martedì 31 maggio 2011

Il lavoro/tempo si misura in paura.

Gli studiosi del futuro stileranno degli elenchi sul nostro tempo, i futuri laureandi cercheranno argomenti da trattare che non siano ancora venuti a noia, in cima a tutto ci sarà la contraddizione, viviamo un epoca di anacoluti, di scismi dissimulati, l'entropia avanza inesorabile in ogni campo del sapere e in ogni fattispecie di attività. Ti viene offerto un menu e tu devi scegliere, va bene anche se scegli a caso, sono così tante le possibilità, tutte egualmente insignificanti, da rendere l'intero procedimento di scelta volutamente eccessivo e superfluo, come ogni aspetto del mondo dev'essere nella realtà aumentata, il travestimento, il culto dell'apparenza. Puoi scegliere ogni dettaglio e sfumatura qui, nel mondo libero, sulla vetta della civiltà occidentale, la civiltà del consumo, del benessere, della libertà, del neo-relativismo. Non essendoci un potere che impone scelte passibili di obsolescenza e rigidità, non essendoci una linea guida diversa dall'anarchia e dal caos, ecco svanire il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso, nel trionfo del forse e del dipende.

Per esempio vediamo idoli mediatici che ci portiamo in tasca, generazione dopo generazione, dalla frattura madre, il dopoguerra col suo babyboom, il progresso scientifico, l'economia surriscaldata. Alcune di queste persone, idoli mediatici, sono invecchiate e devono ogni giorno capire se restare in groppa alla tigre o abbandonare il palcoscenico. Altre star sono morte giovani e sono entrate nel pantheon dell'eterna celebrità. Questo è l'orizzonte del vivere di questi tempi: l'immortalità terrena com'era concepita dagli antichi greci e romani. Dopo secoli di sforzi intellettuali per trovare risposte alla vita diverse dall'appagamento materiale e dal richiamo della vanità, eccoci qui belli e regrediti puntaccapo. Tutto ciò è reso possibile dall'abbondanza. Energia nucleare e petrolio, energia a gogò, utilizziamo l'equivalente di una mandria di cavalli per spostare il nostro corpo da qui all'edicola all'angolo, in termini di forza-uomo l'energia a buon mercato ci ha permesso negli ultimi decenni di fare una quantità di lavoro che avrebbe richiesto generazioni di persone fisiche.

Dunque il cardine per comprendere e calcolare l'impatto materiale del progresso moderno è il costo unitario dell'unità lavoro/tempo, quanto lavoro viene eseguito dall'umanità nell'istante T. Se eliminiamo il petrolio e il nucleare dall'equazione ecco che gran parte della popolazione mondiale non solo cadrebbe nella povertà, ma verrebbe espulsa dal sistema per raggiungere un nuovo equilibrio. Ovvero morirebbe di fame, di malattia, per guerre civili, un motivo qualunque, la matematica generalizza, non ha bisogno di scendere nel particolare o di fare previsioni dettagliate. Ma se anche la quantità di energia disponibile non calasse all'improvviso, basterebbe ragionare in termini di prezzo, sarebbe sufficiente una variazione al rialzo consistente a provocare reazioni catastrofiche sull'equilibrio attuale. Gli shock petroliferi non sono certo una novità, ma prima di scoprirli e capirli hanno dovuto verificarsi, lo stesso va accadendo per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse. Stiamo ipotizzando risorse infinite, crescita senza limiti, come se il Pianeta Terra aumentasse in composizione e dimensione a seconda delle nostre esigenze.

Non è un ragionamento così complesso da capire. Se ho un lago con mille pesci che raddoppiano ogni due anni non posso aumentare all'infinito il numero di pescatori, non posso aumentare la produttività di un singolo pescatore che passa dall'uso della rete alla dinamite, non posso indurre i pesci a raddoppiare di numero ogni due giorni. Ci sono dei limiti e sono proprio i limiti il problema del nostro tempo, nessuno più vuole accettare né tanto meno subire l'esistenza di limiti. Perfino il limite della morte viene nascosto, seppellito nell'inconscio collettivo come un tabù. La morte, e tutto ciò che si posizione nel contesto fatale (in senso mitico) e definitivo (in senso romantico), viene così stigmatizzata da contaminare situazioni che possono anche lontanamente evocarne la presenza: la malattia, l'agonia, il difetto genetico, perfino il rischio, perfino la vecchiaia. Correre rischi ignorando il pericolo di morte è un atteggiamento premiante, che assicura la sopravvivenza: cibo, avversari sottomessi, accoppiamento, gli istinti primari che governano gli animali, compresi gli esseri umani. Diventare vecchi è avvicinarsi alla verità che nessuno vuole sentire, è andare a ricordare a tutti che esiste la morte esibendo un corpo inguardabile perché intristisce, deprime, scoraggia.

Nel futuro scriveranno che di vecchi in fuga dalla morte e da se stessi con chirurgia, ginnastica, dieta, viagra, lavoro fino all'ultimo, cosmetici, vacanze. E di giovani amanti del rischio che si schiantano, maltrattano il loro corpo come se la scienza potesse ripararlo, come se ci fosse la garanzia di sopravvivere alla morte mediante posticipazione, svicolamento, inganno, forza di volontà. L'insieme di queste credenze che formano la religione (l'etimologia di religione è religare, ciò che liga la res, tiene assieme la realtà, non relegere che è invece mera liturgia e non implica nessun tipo di scelta fideistica) dei nostri tempi si è sviluppata dalla cultura veicolata dalla televisione. Non sto dando la colpa alla tv, la tv è solo uno strumento che però senza tv non esisterebbe la cultura che ne è stata veicolata. Siamo una civiltà composta in maggior parte di vecchi che hanno costruito il benessere indebitando le generazioni future, hanno ipotizzato infinita la crescita, hanno basata il sistema produttivo su fonti energetiche esogene e altalenanti e in definitiva così scarse da poter durare qualche decennio, hanno usato come collante sociale la paura della morte (e delle malattie, degli alieni, dei terroristi, di tutto ciò che odore di morte, compresa la vecchiaia e la malattia, al punto che i nazisti - e non solo i nazisti, un sacco di stati nel mondo hanno fatto uguale - per superarla pensarono di eliminare fisicamente i portatori).

Questi vecchi che non sanno più dove e come scappare allo loro stesse paure, ai loro stessi tabù, che hanno demolito ogni linea guida trasmessa per tradizione dagli avi in nome della rivoluzione e adesso sentono freddo, si sentono soli, pensano che in fondo i nonni dei nonni non avessero tutti i torti sempre e comunque. Forse c'era qualcosa da salvare, ma ormai è troppo tardi, ormai i giovani guardateli alla tv come sono, palestrati, tatuati, ribelli ma riflessivi, potenti ma controllati, belli ma intelligenti, forti ma non violenti, non esistono nella realtà, sono contraddizioni viventi che non si riconoscono nei modelli televisivi e alcuni fanno come i vecchi, rincorrono il miraggio, altri invece si rifugiano nei videogiochi, nei party, nella droga, che tanto di futuro non ce n'è, l'hanno già usato tutto loro, a noi rimangono oggetti che necessitano di continua manutenzione, case che si sgretolano, nuovi continenti negli oceani fatti di rifiuti galleggianti, e la rete, dove lanciare messaggi in bottiglia, dove sentirsi parte di qualcosa che non sia impegnativo, vincolante, che basti un clic per liberarsene, venirne fuori. Perché noi non stiamo più nutrendo le persone, noi imbocchiamo di corrente le apparecchiature, di carburante macchine navi aerei, di mangime per animali che sono al mondo solo per venire processati sterilizzati e inscatolati. Noi viviamo e lavoriamo per servire, conservare, agevolare, coccolare, proteggere, compiacere gli oggetti inanimati.

giovedì 26 maggio 2011

Democrazia di mercato.

L'illusione liberatoria della democrazia è strettamente legata all'ottimismo del pensiero positivo, con la stessa duplicità attenuata che si riscontra ovunque anche in questo caso il positivismo si traduce in mitologia da rivista patinata (esistono ancora le riviste patinate?), ricettario newage, sto parlando del processo che deforma e snatura qualsiasi concetto in una curva discendente di significato, dalla purezza di una strutturazione intellettuale profonda e articolata si scende giù giù fino alla cultura massificata della disgregazione, della dissoluzione, della disintegrazione, dove il ragionamento è assimilabile solo se viene ridotto alla forma-slogan, la complessità è gestibile solo se viene condensata in un riassunto-ritornello. Anche la democrazia, che all'inizio ha favorito e prodotto le condizioni materiali e immateriali per lo sviluppo esponenziale di tutto ciò che è riferibile all'uomo e all'umanità, la democrazia come togliere il tappo dalla storia perché espella il contenuto del futuro, la spinta del Progresso con la P maiuscola, e via elencando materiale propagandistico che ci ha intasato e obnubilato fin dall'infanzia, che verrà esposto nei musei sotto forma di spezzoni trasmessi e ritrasmessi alla televisione, fino alla completa saturazione e al disinnesco di ogni capacità critica.

La democrazia che diventa vittima di se stessa, va soggetta al medesimo trattamento dissacratorio che viene riservato al passato, con il suo carico di valori che sono per forza antiquati, sapienze che sono per forza antiche, tradizioni che sono per forza mode superate o da superare, e in questa accelerazione che si presume infinita si ficca la testa fuori dal finestrino e si rimane a bocca aperta come cani che si godono un vento che origina da situazioni che non possono comprendere e che, soprattutto, non vogliono, non possono capire. I nostri nonni hanno imparato a costruire automobili, noi abbiamo imparato a mettere la testa fuori dal finestrino e dimenticare, ignorare, restare indifferenti o perfino deridere ogni pretesa di serietà, di impegno, di responsabilità fattiva. La cultura del terzo millennio è questa, è ancora senza nome, verrà battezzata fra decenni, la cultura della decomposizione, mi sembra un buon nome. Oppure verrà superato l'orizzonte degli eventi, il punto di non ritorno, e allora questo periodo verrà brandizzato, verrà sponsorizzato, ci saranno autistici molto famosi in grado di recitare a memoria frammenti di testi in un mondo in cui nessuno più sarà in grado di leggere.

La democrazia, dicevo, la democrazia come colpevole e vittima di un delitto culturale attuato senza il minimo ricorso alla violenza materiale né intellettuale, quasi una morte naturale dopo un periodo di coma. La democrazia infatti nasce come una soluzione come un'altra per giustificare e rendere accettabile l'esistenza dell'autorità e l'esercizio del potere. Prima era Dio, ora è il popolo, ma la sostanza non cambia, si fornisce alla gente un motivo per non rifiutare il potere e, in certa misura, consentire al potere di fare ciò che deve fare: sicurezza, benessere, giustizia... in pratica un ruolo genitoriale che passa da paterno a materno. Il mondo occidentale moderno in un certo senso passa da mascolino a effeminato. Il sociale diventa efebico nella misura in cui si tenta di esorcizzare l'eccesso col quale l'autorità in passato ha usato la forza per raggiungere scopi di gruppo, di massa, di popolo, di nazione. Con la democrazia si può scaricare sul popolo la colpa dello 'ogni mezzo necessario al fine di' col quale si realizzano quasi sempre il vantaggio di una parte a scapito dell'altra. La storia è un elenco infinito di prevaricazioni, furti, omicidi, che non cessano di essere tali se a compierli è qualcuno eletto democraticamente, come ad esempio fu Hitler, del resto, o i dittatori comunisti che hanno agito e agiscono in nome del popolo.

Si faccia caso ora alla differenza fra la democrazia 'alta', che ho appena tratteggiato per sommi capi, con la democrazia 'bassa', la democrazia che chiamo di mercato. La democrazia di mercato è quella dei demagoghi e dei populisti, è la politica-marketing dove l'elettore è il cliente da soddisfare, da convincere con campagne pubblicitarie e testimonials d'eccezione, da far divertire con eventi spettacolari e show musicali prima e dopo il comizio. La democrazia del buonismo assoluto, dove il candidato si comporta come una candidata a miss mondo e dice di volere la pace nel mondo e altri desideri che fanno scappare la lacrimuccia nei film dove muore il cane o i bambini finiscono all'orfanotrofio. La democrazia di mercato ha collaborato con la civiltà dei consumi per inventare la favola ottimistica in cui stiamo vivendo. A volte ci rendiamo conto che la realtà ci sembra diversa, ma quando succede diamo la colpa a noi stessi, andiamo dal dottore a chiedere qualche pillola per sentirci felici, sereni, presentabili, degni di essere paragonati ai modelli proposti dai media.

Si faccia caso anche all'essere positivi senza sapere cos'è il positivismo, il sapere che va a sbattere contro l'incapacità del cittadino medio di appropriarsi dell'ingombrante e ostica eredità culturale che nei secoli è mutata, si è fatta obesa, macrocefala, ipertrofica. La democrazia non presuppone un grado minimo di saggezza, di conoscenza, di competenza nell'esercizio del voto. È una sostanziale delega che nel tempo è divenuta la firma di un assegno in bianco. Così come pensare positivo è diventato un atteggiamento vincente, come la superstizione ha preso il posto della religione, la comunicazione ha preso il posto della rappresentazione, il culto si è del tutto svincolato dalla cultura, e via dicendo. E quando man mano sono sempre di più quelli che si accontentano di stare con la testa fuori dal finestrino, ecco che a un certo punto non c'è più nessuno alla guida e la macchina si ferma. Quello che non capisco è se stiamo ancora accelerando o se iniziamo a rallentare, se invece abbiamo solo incontrato una discesa o una salita, ma è un pensiero passeggero che mi scappa di mente quando torno a concentrarmi sulla fantastica sensazione dell'aria sulla lingua.

venerdì 20 maggio 2011

Dis-social.

Le regola generale da tener presente è una sola: la tentazione del dominio è futile. Ci si illude di poter esercitare la volontà per andare avanti, perché altrimenti si passa la vita a mangiare, dormire, riprodursi, sfuggire ai predatori, ci si riduce a un'esistenza animalesca. C'è gente che nella pratica si arrende e si concentra sull'ottimizzazione del presente, gli epicurei, o meglio l'interpretazione dozzinale e sbagliata dell'epicureismo che si è imposta. Epicureo non ha niente a che vedere con l'esaltazione del piacere e il rigetto di qualsiasi fondamento valoriale dell'esistenza. Lasciamo da parte Epicuro, l'ho citato solo per facilitare l'identificazione di chi rinuncia al richiamo delle sirene, il canto dell'ambizione, della realizzazione, della sfida personale, delle aspettative altrui, delle responsabilità, le ragioni che spingono a esercitare la volontà di potenza – vedi Schopenhauer – sono molteplici e assai convincenti, per questo si tende a ipotizzare la rinuncia alla vita e non riusciamo a concepire il rifiuto volontario in coloro i quali si mostrano ai nostri occhi come sordi, paralizzati, privati di forza vitale. È un tabù, un peccato, un delitto reputare inutile lo sforzo che ci viene richiesto da quella che alcuni chiamano energia vitale, altri dio, altri natura umana, in ogni caso un comando o una richiesta che non si può rifiutare o un suggerimento amorevole o una spinta benefica, una vocazione che attua una separazione netta dalla quale discendono tutte le altre: chi risponde sì e chi risponde no.

Un amico medico una volta prese un foglio e ci disegnò sopra alcuni puntini sparsi, poi mi passò la penna e disse traccia una linea qualunque, quella che preferisci, e io feci un cerchio attorno all'insieme dei puntini. Lui disse che io avevo recintato il caos, che avevo la tendenza a realizzare il controllo. Prima di allora non avevo mai riflettuto su di me in termini di controllo. Certo, poi Freud e i bambini che per prima cosa imparano a trattenere i bisogni, i cani che vengono addestrati a non farla sul tappeto, e da lì aumenta il grado di complessità nel gioco dell'applicare il controllo, non essere violento, non essere volgare, non grattarti, non ruttare, non toglierti le scarpe, non alzare la voce, e poi sorridi, stai composto, saluta, fai sentire l'ospite a proprio agio. C'è gente che passa tutta la vita senza mai interrogarsi su questo aspetto di sé: il controllo che si evolve nella tentazione del dominio. Ovvero le utopie sociali, le chimere scientifiche, tutta una serie di ottimistiche previsioni che servono solo a motivare la cocciutaggine di chi non riesce a ottenere il controllo, non riesce a dominare la realtà, trova puntini fuori dal cerchio e ricomincia da capo. È una vera e propria religione, ce ne sono tante di religioni che non vengono identificate e percepite come tali pur vantando migliaia, milioni di fedeli. Credere che sia possibile esercitare il controllo, che la promessa del dominio sia credibile.

È comprensibile, del resto un sacerdote che predica il regno terreno mi può chiedere: ebbene, l'alternativa qual è? Vivere come un animale? Oppure la frustrazione, la rabbia, il senso di impotenza? Ora, prima di tutto è impossibile vivere come un animale. Seconda cosa, tutti sentimenti negativi partono dall'idea che sia possibile il controllo, il dominio, la supremazia dell'uomo non solo sul mondo ma anche dell'uomo su se stesso e dell'uomo su qualunque dio. Non vi ricorda la superbia, la ribellione e la caduta? A me sì, ma non importa, importa invece notare che il mondo non si lascia dominare, anzi, non perde occasione di mostrarci la sua impassibilità e indifferenza al nostro destino e ai nostri bisogni e ai nostri voleri. Nemmeno su se stesso l'uomo ha controllo o dominio, se non superficiale, se non sei d'accordo imponi a te stesso di addormentarti e vediamo se ce la fai. Nemmeno su dio come semplice concetto metafisico l'uomo riesce a ottenere il minimo controllo, il semplice processo mentale di astrazione è sufficiente a privarlo di ogni potere e pretesa. Quindi l'alternativa qual è? L'affidarsi. Rendersi conto che non c'è un nesso di azione reazione, che il successo non è un premio, che i fattori casuali e gli errori involontari fanno parte dell'equazione. Siamo tutti diversi, c'è chi è più e chi è meno, ma di fronte all'invito a poggiare l'intera nostra vita sulla promessa del controllo, del dominio, della volontà, siamo tutti uguali.

Anche stavolta ho parlato d'altro, volevo parlare dei social network e sono finito a parlare di quanto mi fanno ridere, o trovo penosi, dipende dai giorni, quelli che confidano nella menzogna del razionalismo, dell'umanismo (n.b. dico volutamente umanismo e non umanesimo). Si vantano di aver superato nietzsche, di essere immuni dallo scientismo, e invece guardali, annaspano per restare a galla. I social network, ecco, era per dire che ottengono il contrario. Come quasi tutti i tentativi pratici di esercitare il controllo che in teoria funzionano a meraviglia, nella pratica falliscono. Come aumentare la sicurezza sulle macchine fa diventare spericolati i guidatori che si sentono protetti e al sicuro. Metti un pugnale puntato al cuore sul volante e vedrai come vanno adagio. Ma senza arrivare a questi estremi se lasci le cose come stanno l'evoluzione farà sparire dalla circolazione il gene degli avventati in un mondo che non richiede più coraggio per sopravvivere. Guardate le cose da lontano ogni volta che potete, alzatevi in aria più che potete e abbracciate con lo sguardo più spazio che potete, e quando vi sembra di vedere parecchio vuol dire che è scattato l'inganno del regno terreno perché in realtà siete ancora a un millimetro dal pavimento.

I social network. Vedo gente con centinaia, migliaia di amici. C'è gente che segue/è seguita migliaia di non solo persone ma anche ditte, personaggi reali o immaginari, identità fittizie. Nascono come strumenti per socializzare e diventano strumenti di marketing, canali di comunicazione pull che selezionano la clientela meglio dei canali push e costano anche poco o niente. C'è gente pagata per impersonare gente famosa, così che tu abbia l'impressione di ricevere l'attenzione diretta e personale del tuo idolo mediatico. Non hanno più niente di sociale questi metaluoghi, ciberpiazze, tranne il nome. Gente con liste infinite di ciò per cui van fanatici, mi piace questo e sostengo quello, sport, politica, musica, per far sapere a tutti cosa ci fa sentire bene, cosa ci si sente parte. Una lista così chi se la legge per conoscerti meglio? Un maniaco, un serial killer, un biografo, chi? Oppure è per far sapere a chi capita sul tal sito che fra i fans ci sei anche tu e se ci sei allora vale senz'altro la pena, come può non piacermi qualcosa che piace a te? Oppure è per fare in modo che il tuo beniamino vinca, abbia più fan del suo avversario, si volti e dica è grazie a voi che abbiamo – questi mezzucci retorici del dire noi e intendere io – raggiunto la vetta, i veri protagonisti siete voi. Certo certo, come no?

Internet si sta sviluppando in guisa di campo aperto per battage pubblicitari a costo irrisorio, veicolati dagli stessi utilizzatori finali, per replicare in modo artificioso (ovvero esercitare il controllo e il dominio) quello che all'inizio era un genuino emergere di persone carismatiche o talentuose, un naturale agglomerarsi di interesse attorno a opere e prodotti. Prima si è passati dal genuino e naturale alla blanda mafioseria dei gruppetti di amici che condividono interessi, attività, tifoseria politica o sportiva, e si linkano addosso e spingono o bocciano senza criterio diverso da simpatie o convenienze meschine. Adesso stiamo arrivando al successo progettato a tavolino: marketing virale, aspiranti performers (non si chiamano più cantanti, adesso si fanno chiamare performers, il che comprende anche i mimi e i suonatori ambulanti immagino) multimediali digital pop che si comprano il video musicale presso ditte specializzate in lancio di prodotti/marchi/artisti/va bene tutto basta che pagate. Perfino sul web fisico alla fine prevale la logica del controllo e dominio, con sottoreti brandizzate che limitano sia l'accesso sia i contenuti. Per cui i social network, che dire dei social network, con la loro capitalizzazione dal price earnings sconvolgente, le previsioni di sviluppo nella capillarità delle spinte promozionali e nella capacità di influenzare i consumatori. Anche i social network, la rete stessa, qualsiasi pulsione alla libertà (dico libertà, non dico anarchia) viene metabolizzata dall'imperio della conoscenza approfondita che distrugge l'oggetto osservato, il gatto è vivo il gatto è morto, degradando il misticismo a pratica di recupero dell'animalesco istintivo o la sublimazione di un fallimento mascherato.

martedì 17 maggio 2011

Feromoni.

Negli ultimi giorni la frenesia dell'attivismo politico ha contagiato persone che di solito non si prestano a veicolare la propaganda. I feromoni della tornata elettorale hanno galvanizzato le ranocchiette dell'attivismo fino al limite dello stress, per se stessi ma soprattutto per gli altri, nel caso specifico per me, che ogni volta non so più come fare per isolarmi dal bombardamento di opinioni non richieste, di slogan, tifo, insulti, fischi e pernacchie, applausi e scappellamenti, insomma tutto il repertorio dello scassamento di coglioni all'ennesima potenza come solo la politica e lo sport riescono a far montare. Internet al posto di offrire oasi di pace si rivela la trincea dove anonimi professionisti dell'irritazione e della provocazione gratuita si divertono a violentare qualsiasi tentativo di dialogo, di ragionamento, di serena valutazione dei programmi. Si tratta ormai di guerra senza esclusione di colpi bassi, dove si può dire tutto e il contrario di tutto, una cosa vera la si stravolge al punto che chi l'ha detta deve adeguarsi e accusare se stesso per aver prestato il fianco al nemico fornendo l'opportunità di ribaltare i fatti. Non contano i programmi ma le persone, si vota contro uno che ci sta antipatico, si vota per chi ha una faccia più allettante, si vota per chi si è sentito nominare più spesso nelle ultime ore. Questa è la verità, lo sapete anche voi che fate finta di niente o che fingete di cadere dalle nuvole.

C'è inoltre una patina nauseabonda di ideologia che sopravvive e ricopre di emozioni e sentimenti quelli che dovrebbero essere invece programmi di governo, cosa si vuole e cosa no, come ci si pone nei confronti di, come si ha intenzione di risolvere il tal problema. Si usano parole d'ordine, potrei elencarne a decine, non si dice cosa si vuole tassare, no, si dice che si è a favore della giustizia, contro la povertà, un po' come le candidate a miss mondo nelle parodie demenziali che alla domanda sul loro più grande desiderio rispondono tutte quante 'la pace ne mondo'. Argomenti pericolosi come le tasse, che sono l'attività principale di ogni governo, la redistribuzione delle risorse attraverso erogazioni dirette e servizi garantiti. Questo fa il governo: prende i soldi qui e li mette là. Può farlo anche semplicemente stampandoli, i soldi. È proprio quello che ha fatto l'Italia furbetta per decenni, stampi soldi, produci inflazione, i risparmi perdono valore, nessuno risparmia e dunque compra di tutto e investe pur di non farseli mangiare dall'inflazione. L'inflazione riesci anche a esportarla se sei in regime di cambi fissi o nel serpente monetario, ci riesci fino a quando gli stranieri non ti dicono 'ok, ci hai derubato abbastanza, adesso basta' e la tua moneta da un giorno all'altro si svaluta del 10%, del 30%, del 70%.

L'Euro è in sostanza lo strumento che è stato adottato per impedire il solito giochetto che vi ho appena descritto. I vincoli di bilancio servono proprio a quello, a impedire di fare i furbi a quelli che stampano moneta per i bisogni dello stato. E chi si arrabbia sono soprattutto quelli che vogliono che continui il paradiso dello statalista socialista: le tasse sono formalmente basse perché i soldi non hanno bisogno di prenderteli, te li sfilano con l'inflazione, stampando tutte le banconote che gli servono. Poi ci si ritrova con deficit, con debito pubblico alle stelle e a chi danno la colpa? Ma agli evasori fiscali, a chi sennò? Ai ricchi, ai padroni, di certo non al povero disgraziato che fa fatica a tirare la fine del mese. È da quando sono nato che la gente fa fatica a tirare la fine del mese, da quando sono nato che 'se non ci fosse l'evasione fiscale'. Sento raccontare le stesse cazzate da decenni e non ne posso veramente più. Sono falsità, sono stupidate, sono ragionamenti da rincoglioniti genuini o da truffatori consapevoli. Se volessero colpire seriamente l'evasione avrebbero modo di farlo, ma a che prezzo? Quante attività imprenditoriali chiuderebbero, quanta gente a processo e in galera? Non stiamo nemmeno a spiegare le differenze fra nord e sud, se ancora qualcuno non le conosce vuol dire che vive su Marte perché negli ultimi anni, di fronte ai dati e alle statistiche, nessuno è così pazzo da ridimensionare il problema o sfruttarlo per dare colpe a vanvera e suggerire le solite forti iniezioni di contante.

Stare nell'Euro significa eliminare l'evasione fiscale perché le tasse diventano l'unica fonte di soldi, non si può stampare moneta a piacimento. Se non si riesce a eliminare l'evasione ecco che occorre fare grossi tagli di spesa. Avremo evasori sempre ricchi come prima da una parte e uno stato che non ha più soldi per fare nulla. Toh, è proprio quello che succede in Italia! Ho indovinato, che fortuna, eh? Oppure si esce dall'Euro e si ricomincia a stampare soldi – a quel punto si potrebbe anche eliminare del tutto le tasse, lo Stato stampa quello che serve e se stampa troppo implode come capita ai paesi comunisti dove a un certo punto ci si trova con uno che lavora e dieci che ci mangiano sopra. E in questo dilemma di cosa parla la gente? Di troie e di rivoluzione. Che candidati predilige? Gli estremisti di ogni stampo e colore. Senza che nessuno venga fuori a spiegare loro un paio di cosette, delle quali questa sopra dell'Euro è solo una delle tante. No, assecondano la coglioneria generale del cittadino medio, ignorante e felice di esserlo, la buttano in caciara, si urlano addosso, si feriscono a colpi di sguardi con la ferocia pacioccosa del tagliagole mancato. Branco di buffoni che non sono altro. Non ce n'è uno che tiri fuori uno studio per impedire, ad esempio, che il made in Italy sia il mettere l'etichetta su roba fatta in Cina, una proposta per defiscalizzare le imprese straniere che decidano di venire da noi, che avanzi strumenti pratici per migliorare l'organizzazione, per promuovere sincretismi, per sostenere lo sviluppo in settori critici.

No, sono troppo occupati a litigare per rubarsi la poltrona, la poltrona che permette di sistemare un mucchio parenti e amici, e amici degli amici degli amici. In paesi seri ci sono due partiti che vogliono portare il paese nella stessa direzione e chiedono all'elettorato di scegliere il modo che preferisce fra due opzioni entrambe valide. Noi abbiamo cento partiti, alcuni vogliono farci diventare come Cuba o la corea del Nord, altri come la Svizzera o gli Usa, altri come la Svezia o un califfato emirato però con tanta sabbia e zero petrolio. Partiti che non trovano di meglio da fare che estremizzare e radicalizzare il confronto, e quando finirà con feriti per le strade ci sarà gente che festeggerà pure quello, gridando evviva, sta cambiando tutto è la revolucion! Robe da matti. Abbiamo migliaia di comuni. A questo giro ci sono stati 20mila candidati, dico 20mila. Se ognuno di essi mobilita 100 persone – una stima molto prudente – significa che 2 milioni di persone sono entrate in fibrillazione per lo spettacolo deprimente delle elezioni. 2 milioni su 12 milioni di votanti significa il 16%. Un sacco di gente vive direttamente o indirettamente di politica in questo paese. La politica da noi è un business e chi non l'ha capito, chi si lascia irretire e suggestionare dalla retorica del conflitto ideologico e dai richiami alla partecipazione è solo un povero mentecatto che si merita tutto quello che gli accade e gli accadrà perché se lo sarà tirato addosso con le proprie mani. Non è questione di astensionismo o voto di protesta ma di classe dirigente, di classe politica incapace di responsabilità e lungimiranza.

mercoledì 11 maggio 2011

Fattore umano.

Nella vita avrai sempre a che fare con singole persone. L'inferno sono le altre persone, diceva Sartre, nel suo schifo per l'autocoscienza esistenziale, fragile illusione utilizzata per ingannare la consapevolezza del nulla. Non il filosofo più simpatico del mondo, e molti arrabbiati come lui che battono la testa sul muro del pianto che li separa dall'assoluto, dall'infinito, dall'ideale, dall'utopia. La prigione della concretezza, la semplice necessità del male, l'insignificanza dell'attuazione quando non esiste durevolezza del presente e le possibilità della logica infinitesimale, rubata all'analisi dei limiti prima del paradiso di Cantor e dell'esponente dimensionale, vanificano ogni pretesa di valorizzazione. Certo, il fattore umano non avrebbe alcun peso se l'esistenza non comportasse la desolazione provocata dall'incessante rinnovarsi della separazione dolorosa che ci definisce per negazione, io sono io in quando non sono altro da me. Un 'se' mediante il quale è stata costruito un discorso filosofico dalle pretese definitive come l'esistenzialismo, molto lontano dalle semplificazioni narcisistiche, autoreferenziali, self supporting e self confident degli ontologici prima maniera, quelli del principio primo che non ha bisogno di conferme dall'esterno. Tutt'altro, gli altri non sono il prodotto dell'io senziente, la proiezione, l'elaborazione - lo sono, ma in termini psicologici semmai, non prettamente esistenzialistici – ma gli altri sono ciò che contribuiscono al fondamento della possibilità di autopercezione genuina, separata, mediata e sostenuta dal confronto con gli altri. Gli altri sono l'inferno per l'individuo, strano detto da uno che sta raccontando per lìuomo ciò che viene da sempre raccontato nelle principali religioni mondiali, un filosofo che si dichiara ateo contro ogni previsione e decide di sostenere la fede esclusiva nell'uomo in atteggiamento difensivo, come se temesse il ripetersi della morte dell'umanesimo sperimentata in uno dei periodi più bui della storia, alla quale Sartre partecipò di persona, durante il quale la cultura si spinse sulla strada dello scientismo assecondando un rigetto covato per secoli nel nido della metafisica ignorante (ignorante per forza di cose, non per scelta). Eppure è proprio lui che parla di uomini, di responsabilità personali, per nulla eterodirette o sovrastrutturali, sarebbe più coerente aspettarsi di sentirlo accusare gli altri, quegli stessi altri che sono l'inferno per ciascuno di noi, che non necessitano di conflitti eterei nel campo di battaglia concettuale per sortire effetti deleteri sullo svolgersi nel mondo reale delle nostre drammaticamente singole e intrecciate esistenze. Allora che senso ha preoccuparsi di influenze culturali sui possibili comportamenti quando non si tratta altro che l'avverarsi di una delle infinite e altrettanto valide possibilità di esistenza? La risposta è che anche Sartre è un individuo, è l'inferno altro per qualcuno e forse anche per se stesso volendo approfondire l'analisi.

Bene, ma non volevo parlare di questo. Volevo in realtà cogliere l'occasione di fare la mia bella citazione dotta per suggerire una riflessione in termini molto più discorsivi sull'importanza degli altri sulle nostre vite. È importante per la nostra salute fisica e mentale non ipotizzare e confidare nell'esistenza di meccanismi in grado di bypassare il fattore umano. Ci saranno sempre individui che commettono errori di valutazione o di giudizio, che occupano posti di responsabilità senza le necessarie capacità o vittime di confusione temporanea nel momento più sbagliato per alcuni e migliore per altri. Il mondo è fluido, la realtà è cedevole, l'equilibrio non esiste la fuori, è dentro alle vostre orecchie, per il mondo il fatto che riusciate a stare in piedi è del tutto privo di importanza o significato. Non siete niente, non sapete niente, non avete nessuna importanza se non per quegli altri che sono disposti a concedervene (o a privarvene). Gli altri possono benissimo negare la vostra esistenza, depauperare è un termine abbastanza corretto, non riconoscervi meriti e diritti che vi sembrano naturali, razionali, giusti. La storia ci mostra percorsi emblematici con la pignoleria del postulante che aspiri al noviziato, lasciando con dolo passare il messaggio che la storia sia una macchina per produrre senso a tentativi, ottenendo prodotti via via meno scadenti, con meno difetti, che insomma vi sia una tensione al perfetto. Tutto ciò è criminale, è truffaldino, la verità è che la storia ha solo prodotto voi, la vostra generazione, voi che siete vivi adesso, qui, e non dovete niente a chi vi ha preceduto ed è morto. Voi che dovete faticare per anni al fine di recuperare e impossessarvi di un'eredità culturale che diventa anno dopo anno più ingombrante, più pesante, più difficile da maneggiare, più disgustosa da consumare. Molta di quella roba è stata mangiata, metabolizzata, digerita, e infine espulsa, decidete voi se rigettata o evacuata, col risultato di ottenere zuppe pre-masticate che insegnano come insegnare o minestroni più indigesti per imparare a essere vecchi fin da giovani. In tutto questo metteteci gli altri, quelli che singolarmente decidono la vostra vita, decidono se promuovervi, se accusarvi di qualcosa, se ritenervi idonei, se stare con voi o abbandonarvi, se farvi ammalare o aiutarvi a guarire. Gli altri, le persone che incontrate dal primo all'ultimo giorno della vostra vita avranno il potere di influire su di essa. Non solo, gli altri come gruppo decideranno anche per voi quale prodotto sarà il più venduto, quale partito vincerà le elezioni, chi entrerà a far parte della squadra e chi ne verrà escluso. Tutto ciò avverrà su basi irrazionali, nessuna garanzia, nessun rimborso. Vi dicono di aver fede nel sistema, vi dicono che dovete credere in voi stessi, che dovete continuare a lottare, ma non vi mostrano le fosse comuni, le vite degli antieroi, le testimonianze dei perdenti. La religione dell'ottimismo è così da Sartre, l'esistenzialista che non vuole esserlo ma non sa trovare la via d'uscita e si accontenta di immaginarne una sbagliata pur di trovare uno straccio di consolazione. Dopo l'implosione dello scientismo, i rantoli dell'umanismo. Se una visione del mondo vi fa stare male, rifiutatela, se avete dentro di voi un pizzico di equilibrio, potete raddrizzare interi orizzonti. Alla fine si torna ai fondamentali e si riparte, se foste nati altrove o in un altro tempo dareste tanta importanza a ciò che in questo momento vi sembra irrinunciabile e degno di qualsiasi sacrificio? Gli stessi vostri difetti li hanno anche gli altri, voi mentite e gli altri pure, voi sbagliate e gli altri pure, voi siete a disposti a penosi compromessi pur di ottenere scopi non sempre altruistici, anzi, pensate a voi stessi, alla vostra famiglia, ai vostri amici, non credo siate molto interessati ai destini dell'umanità quando fate tutto ciò che viene richiesto dagli impegni quotidiani. Lo stesso accade per gli altri, non sono santi/robot/ceniodi1kane, sono esseri umani esattamente come voi che non stanno cercando il masochismo del diventare poveri, avere fame, ammalarsi, morire pur di rendere felici gli altri. Gran parte del bagaglio che ci trasciniamo dietro può venire perso per strada, e quando c'è la possibilità di ripartire bisognerebbe farlo, nessuno si porta in giro una carrozza nel baule di una macchina, appositamente costruita in modo da poter ficcare un'intera carrozza con tanto di pariglia nel bagagliaio, per non perdere le scoperte e le esperienze avvenute nel corso dei secoli. Chi vi dice che senza carrozza non andrete mai davvero in nessun posto e non potrete raggiungere una destinazione reale probabilmente costruisce e vende carrozze, o non sa guidare. Gli altri saranno pure il nostro inferno, strabico ometto dai modi raffinati, tu e la scontata filantropia dei benestanti e dei benpensanti, ma gli altri sono anche in grado di convalidare il nostro biglietto per il paradiso.

martedì 3 maggio 2011

Social Darwin

La più grande baggianata che viene sostenuta a proposito delle teorie di Darwin è la legge del più forte. Non è così, è solo una delle moltissime semplificazioni sbagliate che a lungo andare prendono il posto della verità. E, guarda caso, è un esempio perfetto del darwinismo in azione: la verità è più forte ma non vince. È la spiegazione mediamente più comprensibile, e sottolineo mediamente, quella che si impone, che presenta un maggior numero di esemplari in vita, la verità finisce per abitare un ecosistema limitato e precario, lottando contro il pericolo di estinzione. Abbiamo visto in azione la dittatura della mediocrità anche in precedenza, quando parlato del far west inteso come assenza di regole in economia e non come mancanza di forza di un'autorità in grado di fare rispettare le regole, quando abbiamo parlato della leggenda sul voto informato dove invece l'attore non riceve/cerca le informazioni e anche qualora entrassero in suo possesso non sarebbe in grado di elaborarle. Il passepartout concettuale per svelare il funzionamento reale del sistema è appunto il buon vecchio Darwin, la sua capacità di dire l'ovvio che nessuno vuole ascoltare: le cose vanno così perché non possono andare altrimenti. Non c'è modo di innescare la razionalità, e specialmente la morale tipica degli umani, nei processi naturali, meccanici, vincolati a regole che non possono essere modificate a piacimento.

La dittatura della mediocrità è la stessa che rende compatibili gli opposti, accettabili le contraddizioni, vivibili i paradossi. In quella fascia grigia della mediocrità, in cui viviamo tutti, volenti o nolenti, anche coloro i quali se ne credono fuori, si convincono di esserne fuori o al di sopra, anzi, spesso sono proprio i mediocri per eccellenza a credersi straordinari e a sentire il profondo bisogni di sentirsi tali. Se invece accettiamo la nostra mediocrità e lo straordinario potere che la mediocrità esercita sulle comunità, le collettività, i branchi, i greggi, le razze e le specie di animali sociali o individuali che siano, allora ci verrà facile comprendere perché ogni tentativo di forzare la mano agli eventi, attività prediletta di chi vuole realizzare le ideologie politiche, sarà sempre fallimentare. Non sopravvive il più forte quando si passa dal confronto fra singoli individui e gruppi numerosi di individui: nei grandi numeri vince il più numeroso. Vincono i ratti, le formiche, gli scarafaggi, non gli uomini, eppure l'uomo schiaccia un insetto, avvelena un topo, ma loro sono tanti, si riproducono a ritmi forsennati, sono immuni a malattie che uccidono l'uomo, sanno sopravvivere e prosperare in condizioni estreme.

Quello che capita sul terreno della fisicità capita anche in quello della cultura: la persona intelligente da sola non può nulla contro la dittatura della mediocrità. Non è un termine offensivo, la mediocrità è lo standard, è la normalità, chi è troppo o troppo poco rappresenta la diversità, lo scostamento dal valore medio, l'esperimento che sul terreno della fisicità si realizza con inedite combinazioni genetiche, sul terreno della cultura con pensieri non condivisi dalla maggioranza, magari dopo secoli lo saranno e tutti penseranno che la terra gira attorno al sole, ma al momento no, sei il più forte ma non vedrai affermarsi o meno la tua discendenza, puoi solo testimoniare il tuo pensiero esprimendo la tua opinione come testimoni col corpo la tua dotazione cromosomica. Il rischio che corrono i diversi è sempre lo stesso: emarginazione, eliminazione, impossibilità di riprodursi. Lo stesso accade in ambito culturale: ostracismo, mancata pubblicità, critica negativa, mancato sostegno pubblico. Nessuno vuole venire associato al diverso, perfino i discepoli di Gesù l'hanno rinnegato per non incappare nella repressione che tutte le dittature pongono in essere, compresa quella della mediocrità.

I meccanismi di formazione dell'opinione dominante sono emblematici per comprendere il funzionamento del darwinismo naturale in campo sociale e culturale. Laddove cessa l'ipotesi di una ragione superiore che governa in maniera infallibile i processi naturali, il rassicurante Dio pre-evolutivo, si libera il campo al dominio dell'opportunità razionalmente vincolata, peccato che i vincoli siano molto ma molto deboli, sottomessi alle esigenze produttive e ri-produttive della dittatura dei mediocri. Non c'è colpa in questo, intendiamoci, essere mediocri non è una colpa imputabile ai singoli ma al massimo, per i filosofi e i teologi, a un'entità soprannaturale che si realizza nella storia come antitesi, come nemesi, come avversario, agendo per tramite di decisioni collettive, dettami del cosiddetto buon senso, lo spirito dei tempi, il determinismo storico, il finalismo politico-religioso e via dicendo. La presa di coscienza individuale e collettiva del quadro di riferimento che si deve tenere presente nell'esercizio legittimo della mediocrità nel senso più largo della parola potrebbe condurre a una più sana e umile dialettica del confronto, specialmente in condizioni di socialità evolutive, che hanno perduto il fondamento paternalistico che univa e guidava la società tribale alla quale molti uomini ancora oggi, più o meno consapevolmente, anche nelle democrazie più avanzate, guardano con nostalgia.

Volevo anche parlare dei caporali che scelgono lavoratori da sfruttare per 5 euro l'ora nell'Italia del 2011, volevo parlare anche dei complottisti che si sono lanciati sull'affaire Bin Laden per lanciare anatemi e stabilire ragioni e torti come un capoclasse che scrive sulla lavagna l'elenco dei buoni e dei cattivi, non so quanto altrove ma la sindrome del capoclasse in Italia si è molto diffusa, e di come ogni fatto venga giudicato in base a criteri di branco, di gruppo, di partito, e così ogni persona, a prescindere da ogni tentativo di giudizio oggettivo basato concretamente su parole, opere e omissioni. E considerazione di valore che non sentono ragioni producendo ridicole gag che si credevano già superate dal sillogismo greco degli antichi sofisti e inceve sono tornate in auge, promosse dalla dittatura della mediocrità a non plus ultra dell'essere alla moda, al passo coi tempi, come deve essere per il vincente, rispettabile, dignitoso uomo moderno, a partire dal tutti devono avere libertà di parola e ti impongo di tacere se non sei d'accordo per finire con meglio terroristi che capitalisti. Anche lo schiavismo del lavoro nero, la disinformazione propagandistica che si sperava scomparsa insieme alla guerra fredda, sono tutti aspetti riconducili al darwinismo sociale e culturale. Addirittura, volendo, si può applicare lo schema anche alle dinamiche del bullismo scolastico o dell'aspirazione alla popolarità negli adolescenti. Ma per oggi basta, sugli argomenti di oggi bisognerà ritornare un giorno, sono parecchio vasti e ingombranti, oltre che interessanti.