e gridare all'assalto speculativo quando i mercati hanno reagito com'è normale che reagissero. I giornalisti italiani che campano di finanziamento pubblico e lavorano per fare propaganda a partiti politici che a loro volta campano di finanziamenti pubblici non seguono i soldi, non spiegano la realtà, no, loro raccontano, narrano, esprimono opinioni, fanno i sentimentali e i moralisti, costruiscono uno spettacolo teatrale che di volta in volta è tragedia o commedia o farsa. L'Italia è al 64mo posto nella classifica dell'informazione, da decenni i media sono spartiti fra due editori, Berlusconi e De Benedetti, in guerra fra di loro, il terzo attore da poco nell'arena è la Telecom, azienda telefonica che ha il monopolio dell'infrastruttura, il resto dei media se lo dividono i partiti politici, i mafiosetti, gli amici degli amici. Seguire i soldi è uno dei modi più diretti per disegnare la mappa delle correnti sotterranee evitando le stronzate che sparano i professionisti della comunicazione.

Ma l'Italia non mi interessa più di tanto, e ancora meno interessa al mondo un paese di 60 milioni di abitanti. L'India sono più di un miliardo, la Cina pure, che senso ha stare qui a parlare di uno staterello nato un secolo e mezzo fa, ancora pieno di analfabeti, frammentato e diviso, cementificato e sovraffollato (ha la stessa popolazione della Francia su metà del territorio), privo di risorse naturali. L'Italia sbruffona e truffaldina che sta cercando di sbolognare il proprio debito direttamente, senza più passare da svalutazione della lira e tassa occulta da inflazione. Abbiamo 600 milioni di africani pronti a raddoppiare o triplicare non appena ci sarà un po' di cibo e qualche medicina. Anche gli europei sono circa 600 milioni. Gli asiatici sono il doppio del resto della popolazione mondiale. Bene, torniamo all'inizio, guardiamo ai paesi ricchi e democratici, i cristiani, gli occidentali, quelli che hanno inventato l'industria, che per primi sono scappati dalla campagna per vivere nelle città. Sono i paesi che hanno costruito le macchine, telai vapore treni aerei calcolatori mitragliatori. I paesi che hanno formalizzato teorie scientifiche filosofiche economiche, hanno ammucchiato e modellato il sapere. I paesi che hanno scoperto fertilizzanti e vaccini, inciso musica e stampato libri per diffonderli e non per preservarli, per divertire e non per educare, paesi che hanno agito con la gioia e l'irresponsabilità di bambini per i quali non esisto un futuro di cui preoccuparsi ma solo un domani migliore. Seguite i soldi, i soldi grossi: armi, droga, petrolio, manodopera. I soldi che viaggiano materialmente su navi gigantesche e quelli che viaggiano su cavo: interessi e diritti (non solo d'autore ma anche brevetti industriali: chimica, medicina, tecnologia, diritti di sfruttamento del marchio come del terreno). Seguite i soldi e vedrete che i paesi poveri vendono terra ai paesi ricchi, vendono droga, vendono materie prime, vendono lavoratori privi di diritti che costano poco. Intendiamoci: i soldi non sono cattivi, sono solo uno strumento di pagamento, se non ci fossero i soldi useremmo conchiglie, sangue, oro, schiavi. Non sto dicendo che i soldi sono un problema, che la finanza è il braccio del demonio e la ricchezza il marchio del male, non siate così ingenui e sempliciotti, se volete giocare all'inquisizione rivolgetevi a un regime totalitario. Dico che i soldi ci aiutano a capire i rapporti fra le parti che effettuano scambi, perché tutti effettuano scambi, anche respirare è uno scambio di atomi spiccioli per ossigenare i nostri corpi. Noi stati ricchi abbiamo qualcosa che gli altri vogliono e gli altri hanno qualcosa che noi vogliamo, i soldi servono solo a capire chi ha comprato cosa da chi e il potere da sempre si esprime nel gestire la ricchezza, il potente è colui che vanta diritti, legali o divini, democratici o aristocratici, guadagnati o conquistati o derubati, su cose e persone.

Potete divertirvi da soli a individuare e commentare i flussi di denaro. Paghiamo produttori di droga per vedere drogati ai giardinetti (non che gli ubriaconi siano più eleganti, ma quelli non cercano alcolici importati di contrabbando, i soldi vanno a onesti coltivatori e distillatori che nelle pubblicità di un tempo vestono giacche da camera di velluto con le toppe, fumano pipe di radica e siedono davanti al caminetto con segugio acciambellato ai piedi della poltrona di pelle borchiata, nelle pubblicità attuali giovani alla moda si mettono in posa nella scenografie di locali futuristici e fanno sesso con atletici amanti incontrati per caso). Paghiamo produttori di petrolio perché possano costruire alberghi grattacieli nel deserto e finanziare a carico nostro le varie tribù che garantiscono il mantenimento dello status quo (il ricatto di chiudere i rubinetti e il costante rischio di interventi armati per impedire che facciano collassare le nostre economie è mitigato solo dai soldi, dal fatto che i soldi che diamo loro cesserebbero non solo di arrivare nei conti svizzeri di governanti corrotti o previdenti – si assicurano una pensione di vecchiaia in caso di rivolte congiure ghigliottine – ma anche di avere valore – trovarsi con miliardi di dollari e di euro privi di valore, che incubo. Poi cos'altro, ah, gli schiavi, gente che vive in fabbrica, ci mangia e ci dorme, ci lavora per 16 ore al giorno, si uccide perché i soldi dell'assicurazione – nel caso di ditta occidentale con sede all'estero che impiega manodopera locale, perché altrimenti non ha diritto a niente, cosa ti aspetti da chi fa pagare ai tuoi parenti il costo del proiettile che ti sparano nella nuca? – basteranno a mantenere per decenni i famigliari del caro estinto. Paghiamo stranieri perché schiavizzino al posto nostro, che noi siamo troppo civili per farlo di persona. Seguite i soldi, che ci vuole? Noi siamo popolazioni vecchie che bevono pillole azzurre per scopare fino a cent'anni però col preservativo o ricorrendo all'aborto. Siamo persone ricche e anziane che hanno indebitato figli e nipoti non solo per investimenti produttivi, e quello sarebbe anche altruista, ma per spendere e basta, per tenere alti i livelli di consumo necessari a giustificare incrementi di produzione e con essi tassi di disoccupazione accettabili e domanda di moneta sufficiente a garantire copertura per le esigenze del welfare. Noi produciamo – dico noi ma alcuni dei paesi ricchi manco quello - solo intrattenimento che viene piratato via internet e brevetti che vengono copiati e sfruttati confidando nel fatto che si abita lontani, si deve dimostrare l'illecito, si deve fare e rifare un processo, insomma semmai avrai un rimborso alla fine ci rimetti comunque in bolli consulenze parcelle. Siamo vecchi obesi e vecchie ritoccate col bisturi con l'armadietto pieno di medicine, il frigor pieno di roba sterilizzata, il totemico impianto audiovisivo in salotto, e viviamo soli, barricati, diffidenti, abbiamo paura di perdere tutto, chi tanto e chi poco. Produciamo automobili e vernici, mobili e vestiti, ma l'intera nostra produzione di oggetti materiali è destinata a perdere quote di mercato perché sono capaci anche i paesi poveri a fare quello che facciamo noi, solo che a loro costa meno – almeno per adesso, e ci vorranno decenni prima che i prezzi siano omogenei a livello globale, ammesso che si riesca a rendere omogeneo un prezzo frutto di monopolio sulle risorse senza usare la forza di un'espropriazione da parte di un'autorità pubblica mondiale, ma anche allora avremmo comunque un pianeta che non regge né la nostra sete di risorse né il nostro numero di aspiranti a un benessere medio minimo garantito a tutti, che tu nasca in africa in alaska, nella foresta o nel deserto. Quando sarà passata l'epoca del fuoco e avremo bruciato tutto il bruciabile per inseguire un modello di sviluppo basato su crescita infinita e risorse inesauribili, motivato da una cultura tardo romantica idealista e scientificamente utopistica (come guarderanno gli uomini del futuro all'uomo che saltella sulla luna, con allegria? stupore? rabbia? tristezza? sarà un simbolo di che cosa?), chissà se ci ricorderemo come si fa a ripartire da un qualche punto del passato e prendere una strada diversa, e se sarà possibile farlo. Basta che non mi dite che mangeremo alghe e dentifricio su un'astronave, perché se voglio ascoltare idiozie adesso oltre a giornali e tv c'è anche internet: ho solo l'imbarazzo della scelta.



giovedì 2 febbraio 2012

Carta canta

Franzen dice che le cose su carta sono preferibili perché non vanno soggette a cambiamenti, dice che i file spariscono, vengono modificati, che sul monitor stai leggendo una porcheria e il momento dopo un capolavoro. Non ha detto capolavoro, ha detto Jane Austin, ma suppongo volesse dire letteratura. Ha detto che le cose digitali sono fatte per non durare, nel senso che vengono scritte come nelle news, che non hanno pretese di lunga scadenza, non cercano nemmeno di essere piacevoli per lungo tempo. Qui potremmo perderci le ore a discutere di consumismo, intrattenimento, se esista l'arte popolare, ma in sostanza dice che se metti su carta fai un gesto simbolico forte, è come se dici queste cose le ho scritte con la presunzione che abbiano un valore degno di essere reso disponibile nel lungo periodo. Che ci metti l'impegno, la faccia, ti giochi la reputazione, non puoi cancellarlo o modificarlo come un post su un blog. L'arte come religione, l'ha chiamata così, ci è arrivato da solo, perché anche le cose su carta non durano, e ci sono cose su carte che sono lì solo a testimoniare l'errore di chi pensava meritassero non solo la stampa in copia unica, il che avrebbe senso nella logica dell'edizione come imprimatur culturale, ma addirittura la diffusione a mezzo stampa. Franzen è un po' monacale, anche dove dice che si deve spegnere tutto, tv e internet, per concentrarsi in maniera esclusiva e totale sul proprio lavoro, sul proprio dono intellettuale al mondo, questo è la mia letteratura, prendete e leggetene tutti. È proprio vero che per continuare a rispettare un autore di cui si magnificano le opere è necessario non conoscerlo mai di persona, perché Franzen non ha mai avuto bambini attorno, non ha mai scritto nei locali della pausa caffè di una lavanderia industriale, non ha mai subito il rumore del traffico, il tubare dei piccioni sul tetto e il rosicchiare dei topi nelle pareti, le sirene antifurto dei vicini in ferie. La funzione ieratica dell'autore è così aristocratica da suscitare invidia e senso di ingiustizia, anche in presenza di meriti innegabili, laddove si presta a giustificare un censo allargato a chi invece meriti non possiede se non quello di trascinare verso il basso gli standard per adeguarli ai gusti dei potenziali clienti. Franzen, non voglio fare nomi, ma sappiamo tutti e due che esistono intere saghe che sul monitor le chiameresti porcherie e su carta come le chiami? Quindi il discorso è più complesso di così, ti stimo troppo per insinuare che hai fatto il furbo quando ti è venuto in mente che il settore in cui lavori campa con roba stampata su carta, roba il cui valore non cambia a seconda del supporto, altrimenti incidiamolo nella pietra, quanto dev'essere importante un'opera letteraria per meritarsi la pubblicazione su pietra? Quanto i dieci comandamenti? Ha fatto bene Salinger a mendare tutti a fare in culo, a non rispondere neanche al telefono, è quello che farò anch'io appena esce gw2, e più vai avanti con l'età e più è facile che spari cazzate, è meglio stare zitti se non si ha intenzione di scendere a patti con se stessi e vendersi agli emissari del marketing. Se vuoi parlare devi essere un King, che la critica non lo digerisce e può dire quel che gli pare senza il rischio di perdere la corona di un Roth o di un DeLillo, per citare i più recenti, scrittori che assurgono alla soglia dell'empireo e non gli rimane a quel punto che perdere terreno, abbruttirsi, tornare a indossare pian piano i panni dell'uomo normale, senza superpoteri attribuiti da giurie di loro impari, osannanti e proni di fronte a cotanta maestria. King rappresenta il plebeo, l'antieroe del sistema aristocratico che, nei fatti, è la realtà di ogni arte, dove si tende al sovrumano, all'assoluto, con i contenuti religiosi che Franzen percepisce. King che da parecchio la vive male, si sente respinto con motivazioni pretestuose, che reputa di incarnare meglio la funzione della letteratura come narrazione che sfrutta il piacere dell'intrattenimento per impartire insegnamenti morali o trasmettere esperienze formative. Il nonno preistorico che tiene occupati i ragazzini raccontando antiche e terrificanti battute di caccia. King è il bardo, Franzen lo sciamano. King ti vendeva il miglio verde a fascicoli settimanali per fare il Dickens, Franzen è in grado di classificare un libro tenendo conto di parecchi indicatori qualitativi, King vendeva scritti su internet quando internet la usavano ancora in pochi, the plant mi pare si chiamasse quel racconto, e non lo faceva perché aveva bisogno di soldi come all'inizio carriera, quando spediva racconti ai giornali per pagare le bollette, per Franzen invece internet è troppo generalista, sarebbe come mettere un approfondimento sulla situazione geopolitica mediorientale del New York Times fra le pagine di Amazing Stories. Franzen è lo scrittore che, al momento, reputo il migliore autore vivente nel campo della letteratura, ma scrive, come dice lui stesso, 'per chi ama leggere', ovvero per chi è in cerca di prodotti di fascia alta, di lusso, che hanno l'ambizione di durare se non in eterno almeno quasi, e questa è una posizione nobile, romantica che più romantica non si può, ma che nasce minoritaria per motivi intrinseci: l'élite è per definizione la crème de la crème, laddove il sistema di selezione meritocratica funziona e, anche laddove funziona e solo i migliori eccellono, si deve pagare il dazio alla sovrastruttura di potere che seleziona anche in base a contenuti adeguati alla morale dominante, allo spirito dei tempi. Per cui il mecenate, che sia il capo dei barbari, l'imperatore, il gran sacerdote, il ricco mercante o il mercato/la massa dei consumatori, in ogni caso vedremo premiare i peggiori che dicono alla maestra quello che alla maestra piace sentirsi dire. In questo la religione di Franzen, è lui che la chiama così, è tradizionalista e conservatrice, il suo dio non è l'arte in sé ma la cultura della società in cui vive, l'occidente in decadenza che va scoprendo di essere in inferiorità numerica e in debolezza di intenti, fragile di carattere e privo di guida, ridicole scimmie senza dio agli occhi di motivatissimi poveri e ignoranti ma pronti a indossare un cintura esplosiva, o a mangiare e dormire in fabbrica, lavorando per due soldi, costruiscono merce per noi, sono soldati pagati da noi per farci la guerra. La posizione che gratta gratta, accomuna i sedicenti di sinistra ai sedicenti di destra (non la destra fascista e socialista italiana ma la destra liberale anglosassone), i progressisti e i conservatori in questa grande schizofrenia che affligge la cultura in generale e la nostra cultura in particolare. Gli uni e gli altri che si sentono a disagio con l'abbattimento di ogni élite meritocratica per mezzo di criteri di valutazione del capitalismo di mercato che tengono conto solo del fatturato e utilizzano strumenti push di marketing privi di intenti educativi, anzi, spesso forniscono modelli di comportamento delinquenziali. Per non avere più i vincoli del mecenate, uno qualunque, palese e conosciuto, ci siamo affidati al nulla. Non esiste più un motivo per distinguere destra e sinistra, ci sono solo vari gradi di libertà, vari gradi di qualità, dove mamma sinistra e papà destra litigano mentre la casa brucia, il nostro pianeta, al quale strappiamo ogni anno il doppio delle risorse che più rinnovare e ci avviamo a consumare del tutto ciò che non può nemmeno rinnovare. 

venerdì 27 gennaio 2012

con metodo scientifico

Oggi è la giornata della memoria. Si leggono cose preparate da giorni per far bella figura, cose riproposte come a tirare fuori l'album fotografico di famiglia, si leggono cose di gente che partecipa alla celebrazione mediatica per guardare nell'obbiettivo e salutare la mamma, si leggono cose di gente che spara nemmeno contro i defunti, che anche i defunti ormai sono polverizzati, spara contro i fantasmi e non per ricordare ma per far rivivere il passato, come quelli che si vestono da soldato nordista e fanno finta di morire rotolando nell'erba, sotto gli occhi di spettatori divertiti. Il rischio di iniziative culturali come questa, la riflessione pubblica e collettiva sul dramma dell'olocausto, è l'effetto spettacolo, l'infezione dell'intrattenimento che trasforma ogni argomento in attrattiva, venite fatevi avanti siore e siori. Si valuta in termini di feedback l'iniziativa poco o molto interessante, a prescindere dai contenuti, si avverte la necessità di una tragedia che si presti a venire replicata senza perdere pubblico, come le serie tv che possono chiudere dopo la puntata pilota o andare avanti decenni. Si percepisce tutto questo in varie occasioni delle quali la giornata della memoria è una di queste, e quanto il non partecipare ti fa sentire in colpa, sentimentalmente egoista, romanticamente sterile, empaticamente limitato, tanto il partecipare ti fa sentire complice del sistema propagandistico superficiale, emotivo, irrazionale, acritico, che non approvi. Sia l'anno scorso che quello prima ho voluto mettere il dito anch'io nella ferita sempre aperta del antisemitismo e, nonostante la premessa liberatoria, è quello che sto facendo anche quest'anno.

Vedremo fotografie, filmati, leggeremo poesie, diari, tutto materiale che accusa i colpevoli come se fossero quattro stronzi sbucati fuori dalla fogna e avessero preso il potere di notte, mentre i buoni dormivano, e una volta sul trono del re avessero dato ordini indiscutibili per via di un incantesimo malvagio che rende schiavi. L'olocausto sembrerebbe opera di robot schiavizzati con la magia da mostri arrivati al comando con la truffa. Dite la verità, è questo che avete dentro alla testa, ecco perché non ho mai tutto quell'entusiasmo nell'unirmi ai riti di gruppo, non è per una forma di asocialità malata o presuntuosa, no, è perché non voglio sentirmi complice dell'inganno culturale. L'olocausto è stato il frutto naturale di un'epoca di socialismo scientifico, di scienza applicata alla società. Parliamo di Darwin, di Lombroso, di esplorazioni, di schiavismo, di rivoluzione industriale. Non si può trattare il nazismo come una cosa a parte, differente dalla altre dittature europee o addirittura estranea alla cultura prevalente nell'occidente. Non c'è niente di separato nello sviluppo organico del pensiero occidentale, la tecnologia influenza la storia che influenza la filosofia che influenza la medicina e via dicendo. L'olocausto non l'hanno fatto gli alieni, l'abbiamo fatto noi, anche noi adesso che ne parliamo schierandoci dalla parte dei buoni. Mettetevelo bene in testa che voi non siete i buoni, neanche se sputate sui nazisti, neanche se chiedete scusa, voi siete colpevoli due volte se vi credete innocenti. Se voi foste nati nella Germania di Hitler avreste pensato che fosse tutto giusto e normale, scientificamente dimostrato, moralmente accettabile. Chiaro? Voi non siete innocenti! Tantomeno siete buoni!

Se voi foste l'aristocrazia francese di fine 700 avreste pensato che la marmaglia stava esagerando. Se foste russi sotto Stalin avreste esultato alla notizia di un vicino di casa scoperto dalla polizia segreta e spedito in Siberia. Voi non sedete nel banco della giuria, o siete nell'elenco delle vittime o siete sul banco degli imputati. Non giudicare e non verrai giudicato non significa non giudicare apertamente per paura delle ritorsioni o astieniti ipocritamente dal giudicare, significa che nel momento in cui giudichi vieni giudicato. Il giudizio sull'olocausto, in particolare, è un giudizio su di noi come umanità, un giudizio su come gli esseri umani siano in balia di correnti culturali sulle quali non hanno alcun potere se non quello di testimoniare estraneità a posteriori, rinnegando qualsiasi coinvolgimento con cieca insistenza, per una due tre volte di fila se necessario. Tirarsene fuori, togliersi di dosso la colpa come fosse polvere sui vestiti, qualcosa di estraneo, e invece non è niente che viene da fuori, fatta da altri, che possiamo prendere, legargli al collo una collana di responsabilità e cacciare a pedate nel deserto. L'olocausto è colpa di tutti, anche di noi che celebriamo il giorno della memoria come a dare una pacca sulle spalle di solidarietà a gente che con noi non c'entra. E vedi gente che ogni giorno dell'anno esprime posizioni violente e assolutiste, oggi e solo oggi apre una parentesi di comprensione viscerale delle vicende umane come chi porta i fiori freschi sulla tomba dei genitori per il giorno di ognissanti.

Per cui sì, partecipo anche quest'anno, ma sto in disparte, come al solito, sto in fondo, nell'ombra, e sto zitto, non rovino la festa a nessuno. Farò finta di niente a chi mi guarda il naso e annuisce come se avesse capito qualcosa di me che nemmeno io comprendo, a chi maledice i colpevoli quando dovrebbe maledire tutti noi per essere come siamo. L'olocausto è il frutto più vistoso del socialismo scientifico che mira a eliminare i pezzi difettosi o non congruenti, che siano i geneticamente imperfetti, gli individui che non si sacrificano per il bene comune, che sia popolo o nazione. Nazismo è una contrazione di nazional-socialismo, è volkswagen che vuol dire auto del popolo, è industrializzazione e mito del superuomo niciano che in russia è stalin che significa acciaio e in america è clark kent. Non possiamo isolare la Germania e dire loro sono stati cattivi e noi no perché hanno fatto quello che avremmo fatto anche noi se avessimo trovato il coraggio. Perché tutto il mondo occidentale la pensava esattamente come i nazisti su tutto, chiaro? Riuscite a capirlo al volo o ve lo dico più lentamente? Le pubblicazioni sulle riviste scientifiche in tutto il mondo moderno puntavano dritte lì. Le pubblicazioni universitarie su temi filosofici puntavano dritte lì. I concetti espressi sotto forma di arte puntavano dritti lì. L'olocausto è il punto del corpo dove ha colpito il proiettile culturale sparato dall'umanità contro se stessa. La cultura dell'uomo occidentale, ovvero dell'intero mondo civilizzato, non si è neppure fermata a prestare soccorso, è andata avanti come se fosse inciampata.

Voi pensate che il nazismo sia diverso dal comunismo, dalle tante dittature nel mondo che si esprimono realizzando varianti del progetto ideologico del socialismo scientifico, una visione del mondo positiva e luminosa, come direbbero certi invasati, un lungo percorso verso la perfezione più o meno condiviso dalla maggioranza, sostenuto dalla voce pubblica delle élite che indirizzano l'operato delle classi dirigenti profetizzando rivoluzioni, teorizzando spiegazioni almeno plausibili, sventolando proiezioni statistiche ad hoc. Un mondo dove si è buoni per legge e il diritto ha fondamento nelle leggi naturali. Ebbene, voi siete nazisti. Voi volete eliminare chi non rientra nei vostri parametri. È normale, succede da sempre, è una dinamica di gruppo che si riscontra anche negli animali. Siete stati adolescenti, sapete cosa vuol dire essere dentro o fuori da un gruppo. Se dovete scegliere fra il salvare un parente o uno sconosciuto voi scegliete il parente. Se qualcuno al posto vostro compie di nascosto azioni che vi portano vantaggi, che sia eliminare la concorrenza, imprigionare i terroristi, uccidere feti femmine per contenere la popolazione, distruggere ecosistemi per farvi stare al caldo d'inverno, voi state zitti e fate finta di niente, preparare discorsi difensivi per un domani in cui vi venisse chiesto di rendere conto della vostra inerzia, vi preparate a manifestare pubblicamente cordoglio e pentimento, a chiedere scusa per quello che han fatto gli altri, i cattivi, a vostra insaputa. Per cui cosa volete che vi dica? Che siamo tutti ebrei? Va bene, ma alcuni di più e altri di meno, e non dirò che io lo sono di più, ma di certo in molti lo sono di meno.


martedì 24 gennaio 2012

Press enter to continue

Dovremmo porci dei limiti anche per internet, come per tutto il resto, non solo in termini di quantità giornaliera, ma di assimilazione totale: fissare una tacca e dire oltre questo punto non ce ne sta più. O scadenze temporali definitive, tipo vado avanti fino a quando esce guild wars 2, oppure per altri cinque anni. E poi basta, passare ad altro, mettersi uno zaino in spalla e stare in giro per anni. Ha senso crescere un figlio per sempre? Certo che no, non è un'estensione di noi stessi. Allora perché facciamo finta che ci siano prolungamenti della garanzia, periodi indeterminati, ci prendiamo in giro su quello che siamo in grado di fare e per quanto possiamo continuare senza stancarci, senza crollare, senza diventare parte integrante di quel che facciamo, perdendo noi stessi nella trappola di amnesie volontarie. A me sembra testardaggine, un combattimento fra galli, la lotta istintiva che viene innescata per la gioia degli scommettitori, un rito spartano da tragedia classica che dopo un po' non fa più ridere, nemmeno piangere, non fa più niente, ci lascia indifferenti, esausti, come dopo aver letto notizie orribili, tutti i giorni leggiamo notizie orribili mentre beviamo il caffè, sdraiati sul divano, non ci interessa più niente, darci quelle notizie serve solo a darci argomenti per fare conversazione. Leggi di bambini che muoiono, anche oggi un bambino di due anni cade all'indietro dalla sedia e finisce con la testa in un mobile a vetri morendo con la carotide tagliata. Noi riceviamo la notizia e passiamo oltre, come se cambiassimo frequenza col telecomando dell'attenzione, della riflessione. Non siamo cattivi ma assuefatti, colmi fino all'orlo, anestetizzati dall'abitudine.

Viviamo dentro a un videogioco, dentro a molti videogiochi, che sono film interattivi dove siamo protagonisti immortali, quando muori premi reset e carichi l'ultimo salvataggio effettuato. Per quanti sbagli tu possa compiere ti viene permesso di arrivare alla fine comunque, imparando dai tuoi errori, perseverando, con l'insistenza irrazionale di un animale che lotta per istinto. Il videogioco horror dove accadono cose terribili intorno a noi solo per ricordarci che dobbiamo essere forti, trovare la via d'uscita prevista dal creatore del gioco, non perdere la speranza e la prontezza dei riflessi, si deve restare concentrati a godersi l'intrattenimento per cui abbiamo pagato. E il videogioco romantico per eccellenza, con fate draghi cavalieri elfi, amore e magia, grandi soddisfazioni, riconoscimenti, arrivare alla vecchiaia come quegli indiani in comunione con gli spiriti al punto da dire 'oggi è un bel giorno per morire'. È un meccanismo automatico che non ha responsabili, che non sottende volontà o responsabilità, si tratta del grande respiro del mondo, lo spirito dei tempi, la necessità degli equilibri. Noi siamo incasellati in un meccanismo che noi stessi difendiamo perché sentiamo di farne parte, ci sentiamo in debito e in colpa nei suoi confronti, abbassiamo lo sguardo in sua presenza, siamo ancora bambini, siamo tutti bambini, anche e soprattutto chi è convinto di no. Siamo bambini che passano la vita a cercare di capire come si fa a smettere di essere tali, che provano a smettere di esserlo, che si convincono di esserci riusciti. Ma se davvero non fossimo più bambini stamattina dovremmo essere tutti immobili a fissare nel vuoto, pensando alla gola squarciata di quel un bambino che muore davanti agli occhi dei genitori, agli occhi dei fratelli, ai nostri occhi.

E invece non ci lasciamo distrarre, siamo troppo coinvolti dal gioco che teniamo fra le mani, siamo troppo impegnati a smettere di essere bambini, di fare i bambini. Non ci poniamo limiti per niente tranne che per l'essere bambini: deboli, ingenui, emotivi, ignoranti, sensibili, eccessivi. Non ci poniamo limiti quando si tratta di uccidere o di bruciare. Lavorare per sempre, arrivare dove nessuno è mai giunto prima, tutta la retorica illuminista e romantica del molto di più e molto più veloce. Alla mattina accendo il computer e vedo decine di email, commenti, il feed reader con centinaia di cose non lette, immagini non viste, battute a cui non ho riso, scandali per cui non ho storto la bocca, ingiustizie per cui non ho imprecato, pazzie che non mi hanno fatto portare le mani alla bocca o ai capelli. Dopodiché ci si aspetta che spenga e vada a buttare l'immondizia, a leggere un romanzo, a divertirmi, a fare il mio dovere di lavoratore/contribuente-consumatore. È come farsi dare la scossa, le frustate, e goderne, il masochismo del cittadino medio, obeso e depresso, in attesa di finire il gioco a furia di tentativi quotidiani, sveglia dopo sveglia, rito dopo rito, abitudine dopo abitune, senza mai averne abbastanza, senza mai arrivare a sazietà. Smettere è arrendersi, ritirarsi è perdere, bisogna stare in campo e guadagnare di più, produrre di più, battere i record, sconfiggere il nemico. Ma chi è il nemico? Siamo pieni di nemici invisibili e lontani, immateriali proprio come quelli dei videogiochi. Non sono avversari concreti, sono bersagli che ci servono per poter sparare a qualcosa che non siano i nostri famigliari, i nostri alleati, noi stessi allo specchio. Fatevi un elenco di tutti i nemici, partite pure dalla preistoria, dalle liti fra tribù per l'uso esclusivo di una sorgente. Arrivate alle crociate, alla guerra fredda.

Non è più nemmeno questione di etica in un mondo dove l'autorità non è legittimata e la morale è relativa. Non sappiamo più nemmeno per cosa stiamo lottando, per cosa valga la pena. Il benessere ha un costo non preventivato in termini di dipendenza e dedizione, di inquinamento e sovrappopolazione. L'illuminismo, dopo aver fallito imboccando soluzioni da socialismo scientifico nazista e comunista, sta mostrando la corda dell'idealismo utopistico anche nei modelli matematici che sceglie di utilizzare per spiegare la realtà. Da ogni parte arrivano bordate delusorie (de delusion, che in inglese è una parola che indica una malattia), proprio nel momento di massimo splendore della civiltà illuministico-romantica, proprio quando l'intera umanità si è messa a praticare il culto del benessere, con l'entusiasmo di chi non vede un limite alle possibilità umane, di chi utilizza una matematica che non prevede vincoli materiali, statistiche basate su condizione temporanee del passato e del presente che non dureranno in eterno. Non siamo capaci di ipotizzare i limiti e irridiamo chi ci prova, gli diamo del thomas maltus, gli diciamo che ci saranno tecnologie innovative e che non è aver fede ma ragione perché in passato ci sono state, in passato è andata così. Illuminismo romantico che si aspetta una schermata di aiuto, un romantico intervento divino o la scoperta scientifica del cheat godmode, e nel frattempo va avanti come ha sempre fatto, in bilico sull'overdose, ti alzi dal letto che sei già stanco, lavorerai per pagare debiti, il futuro che amavi tanto adesso ti tiene in pugno, corrergli incontro diventa sempre più faticoso, il videogioco non è più così bello come quando ci hai giocato la prima volta, ignorare bambini che muoiono di morte violenta, per distrazione, per stupidità, ignorare i bambini dicendoti non è colpa mia, non è colpa di nessuno, il videogioco ce ne vuole per far finta che ti piaccia ancora, devi mentire quando te lo chiedono, devi continuare a sorridere, a mostrare sicurezza, a comportarti da adulto, non puoi spegnere il computer, non puoi nemmeno dire va bene ci gioco ma solo fino a questo punto, fino a quando ne ho avuto abbastanza, no, devi finirlo, devi continuare fino alla morte per non sentirti una nullità.