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giovedì 22 marzo 2012

Liberi di non esserlo

Come il giusto non è mai completo anche la libertà non mai assoluta. Dato un sistema di regole qualsiasi ci sarà sempre qualcuno che si sente fin troppo libero e chi si sente prigioniero. È un fenomeno sociale anch'esso paragonabile a eventi fisici, che obbediscono a leggi universali o comunque a vincoli di realtà. Anche parlare di libertà è spesso solo un modo per imporre un volere che si ritiene preferibile il linea di principio o per via delle finalità che si perseguono. Sono tante le parole chiave che simboleggiano l'assolutismo ideologico di un'epoca che ha fatto suo l'estremismo sentimentale e il fondamentalismo positivista, esplicitandoli all'interno di un'economia sviluppata per mezzo di un'impennata tecnologica unica e irripetibile, basata su risorse destinate a un rapido esaurimento. Questione di decenni e ci lasceremo alle spalle una parentesi durata più di due secoli. Tutto è collegato, non si può parlare di cultura come qualcosa che avviene al di fuori delle concrete situazioni esistenziali della popolazione, che ignora guerre, ideologie, invenzioni, redditi, diritti. E parlare di cultura significa anche parlare di libertà, se si ha la libertà di farlo.

Non si ha la libertà di parlare della libertà per tanti motivi: perché è una parola sequestrata da un partito politico o da un movimento eversivo, perché in un certo periodo storico o in un certo luogo geografico è una parola che viene associata a altre parole meno condivisibili tipo libertà sessuale, libertà dei mercati, libertà di movimento di merci e persone. La libertà è anch'esso un valore bifronte, una lama a doppio taglio, come il giusto di cui ho parlato qualche giorno fa e come tanti altri concetti che servono per dividere e non per unire, come quel tizio venuto a portare il fuoco sulla terra, no, non Prometeo, nemmeno un qualsiasi lucifer mitologico, quell'altro. La libertà è più complicata da gestire per via dei paradossi che genera fin dal principio, quando si discute fra il dire e il fare. Perché si può dichiarare che esiste la libertà di, che è lecito, che si può, ma non basta a impedire che ci sia paura a esercitarla, o se non paura convenienza, o preferenza per quieto vivere. È qui che si distingue una società libera da una che no, uno stato libero da uno che no.

Per esempio puoi garantire la libertà di pensarla come si vuole, di dire quello che si vuole, di credere in quel che si vuole. Grandissime libertà. Fondamentali per l'espressione completa di un essere umano. Eppure nei fatti queste libertà non esistono. Mai. Da nessuna parte. Non solo il mondo è ingiusto ma adesso salta fuori che la libertà è un'illusione. Nessuno è libero. Siamo solo liberi di crederci tali. Dove andremo a finire, signora mia? Che tempi viviamo! Non voglio nemmeno ascoltare certe sciocchezze, andiamo via. Prego, signora, l'uscita è da quella parte, liberissima di tapparsi le orecchie. Dicevo la libertà è solo di chi non si trova in condizione di doverla esercitare. Ti senti libero se ti esprimi con belati, hai le corna e sei circondato da caproni. Ti senti libero se sei biondo con gli occhi azzurri e sei circondato da svedesi. Ti senti libero se le tue opinioni, quello che pensi e quelli che hai la libertà di dire, coincide con quello che pensa e dice la gente attorno a te. Il giorno in cui tutti dicessero cose che ti irritano cominceresti a capire cosa significa libertà.

E fin qui non sarebbe nulla. Semplice dialettica, dialogo, confronto, amorevole fratellanza, convivenza pacifica. Se ti piace sgozzare galletti e imprigionare anime in vasi di terracotta invocando il baron samedì allora cominci a trovarti a disagio se ti trasferisci da un'isola dei caraibi in una cittadina texana dove si gira con speroni e pistole e si fa il barbecue tutte le domeniche. Ma d'altro canto che senso ha parlare di libertà se tutti la pensano allo stesso modo, fanno le stesse cose, nessuno si prende la libertà di. Per cui parliamo sempre di libertà relativa, di un certo grado di libertà, potenziale ed effettiva. Se qualcuno vi dice libertà come se dicesse una cosa infinita probabilmente si confonde con la prima volta che ha sperimentato l'orgasmo, sorridete a annuite fino a quando va a rompere le scatole a qualcun altro. Altro paradosso, stavolta a valle, della libertà, è che assume importanza in funzione di quanto poca si percepisca di averne. Come l'amore: più ne hai e più lo dai per scontato, più ti sembra inutile. Più ne dai e più ti sembra rubato, eccessivo, svalutato.

Invece in questi tempi di stupidità benestante il giusto, la libertà, l'amore sono oggettivizzati, reificati, svalutati dal materialismo come i giocattoli smontati e resi irreparabilmente inutilizzabili da un bambino curioso, per vedere come sono fatti dentro, come funzionano; se lo fai con una cosa viva poi non ti stupire se diventa fredda e morta. Se non lo fate ora non importa, ho tempo, posso aspettare, arriverà il giorno in cui mi darete ragione. Facciamo degli esempi. Quanta libertà se è necessario discriminare per dare lavoro a qualcuno? Discriminare intendo sia per motivi ideologici che economici. Per esempio non ottieni i finanziamenti pubblici perché passano dal partito al momento al potere. Oppure perché il pubblico non compra prodotti che lo identificano con una posizione politica: tipo il disco di un cantante impegnato che si è schierato a favore o contro un canditato alle presidenziali. E la libertà è un prezzo molto alto da pagare quando significa rifiutare di essere pagati per quel che si fa, e in molti casi lavorare si riduce a quello: venire pagati per cose in sé prive di valore.

Ma anche la possibilità di accoppiarsi è un valido incentivo a pensare le cose che ti fanno sentire libero e non quelle che ti fanno sentire strano. Dire le cose che ti procurano click sul tasto 'mi piace' da parte degli altri e non quelle che la gente inizia a far finta di non conoscerti. La libertà ha un prezzo altissimo, sempre, che può arrivare a dare la vita, a morirci sopra. Quei finali da morì povero ma felice, morì in prigione ma in pace con se stesso, venne torturato ma non rinnegò né una volta né tre. Di libertà se ne riempie la bocca chi si schiera dalla parte dove la libertà è gratuita, perché quelli che conoscono il prezzo della libertà autentica sanno che è un pessimo affare. Chi combatte per la libertà combatte per imporre la propria perché non esiste potere, istituzionale o emergente dalla coercizione della maggioranza, che non sia illiberale. Non è un discorso anarchico, l'anarchia tratta la libertà come l'ateismo tratta dio: escludendolo, squalificando l'interlocutore, ignorando il problema.







[Da qui si può smettere di leggere.]





Nel paese in cui sono nato e in cui vivo, per fare un esempio che conosco ma anche altrove è la stessa cosa, anche peggio, è la società umana che è fatta così, dal branco di primitivi che vivono nelle grotte ai giaccacravatta sempre in riunione a commentare grafici. Nel paese in cui vivo non esiste una destra di stampo anglosassone, perfino il termine 'destra' è offensivo. Di conseguenza tutto ciò che non è considerato di sinistra diventa automaticamente sospetto, brutto, malvagio. Un clima dove la mancanza di libertà si misura in quanti si dichiarano di sinistra, tantissimi, e quanti di destra, nessuno. Siamo pieni di attori, cantanti, scrittori, giornalisti, presentatori, calciatori, comici, musicisti, registi, professori, scienziati, industriali, sociologi, medici, tutti di sinistra o la massimo di centro, cattolici moderati, liberali riformisti. Di destra? Nessuno. Solo quelli iscritti a qualche partito che si richiama a valori della destra socialista del primo '900 che non sanno fare altro e prendono abbastanza soldi da sopportare la valanga di merda che si tirano addosso ogni volta che aprono bocca. Eppure siamo un paese libero. In Italia ci vantiamo di essere il paese più libero del mondo. Scommetto che anche i cubani si ritengono liberi in uno stato libero, una parte di essi, magari quelli che lavorano per il Leader Maximo, il Migliore, e vedono Cuba come un'isola con le fantastiche cadillac color pastello, la musica, i sigari, il rum e le belle ragazze: un paradiso per l'uomo con le palle, vedi alla voce Hemingway. Nei fatti Cuba è una dittatura dove la libertà, quella consentita e soprattutto quella esercitata, è pochissima. C'è gente che in Italia si sente libera allo stesso modo dei cubani, conformandosi al sistema, aderendo alle aspettative, non accettando di farsi spada che divide per farsi testimone vivente di una scelta di vita che va oltre, mira all'eterno, vuole dare significato a un'esistenza che non viene ridotta al quotidiano e al materiale. Non sto dicendo che sia sbagliato essere di sinistra, sto dicendo che dove non esiste la destra (la destra liberista di stampo anglosassone, non la destra televisiva della piccola borghesia, non la destra sociale del fascismo e del nazismo) è pretenzioso fingere di vivere in un paese libero. Da noi qualsiasi argomento non di sinistra viene utilizzato per etichettare di 'destra' chi lo esprime e per disprezzarlo e deriderlo come persona. Si prendono le singole persone e se ne fanno macchiette, si va a scavare nella vita privata per dimostrare che chi ha detto quella cosa di destra è una persona orribile. Al contrario se emerge qualcosa a carico di una persona di sinistra ci si volta dall'altra parte, si perdona, si inventano giustificazioni, si ribaltano le accuse facendo insinuazioni. Capite che ambientino? Uno appena appena furbo secondo voi cosa fa? Uno che vuole fare carriera da che parte si mette? Rischia di beccarsi una pistolettata nella gambe per aver firmato un articolo? Di venire ammazzato per strada per essere stato consulente di un Ministero? Esagero? Andiamo ancora più nel dettaglio: se dici troppe tasse fai demagogia perché le tasse sono belle e la colpa è degli evasori. L'immigrazione è un problema? Sei razzista, gli immigrati ci servono, fanno lavori che noi no, fanno figli che noi no. Statalismo? Sei anarchico, neoliberista, non ami l'Italia che i partigiani sono morti evviva Garibaldi. Aziende pubbliche? Finanziamenti pubblici? Vuoi la privatizzazione selvaggia, vuoi togliere diritti al popolo. I servizi pubblici sono costosi e di infima qualità? Servono più soldi, lo stato deve investire di più, è colpa dei tagli orizzontali. Il mercato è soffocato dalla burocrazia? Vuoi il far west nell'economia. I tempi e i modi della giustizia sono da terzo mondo? Attacchi la magistratura. Terrorismo rosso? Colpa dei servizi segreti deviati e della P2. Questioni etiche morali come aborto famiglia eutanasia? Sei un bigotto cattopirla baciapile amico dei preti pedofili, oppure un berlusconiano puttaniere corruttore padrone del vapore. Troppo debito pubblico? Colpa di agenzie rating e speculatori che ci hanno messo sotto attacco. Troppa inflazione? Colpa della finanza e dell'Europa dei banchieri che ci hanno messo nei pigs. La crisi economica? Colpa di wall street e di Bush. Troppa spesa pubblica improduttiva? Vuoi togliere il pane di bocca a chi non arriva a fine mese. Israele? Palestina! Usa? Imperialismo, individualismo egoista, luogo infernale dove il capitalismo fa morire di fame i poveri per strada e i malati senza soldi non vengono curati. Polizia? Assassini, fanatici delle armi incapaci di ribellarsi al potere. Questo è un paese libero, figurati se non lo fosse. Sentiamo, sei libero di scegliere di tirarti addosso i romani e i farisei, vivere tutta la tua vita isolato, solo tu e la tua cazzo di libertà, oppure puoi farti i cazzi tuoi, se proprio non vuoi partecipare cerca almeno evitare di metterti di traverso, pensa a fare soldi costruendo mobili nella falegnameria di papà e andare a pescare con gli amici nel weekend, cosa fai? In Italia, oggi, tu, che ti credi tanto libero, quanto facile ti viene esserlo? Quante opinioni non di sinistra hai? Non che me ne freghi, a me la politica fa schifo, tutta, ma non posso parlare di libertà così, sui generis, senza entrare nel merito per paura che sennò magari a qualche militante fanatico gli va il sangue alla testa e la bava alla bocca.

martedì 10 gennaio 2012

con un poco di zucchero la pillola va giù

Prendiamo il concetto di lavoro, e quindi di tempo libero, di salute, e quindi di benessere. Ora descriverò come la cultura odierna interpreta, o meglio impone all'uomo intellettualmente passivo, l'unità di misura delle masse, l'uomo che se il suo cervello avesse le mani non saprebbe nemmeno allacciarsi le scarpe, l'uomo che al massimo ri-produce il pensiero altrui mediante citazioni, analisi comparate, approfondite critiche, ma di suo non incrementa il patrimonio culturale in senso qualitativo, può solo aumentare la quantità di materiale fino a soffocare e schiacciare qualsiasi tentativo di comprensione al di fuori di un circuito ieratico, da casta mandarina, dove perfino il linguaggio non è più immediatamente accessibile e fruibile da un postulante cadetto apprendista. La cultura anch'essa come prodotto, come avviamento aziendale protetto da accordi di riservatezza, segreto industriale, know-how e capitale immateriale che si ammortizza vendendo nozioni a clienti bisognosi di un certificato per accedere ai club esclusivi delle professioni. Anche la cultura ha subito lo stesso processo che la cultura stessa ha riservato all'oggetto del suo agire, alla ragione della propria esistenza: al sapere. Il sapere esce dal trattamento materialista come merce, è la notte delle vacche nere, dove tutto è merce, tutto è concreto o non è, ha significato solo in quanto siamo noi a dargliene uno e tutto morirà con noi e niente esiste al di fuori di noi. Ma scendiamo di un gradino, parliamo di concetti più semplici: lavoro, salute, anche il singolo che viene condotto al guinzaglio dai padroni del vapore culturale e intellettuale, l'atomo sociale imbevuto di propaganda che è viene chiamato a fornire la risposta predigerita a domande retoriche di contenuto morale.

Lasciamo perdere la cultura, che è noiosa per definizione, e facciamo due chiacchiere sul lavoro. Oggi cos'è il lavoro? Oggi è uno stile di vita e una garanzia di reddito. Addirittura noi ce l'abbiamo nella costituzione, il lavoro, altri ci hanno messo la felicità, la giustizia, l'amore, noi ci abbiamo messo il lavoro. La nostra economia consiste nel dare soldi ai poveri affinché svuotino i magazzini delle fabbriche permettendo che i loro soldi vengano usato per pagare gli operai. Non produciamo merce, come altri paesi, no, da paese socialista che si rispetti noi produciamo lavoro. Gli altri producono elettronica, chimica, siderurgia, noi no, noi ci proponiamo sul mercato mondiale come consumatori, diciamo ai nostri amici produttori di merci che loro senza di noi vanno in recessione, che hanno bisogno di qualcuno che compri e che consumi, e che devono finanziarci. È così che ci si trova un debito pubblico enorme, finanziando a debito il benessere e scaricandolo sulle generazioni future, mal che vada, perché a un certo punto magari dichiari fallimento, consolidi, inflazioni, svaluti, insomma chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto. Potrei spiegarvelo in modo incomprensibile, usando paroloni, ma ho lasciato a casa il mio costume da mandarino alla corte dell'imperatore. Ma torniamo al lavoro, stavamo parlando del lavoro, oggi il lavoro non è l'unico modo, faticoso porco e ingrato, di procurarsi da vivere, oggi il lavoro è una componente dell'equazione benessere sociale nell'ambito di una politica totalitaria e assolutista nata dalla decomposizione del romanticismo in materialismo e dalla scoperta del petrolio. È semplice, lo può capire anche l'uomo che non ha mai aperto un libro se glielo spieghi con parole semplici e facendo esempio concreti, solo che se glielo spieghi poi come fai a guidare una società che non fissa il telescermo, non guarda unicamente nella direzione in cui punti il dito? Tu, uomo che ti credi al culmine di una parabola evolutiva, devi continuare a sognare e obbedire, non devi sapere, non devi capire, non devi nemmeno pensare, devi solo lavorare e comprare, e nel tempo libero devi fare figli.

Infatti limitiamoci a parlare del lavoro, ma anche della salute. Oggi la salute è un dovere, i medicinali sono strumenti che danno accesso alla bellezza, intesa come status symbol. Se sei bello allora sei sano, se sei brutto o vecchio allora sei malato, contaminato, marchiato dalle cicatrici del vaiolo, sei butterato come un delinquente un malvivente un avanzo di galera, non hai più diritto di lavorare e, lo sanno tutti, quando smetti di lavorare muori, vuoi forse morire? Sei depresso, mentalmente disturbato, hai tensioni suicide? Se sei bello allora sei anche sano, sei equilibrato, sensibile e intelligente, mente sana in corpo sano, sei onesto e affidabile, sei 'buono', la qualifica morale che si misura da una parte in termini di successo professionale – sei persona che fa un lavoro prestigioso, persona che viene ricompensata dal mondo con grosse somme di denaro per bilanciare i suoi sforzi altruistici - dall'altra parte in termini di estetica – sei persona elegante pettinata profumata bella pelle aspetto giovanile muscoli tonici, sei persona che viene premiata dal mondo come frutto dell'incesto meccanico fra natura e scienza, con l'eterna giovinezza il buonumore la saggezza divenuta realtà nell'incarnato tinta delicata. Abbiamo dunque lavori dai connotati esoterici (con linguaggi dedicati e vocabolari iniziatici), lavori che identificano il senso della vita con il proprio ruolo all'interno di una ragnatela relazionale fatta di riti e apparenze, abbiamo ospedali-spa, farmacie-profumerie, la malattia che diventa esperimento di estetica del raccapriccio e salute che diventa esercizio di accanimento salutista. Tutto questo è esplicita rappresentazione del dominio culturale del fine a se stesso, e qui si entra nel filosofico, l'impossibile autosufficienza di un umanesimo privo di un aggancio nell'assoluto, non necessariamente ontologico, qui si declina vistosamente l'ideologia del relativismo nella concezione del lavoro e della salute dei nostri giorni, ma è un cancro culturale con metastasi diffuse nei concetti più disparati, prendiamo se volete anche gli opposti di lavoro e salute, prendiamo tempo libero e benessere (benessere come mancanza della necessità di un prodotto salutare).

Il tempo libero oggi è noia, è spreco di vita, è spreco di denaro come mancata occasione di acquisto e consumo. Oggi il valore della vita è dato dalla capacità di spesa e vince chi allontana nel tempo la morte di più perché così facendo avrà avuto più tempo per accrescere il reddito e i consumi, migliorando la qualità della sua vita, accrescendo il proprio benessere, massimizzando la propria soddisfazione. Quando dal sociale si scende all'individuale, con il destino della masse che si dispiega insieme al divino nella Storia, da Hegel a Marx, e diventa malessere esistenziale in forzature razionali pragmatiche e disumanizzanti, ci accorgiamo che qualcosa non funziona, l'uomo decerebrato intuisce che l'origine di una sensazione di profondo disagio viene da fuori di sé ma cambia idea quando la grande voce tonante del grande fratello mediatico gli assicura che è lui, è colpa del suo peccato originale capitalista, legato all'egoismo, al mettere le proprie esigenze davanti a quelle altrui, è lui a essere disfunzionale, bipolare, antisociale. Non c'è bisogno di sottolineare quanto sia religiosa la pretesa del materialismo di essere orgogliosamente ateo. Assistiamo alla sistematica confusione del paradossale in un sistema che premia l'assolutismo totalitario fingendo di essere la risposta razionale alla fragilità dell'individuo, proprio come una chiesa confessionale, dove la comunità accoglie in seno con amore l'eretico che sia disposto a pentirsi a diventare un fervente adoratore, un martire volontario, trovando finalmente un senso alla propria individualità problematica annullandola nel sociale protettivo di un amore severo post-genitoriale per adulti rimasti orfani. La differenza con una chiesa è che lo Stato (o un'organizzazione criminale ben organizzata) ha la forza fisica di imporre le proprie leggi, farle rispettare, portarti via i tuoi averi e sbatterti a marcire in prigione (o farti frequentare per decenni i tribunali per difenderti, perché altrove si deve dimostrare la colpevolezza, da noi si deve provare l'innocenza, da noi finisci in carcere, ci stai dei mesi senza essere stato processato, e poi si vedrà, con calma). Non sto dicendo che l'anarchia (già me li vedo i trinariciuti sbomballare di far west e liberismo) sia preferibile, lo specifico per prevenire i soliti benaltristi e gli specialisti di trucchi retorici sempre in agguato.

Ma dicevo il tempo libero, oggi bisogna riempirlo. I calvinisti e gli stakanovisti a braccetto, la caccia al debosciato, all'approfittatore, al magnapane a tradimento, e i mandarini della cultura, che se il loro cervello avesse i piedi li userebbe per inciamparci, non ti dicono niente, non ti spiegano niente, a te uomo formica in balia degli eventi, a te che annaspi alla ricerca di una spiegazione a misura della tue limitate capacità mentali, non ti fanno dare un'occhiata la manuale delle istruzioni. Andiamo avanti a chiacchierare, parliamo del ruolo dell'intrattenimento come prodotto di consumo misurato in termini di controvalore temporale, nel senso che ogni attività richiede tempo e il valore del tempo aumenta man mano che lo si cede come moneta invisibile. Il tuo tempo libero è vuoto se non ti intrettieni, e il vuoto significa cadere nel vuoto, significa il nulla, la morte, tu se hai del tempo libero e non lo sfrutti vuol dire che hai del tempo morto e il tempo morto uccide anche te. Il tempo libero deve essere vivo, non devi sprecarlo, devi investirlo in attività ludiche e alienanti, in questo risiede la denuncia di nichilismo e cultura di morte ripetuta molte volte da una minoranza di esponenti di religioni non (più) statualizzate, una cultura figlia menomata del romanticismo in cui viene sublimato il tabù della morte reale, concreta, pur incevandone il consumo in dosi industriali sotto forma di cronaca o fiction. È uno dei molti controsensi di cui ti ho già detto poco fa, uomo qualunque, paradossi sviluppati dall'evoluzione di una modalità superficiale di esercitare il pieno dominio di una comprensione, pur necessariamente limitata, della realtà. È la visione di una barbarie culturale sostenuta dalla tecnologia petrolifera, materialmente prolifica di merci ma intellettualmente sterile. È la modalità estintiva del piacere epicureo che si trasforma in edonismo onanistico, del sacrificio stoico che diventa spettacolarizzazione dell'altruismo, una imposizione egalitaria che sacrifica la libertà individuale in nome di una libertà collettiva di là da venire, che tarda per via di attriti conservatori e controrivoluzionari, una dispersione altruista di risorse sottilmente diverso dall'egoismo utilitarista quando si rivela intrinsecamente costruttivo e accumulante. Caro uomo consumatore lavoratore che non capisci neanche lontanamente di cosa sto parlando, io sono contento per te, ti voglio bene, beati i semplici, vorrei essere nei tuoi panni, la conoscenza aumenta il dolore, la scuola non dovrebbe essere obbligatoria, dovremmo viver come bruti, ho questo dubbio a volte che saremmo molto più felici se vivessimo nel medioevo, nell'età del bronzo, nella preistoria.

Mi sono distratto, dicevamo del lavoro, della salute, del tempo libero, del benessere, è proprio la ricerca spasmodica di un benessere fatto di oggetti inutili, di fatto, che non aumentano il benessere spirituale, non ti fanno sentire meglio, non ti rendono felice, anzi, ti senti male all'idea che devi lavorare per pagarli, per comprarne di nuovi, che ormai non puoi farne a meno, ti servono per lavorare, per vivere, sono il tuo polmone d'acciaio. Il benessere non è più inteso come libertà dal dovere ma come diritto al lusso, tutti hanno diritto a tutto, nessuno vuole doveri quando può avere diritti, e il tempo che una volta veniva dedicato all'approfondimento, al pensiero, al sentimento, oggi viene dedicato alla cura del corpo, alla messa a punto dello strumento di lavoro per eccellenza, il proprio corpo, da utilizzarsi per avere successo, vale a dire un lavoro giocoso che frutta fama ammirazione, in una parola audience, e soldi a palate dagli sponsor pubblicitari da spendere in benessere fisico. Questo è il libro che ci leggono i mandarini prima di metterci a letto, queste sono le favole che fanno di noi cavalieri e principesse, con animali parlanti e cattivi destinati a perdere. L'attività di arricchimento interiore fatto con le proprie mani, senza lasciarsi imbottire passivamente dalla merce dei mandarini, viene oggi percepito come spreco di energie. Il tempo che una volta veniva giudicato immorale ogni volta che serviva a divertire - che viene da diversivo, da distrazione, distogliere l'attenzione, disinteressarsene, non porsi domande, ignorare apposta, fregarsene - oggi viene esaltato come forma d'arte esistenziale, e lo slogan dei mandarini è: lasciaci lavorare, non ti preoccupare, ce ne occupiamo noi, tu pensa solo a divertirti.


mercoledì 8 giugno 2011

Una donna sola al comando.

Ogni tanto ricevo email come questa

"Ciao, mi chiamo Salim, ho visitato il tuo profilo in questo sito ha ottenuto il mio interesse!, ho amato e spero che possiamo essere buoni amici, o più di un friend. you può contatto me con il mio indirizzo e-mail. I sarà in attesa di ricevere la gentile risposta più presto, per cui io possa inviare le mie foto, vi prego di contattarmi qui con l'amore dal tuo cuore, hanno un giorno molto grande."

sono messaggi, voglio sperare, prodotti da organizzazioni più o meno criminali che gravitano nell'ambiente della prostituzione, della pornografia, delle agenzie matrimoniali, della tata per la nonna che magari fa servizi extra, insomma tutto può essere tranne che Salim incappi in me su internet e decida di scrivermi una mail del genere.

Mi è venuta in mente una cosa: perché se una donna riceve mail a sfondo sessuale si presume un maniaco e se le riceve un uomo invece si deve sentire lusingato? Perché io non mi sento lusingato, mi sento minacciato. Sarò paranoico ma queste cose mi fanno un po' paura. Se davvero fossi entrato nel mirino di Salim l'unica cosa da fare sarebbe avvisare le forze dell'ordine per controllare che non sia un pazzo maniaco assassino che sceglie le sue vittime su internet. Ma un uomo no, un uomo deve correre a verificare che esista la possibilità concreta di fare sesso con qualcuno. Il teorema è questo, specialmente in culture arretrate e in paesi malati, ovvero che l'uomo deve essere cacciatore e fare più prede possibile, come nelle isolette del mediterraneo che sparano a tutti gli uccelli di passaggio per il puro gusto di farlo, per tradizione, per virtuosismo. Se sei uomo uccidi e scopi e ti metti in mostra, se sei donna tieni gli occhi aperti, ti mimetizzi, cerchi di scamparla.

Il maschio subisce una discriminazione al contrario che implica diverse conseguenze. Per esempio leggevo un pezzo su un blog che parlava di regole per la sicurezza dei figli, in particolare c'era questo suggerimento: nel caso si smarrissero in un luogo pubblico, come per esempio al supermercato, di rivolgersi subito alla donna più vicina, meglio se una donna con bambini, evitare di rivolgersi a uomini. Ho inviato un commento chiedendo la ragione mi hanno risposto che si sa che gli uomini sono violenti, che la probabilità di incontrare un pedofilo sono più alte, che insomma i bambini sono vittime potenziali degli adulti. Come se parlassimo di leoni, i quali si sa che hanno la discutibile abitudine di uccidere i cuccioli sia propri che altrui. E invece nella nostra cultura l'uomo è classificato come pericoloso a prescindere. Nella realtà è l'unica fonte di reddito della famiglia, in caso di divorzio paga gli alimenti e la casa viene assegnata alla donna, non ha mai picchiato nessuno tanto meno moglie e figli, insomma è una bravo cittadino/marito/padre che ha la grave colpa di essere nato uomo.

Come questa faccenda dell'allattamento. Ci stanno facendo una testa così per fare in modo che le donne allattino e la cosa, vedi quanto è assurda la realtà?, è vista come una conquista femminista. Negli anni della contestazione le donne moderne salutavano con urla di giubilo il biberon come strumento di libertà e di emancipazione dal ruolo costruito sul sessismo machista e sciovinista, adesso protestano perché non tutti i locali pubblici sono entusiasti di vedere una mamma sfoderare una tetta e ficcarla in bocca all'infante. Non scatta la hola e l'applauso quando la madre apre la finestrella del reggiseno facilitato da puerpera (certo che me ne intendo di lattanti, forse un padre non può capirne di neonatologia per deficienza genetica?) e va avanti a telefonare o bere il cappuccio come se una parte di sé non finisse in questo preciso momento sotto forma semiliquida nella bocca di un altro individuo parecchio affamato. Che poi se chiedi di scaldare il biberon ti guardano strano lo stesso ma almeno non ti viene il dubbio che un mucchio di curiosi ti stiano fissando di nascosto il petto.

Non dipende in fondo né dai maschi né dalle femmine, entrambi i sessi vanno d'accordo quando si tratta di nutrire pregiudizi. Ci sono delle differenze insuperabili e scientificamente dimostrabili, ma quando si tratta di relazionarsi, di valutare costi benefici, di esercitare il potere, di raggiungere posizioni di supremazia relativa, di ottenere risultati anche a scapito dei risultati altrui, sono tutti casi in cui il peso delle differenze concrete si riducono parecchio e, viceversa, aumentano di importanza le differenze culturali, quelle che trovano giustificazione in scelte giuridiche e comportamenti ritenuti normali. Le differenze più ingiuste non sono infatti connaturate ai muscoli o al cervello, sono piuttosto consuetudini e tradizioni, le affermazioni che appaiono immediatamente condivisibili ma che analizzate a fondo si rivelano tutt'altro che vere. Sono fenomeni culturali di massa che tendono all'autoconferma, come le previsioni irrazionali sui mercati azionari, come il terrore che la banca fallisca spinge tutti a prelevare i contanti e questo fa fallire davvero la banca che altrimenti non sarebbe fallita, come l'annuncio pubblico di epidemie che poi non avvengono grazie a comportamenti di prevenzione che il panico stesso ha provocato.

Allo stesso modo abbiamo uomini che si conformano all'uomo platonico proposto dalla società in cui vive e la cui ombra viene proiettata nella grotta dell'inconscio collettivo e donne che si aspettano che gli uomini lo facciano. Se un uomo non si adatta sia gli altri uomini che le donne non o considerano vero uomo, se si applica invece gli altri uomini lo considerano adeguato alle aspettative femminili e le donne lo ritengono pietosamente troppo uomo nel modo in cui si perdona una colpa involontaria. Anche se il costo è così alto da indurre un bambino a diffidare e temere un qualsiasi uomo adulto, (e il se stesso maschio che diventerà crescendo, non sto dicendo che diventa gay o violento, e il se stesso femmina da grande continuerà a temere il maschio, non sto dicendo che diventa lesbica o sottomessa). Lo stesso vale per le donne, che altrimenti si rifiuterebbero di pitturarsi la faccia e spaccarsi i piedi sui trampoli, altro che allattamento al seno. E i maschi starebbero a casa a spendere l'assegno di alimenti (per ora l'uomo sta solo cedendo poltrone in politica e nei cda, prima per legge, le quote rosa, come i posti riservati ai disabili, ora per convenienza, come si compra la macchina al figlio per impedire che usi sempre la nostra), è tutto da dimostrare che il casalingo sia un lavoro più pesante del camionista, del muratore, del vaccaro, del minatore, mica tutti hanno un lavoro impiegatizio di tutto riposo, un impiego di concetto si diceva una volta. E poi c'è chi si stupisce che l'istituzione famiglia è andata a ramengo, che non si sposa più nessuno, che i giovani sono confusi e sbandati.

giovedì 7 gennaio 2010

Fondata sul ridicolo.

L'ipotesi di modificare l'articolo 1 della Costituzione ha provocato una discussione - e già questo mi perplime – dai toni accesi – difficile trovare toni dimessi ultimamente – e la maggior parte degli interventi sono una levata di scudi: non toccate l'articolo 1!

L'articolo 1 dice “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

La questione verte su tre parole “fondata sul lavoro” e su quello che significano.

Prima di pensare a cosa significhi fondare una Repubblica sul lavoro, su cosa si può fondare una Repubblica? Non saprei.

Sul gioco? In Italia il giro d'affari del gioco è enorme, 50 miliardi di euro. Il gioco del calcio è una specie di religione nazionale. In televisione ci sono ore e ore di trasmissione dove si gioca per vincere premi e soldi. Potremmo affermare che la Repubblica italiana è fondata sul gioco?

Sull'efficienza? Sulla sicurezza? Sulla solidarietà? Sull'estetica? Sul merito? Sulla pubblicità? Sul risparmio? Sulla scienza?

Perché avere quelle tre parole nella Costituzione è meglio che non averle? Che vuol dire fondata sul lavoro? Forse il contrario di “fondata sullo schiavismo”?

In certi paesi il lavoro veniva considerato un diritto e in teoria bastava presentarsi all'ufficio competente e ti davano un lavoro. Non so se quello desiderato, quello per cui si era portati o semplicemente quello richiesto in quel momento dal sistema. Non so neanche se pagato in base a domanda e offerta o in base a tabelle ministeriali.

Ad ogni modo non credo esistano ancora al mondo paesi che garantiscano il diritto al lavoro in tal senso. Oggigiorno è piuttosto inteso come “se vuoi lavorare nessuno te lo può impedire”, ammesso che un lavoro lo trovi, che tu sia messo in regola, pagato il giusto e che tu riesca a tenertelo.

Quindi “fondata sul lavoro” non vuol dire che lo Stato deve trovarti un lavoro se non ce l'hai.

Allora vuol forse dire che se non lavori ti levano la cittadinanza? Devi lavorare fino all'ultimo fiato che hai in corpo, giorno e notte? Se accumuli ricchezza al punto da poter vivere di rendita te la tolgono perché tu possa tornare a lavorare? Ti cuciono una specie di stella di David sul cappotto se non lavori?

Mi sforzo ma non riesco a capire perché siano così importanti quelle tre parole. A me piacerebbe anche fondata sulla felicità, sulla libertà, sull'onestà, sull'onore, sulla famiglia. Sono sempre stato convinto, fin da piccolo, che chi dice di essere felice di lavorare o mente o è pazzo. Se fosse così bello da essere preferibile a, che so, giocare coi propri figli, fare l'amore con la persona amata, passeggiare su una spiaggia tropicale senza una preoccupazione in testa... beh, non si chiamerebbe lavoro, si chiamerebbe sostanza stupefacente e sarebbe illegale.

Per cui abbiamo una Repubblica fondata su una cosa brutta, che non piace a nessuno che sia sano di mente, che serve solo a procurarsi i soldi per vivere al meglio il poco tempo libero che ci lascia. Cosa cambierebbe in concreto se togliessimo la parola “lavoro” e ce ne mettessimo un'altra? Niente.

E tanto che ci siamo diciamola tutta: anche l'inno di Mameli fa schifo. Ce la vedi una grande cantante americana che all'apertura del superbowl, davanti a milioni di persone, canta la marcetta di fratelli d'italia? Si piangerebbe, non per la commozione, ma dal gran ridere.