venerdì 20 aprile 2012

Incognito

La letteratura, come qualsiasi attività umana, necessita di riconoscimento. L'appagamento dell'autoreferenziale fa capo a capacità critiche e risorse di autostima chiamate a superare la forza dirompente dell'ostracismo, l'arma sociale preferita nelle società umane che nemmeno le scimmie sono così crudeli da utilizzare. Puoi essere l'orologiaio più capace del mondo e non trovare non dico acquirenti per le tue sveglie, ma nemmeno esperti in materia disposti a fare pubbliche ammissioni. Ci vuole una grande forza interiore per fare a meno del riconoscimento pubblico, ufficiale, è rivoluzionario l'atteggiamento del fuori concorso, di chi non partecipa alla competizione perché non condivide le regole o denuncia la soggettività delle premiazioni. Perché se fai orologi puoi dimostrare che i tuoi sono più precisi, ma non puoi dimostrare nulla se scrivi, canti, reciti, fotografi, pensi, fai cultura.

È facile paragonare all'onanismo la pratica di chi non rivolge la sua produzione a un pubblico. È facile paragonare a facili costumi chi dà via la sua produzione gratuitamente. Il paragone col sesso è calzante: se lo fai per te stesso non va bene, se lo fai gratis al primo che passa non va bene, se lo fai a pagamento col primo che passa è già più accettabile, e in fondo è quello che fanno tutti coloro che hanno successo. È raro che qualcuno venga riconosciuto per un lavoro non espressamente finalizzato a gratificare un acquirente ben identificato, che sia l'adolescente con soldi in tasca per comprare canzoni d'amore, che sia il partito politico che vuole modificare i comportamenti sociali, che sia il cittadino medio che occupa una fascia di mercato lasciata scoperta. Se invece pensate davvero che la cultura sia un fiore spontaneo allora vi lascio tranquilli a brancolare nei dolci pascoli dell'ingenuità.

Prendete per esempio il testo di una canzone di un cantautore famoso, di quelli che gli danno le lauree honoris causa, che ogni tanto salta su qualcuno a dire che dovrebbero insegnarle a scuola. Sembra un testo fantastico, pieno di emozione e sentimento, di una profondità abissale in grado di far piangere i sassi, lo è fino a quando non immaginate che l'abbia scritto un liceale brufoloso sconosciuto, uno che si comporta male, dice le parolacce e fa il buffone. A quel punto ditemi che non andate in tilt. Non c'è il personaggio sul palco, vestito così, coi capelli così, il tatuaggio, il trucco, oppure con l'aria normale del bravo ragazzo, insomma non c'è materiale per dargli un riconoscimento ufficiale. Se il vostro cameriere scrivesse una poesia e ve la mostrasse voi lo guardereste come si guarda un cane finito sotto la macchina. La stessa poesia riportata in tv e sui giornali, citata da giornalisti e trasmessa alla radio diventa un capolavoro.

Non è colpa di nessuno. È così che funziona. Il pubblico, tranne rare eccezioni, non è in grado di giudicare da sé il valore di opere culturali. La gente si appoggia al riconoscimento ufficiale. Una volta questo riconoscimento veniva dall'alto, c'era un establishment, un'intellighenzia che decideva chi riconoscere. Nelle dittature venivano riconosciute solo opere grate al Partito, il resto era underground, era dissidenza, era rivoluzionari-reazionari che rischiavano galera, tortura, campi di rieducazione e condanne a morte. Adesso l'underground è diventato nazional-popolare, adesso il riconoscimento è dato dalle copie vendute e non dai premi della giuria, adesso sei scrittore perché il tuo libro è stato pubblicato, lo sei ancora di più se hai venduto tante copie. Adesso ci sono case discografiche, case editrici, vere e proprie industrie commerciali che non hanno nulla di culturale ma fanno un investimento sull'autore, analizzando le preferenze di mercato, programmando la sua carriera a tavolino, comprando la popolarità dell'autore adottato e inserito nella scuderia aziendale a suon di promozione e visibilità mediatica.

Ecco perché io ho scritto qui sul web, in questi anni, solo per mio figlio, per dimostrargli che non ho mai avuto paura di mostrarmi per quello che sono, che non ho niente da nascondere, mio figlio è il mio unico pubblico, l'unico pubblico che mi sia mai interessato. Ecco perché non me ne frega niente, in fondo, di essere riconosciuto dal mondo quando parlo del mondo, dell'economia, della filosofia, dell'arte, e me ne tornerò presto a farmi gli affari miei, a giocare a gw2, fare passeggiate, dedicarmi a hobby privati che non necessitano né aspirano ad alcun riconoscimento pubblico, tornerò a far finta che non esista questo baraccone mediatico e neppure i clienti che gli danno modo di funzionare. Perché anche l'amore ha bisogno di riconoscimento per esistere, non puoi dire di aver sperimentato l'amore se hai sempre e solo amato te stesso, perfino un dio non sarebbe tale senza qualcuno in grado di riconoscerlo come tale. Ma anche pretendere di essere dio è superbia, foss'anche dio a pretenderlo, il risultato è che siamo liberi, e per me essere libero e avere la capacità di rendermene conto è più che sufficiente, anche a costo di dover bastare a me stesso.


mercoledì 11 aprile 2012

Omeopatia

Premetto che io sono un deficiente. Come deficiente ho il diritto di dare del deficiente a chi mi pare, è come se un nano dà del piccoletto a qualcuno. Detto questo parto col dare del deficiente a tutti quanti. Se qualcuno vuole darmi del deficiente di rimando, tipo specchio riflesso all'asilo, per me va bene, non ho problemi a ritenermi un deficiente. A me piace sentirmi un deficiente, perché i deficienti ignorano, fischiettano camminando sotto i carichi sospesi e non gli cade mai in testa il pianoforte come nei cartoni animati, e se anche gli cade pazienza, non se ne sono accorti. Anch'io non voglio rendermi conto di niente, voglio essere un deficiente sereno e spensierato, che si gode le piccole cose e ha sempre il sorriso in tasca. Che non si sente responsabile di niente,anzi, gli altri si devono sentire responsabili di me, che sono solo un povero deficiente. Quindi se qualcuno vuole darmi del deficiente come io do del deficiente agli altri, si accomodi, sfonda una porta aperta.

A proposito di deficienti. All'inizio avevo il dubbio che l'impressione di un mondo pieno zeppo di deficienti fosse sbagliata. All'inizio pensavo fosse un problema mio, che vedevo deficienti ovunque, ero una specie di psicotico asociale meritevole solo di incappare nella sottile e crudele punizione sociale che si concretizza nella solitudine e nel senso di colpa: vai in un angolo e riflettici sopra, come si fa coi cani che hanno pisciato sul tappeto. Mi dicevo smettila di vedere deficienti ovunque, smettila di arrabbiarti per la sensazione sgradevole di avere a che fare solo con deficienti. Mi dicevo il mondo non è pieno di deficienti, è solo un effetto ottico deformante. Ragionavo: se davvero ci fosse pieno di deficienti la specie sarebbe estinta. Pregavo: dicevo liberaci dal male e intendevo liberaci dai deficienti, me compreso se è necessario, npon mi tiro indietro. Questo per far capire quanto mi spaventasse l'idea che ci fosse pieno di deficienti, un po' come essere sul pianeta delle scimmie. Cioè, lo siamo, intendo scimmie poco evolute. Cioè, in effetti lo siamo, scimmie molto poco evolute. Ok, come non detto, riparto dall'inizio.

All'inizio pensavo che la paranoia del ritenersi in balia dei deficienti fosse imputabile a media imbottiti di deficienti. Mi credevo che ci fosse pieno di persone intelligenti, solo che erano tenute fuori dal giro e imboccate con libri di merda, tv di merda, giornali di merda, politici di merda, gente di merda. Mi dicevo è una specie di tirannia dei deficienti che tiene in schiavitù una maggioranza di intelligenti a cui si impedisce di parlare e di fare. E con questa certezza illusoria e consolatoria ho tirato avanti parecchi decenni. Ero un deficiente contento, convinto di essere circondato da intelligenti nascosti nei cespugli, mascherati da deficienti. Una setta segreta di intelligenti stava organizzando la rivoluzione per liberarci dalla tirannia dei deficienti, era solo questione di portare pazienza, aspettare, dar modo agli eventi di realizzarsi. Un materialismo storico dove al posto dei poveri c'erano gli intelligenti, altrettanto numerosi a desiderosi di riscatto sociale. La fantascienza profetizzava energia gratis in abbondanza per tutti, immortalità, iperrazionalismo esasperato con picchi di amore per l'alveare, l'annichilimento dell'individuo che è come accettare di essere inutili replicabili deficienti corpi meccanici.

Un grande spot pubblicitario, una immensa campagna elettorale, dove trionfa l'ottimismo della ragione, dove nutrire fede nella scienza assicura un paradiso tecnologico alle future generazioni. Tutte balle, tutte stronzate. Bisogna essere deficienti per mettere in piedi una Storia che si svolge nel mondo come una fottuta narrazione dove è previsto un lieto fine alla disney per non deprimere consumatori e consumi. Meno male che sono un deficiente, pensa la sofferenza che implica essere intelligenti in un mondo di deficienti. Io voglio essere deficiente, di più, voglio essere più deficiente della media, voglio non capire un cazzo, non sapere un cazzo. Voglio mangiare dormire scopare ridere, una bella vita romantica con tanto di vecchiaia serena, con quella luce diffusa da vetro appannato che utilizzano nei film quando vogliono simulare la commozione. Voglio essere un deficiente che crede a tutto, a qualsiasi religione e all'ateismo, mi bevo tutto, dagli occhiali da sole firmati che mi fanno assomigliare all'attore famoso all'arrivo dei vulcaniani col motore a impulsi, mi bevo che un giorno saremo tutti uguali, la stessa faccia lo stesso destino, non esisteranno più i poveri e il pianeta distrutto si rivelerà una balla raccontata dal governo per farci stare buoni, come le brutte favole che si raccontano ai bambini deficienti, tutto quadra, infatti io sono un bambino deficiente, e anche tu.

All'inizio pensavo che la statistica fosse così, come una collina: tante persone intelligenti in cima e qualche deficiente giù in fondo, nella valle, dove c'è poco ossigeno. Poi ho riflettuto che di ossigeno c'è n'è meno ad alta quota. C'era qualcosa che non tornava, vuoi vedere, mi chiedevo ridendo per l'assurdità dell'ipotesi, che il mondo è veramente, davvero davvero, pieno zeppo di deficienti? Vuoi vedere che essere deficiente è la normalità? Ah, che sospiro di sollievo, allora io che sono deficiente vuol dire che sono normale. Che fortuna, pensa la sfiga se fossi intelligente, mi sentirei di merda in mezzo a milioni e milioni di deficienti. Per questo ci tengo moltissimo a essere un deficiente, se mi dai del deficiente ti ringrazio, ti rispondo almeno, speriamo, faccio il possibile. Perché la verità è che gli intelligenti sono pochi. Essere intelligente è come avere una grave malattia mentale, è come essere schizofrenici o cretini, la percentuale di intelligenti è la stessa di quelli che si credono napoleone, o che si credono molto intelligenti e invece sono deficienti nella media, la differenza è solo che gli intelligenti lo sono davvero, pensa che depressione se sei davvero intelligente e non ti crede nessuno, ti dicono sì sì, adesso prendi la pillolina e mettiti tranquillo.

A un certo punto è arrivato internet e ho capito che sbagliavo, i deficienti non erano solo dentro ai media, non era una dittatura dei deficienti. La cosa più importante di internet è che ha dimostrato al di là di ogni dubbio che il mondo è composto in stragrande maggioranza di deficienti. Siamo in balia dei deficienti, e io che stavo aspettando la rivoluzione dei superdotati, non nel senso di grandi cazzi, nel senso di intelligenti. Ho scoperto invece che sarebbe una dittatura qualora al potere ci fossero gli intelligenti, perché sono pochi. Se facessimo davvero che governa il più intelligente allora fanculo la democrazia, perché il voto significa che ha ragione la maggioranza e siccome la maggioranza è fatta di deficienti fai tu due più due, che io non ci arrivo, è troppo complicato per me. La statistica dice che sono molto pochi gli intelligenti e si tratta di una legge biologica, non dipende dall'istruzione obbligatoria o da quanto uno si sforza, sennò io adesso mi concentro e divento il gemello di brad pitt. Quei pochi intelligenti poi non stanno complottando un bel niente, se ne stanno zitti per mimetizzarsi meglio, per non dare nell'occhio, non assumersi responsabilità, non venire sbranati.

Gli intelligenti fanno l'unica cosa intelligente da fare: si arrendono alla realtà e pensano solo a sfruttare il sistema proprio come un deficiente qualsiasi, un furbetto qualsiasi, un ammanicato qualsiasi, un qualunque amico di amici in cerca di scambio di favori, perché alla fine l'intelligenza oggi è ininfluente, non conta, anzi, è un handicap perché il deficiente non si ferma di fronte a niente, è manipolabile e pronto a seguire la corrente. Al dunque servono attrezzi pesanti e uomini muscolosi in grado di eseguire lavoro materiale, armi potenti e uomini addestrati a usarle, oggi l'intelligenza si misura in quanti soldi hai e quanti sostenitori hai e che carriera hai fatto. L'intelligenza oggi si misura in popolarità e risultati economici, gli sponsor che hai alle spalle, come hai fatto a fregare qualcuno, come sei riuscito a vincere, soldi donne potere. E mi sono pure reso conto che è sempre stato così, nei secoli, al punto che i personaggi storici noti per la loro intelligenza ci sembrano animali dello zoo, matti strani che fan numeri da circo, attori scelti dallo sponsor per una campagna promozionale sull'intelligenza come prodotto di lusso: diventa anche tu un galileo con l'aiuto dei nostri prodotti culturali, con quel messaggio ingannevole tipico dei desideri irrealizzabili, compra il nostro prodotto e diventerai il cavaliere o la principessa delle favole. È un mondo in cui l'intelligenza è diluita fino alla disintegrazione, in omaggio al mito dell'omeopatia, e la persona intelligente si deve vergognare, deve sentirsi diversa, strana, deve stare attenta a dire delle pirlate ogni tanto, a fare il buffone, che qui si è tutti primi fra pari, qui siamo tutti uguali e chi è diverso viene emarginato, se va bene, eliminato se insiste a non volersi uniformare, e se vedi qualcuno bruciare non ti azzardi nemmeno a sputargli addosso perché magari se lo merita e rischi di essere accusato dalla folla di complicità con il bonzo.