venerdì 26 marzo 2010

Mi basta un riassunto (breve se possibile).

Guardo poca televisione, qualche documentario e poche altre cose che in rete non si trovano, programmi per bambini - anche quelli sempre meno dato che mio figlio, come me, preferisce il computer. Per qualche strano motivo la televisione è tuttora molto importante se si considera che la maggior parte, se non la quasi totalità, dei cittadini italiani alimenta il proprio cervello utilizzando come fonte esclusiva di informazione i programmi televisivi. Non che leggere un solo giornale, schierato a destra o a sinistra, possa garantire un'informazione completa. Fatto sta che la televisione sembra avere il potere di comandare le persone, di stabilire le opinioni dominanti riguardo a un fatto, di definire e convalidare la realtà. Se questo è vero e chi ha il compito di produrre contenuti televisivi lo sa, allora non si capisce perché la televisione propone sempre materiale così scadente. Se la televisione è un'insegnante non si capisce perché insegni di tutto tranne ciò che sarebbe utile insegnare. Almeno su Internet puoi cercare un'alternativa più edificante, se non in Italia nel resto del mondo, con la televisione sei obbligato a prendere la sbobba che ti propinano. La maggioranza dei cittadini è proprio la sbobba che vuole. Anche se fosse, la logica del mercato, in cui si dà sempre al cliente ciò che chiede, non è applicabile senza interrogarsi sull'opportunità di soddisfare una domanda ignorando gli effetti che ne scaturiscono. Per semplificare, siamo sicuri di volere un popolo di fessi e rincoglioniti? I ragazzini vogliono giocare, non studiare scienza e letteratura. Che facciamo, li accontentiamo? Quei pochi che capiscono l'importanza dello studio si cerchino da soli un modo di procurarsi libri e insegnanti? Quando ci penso non riesco a darmi una risposta su come sia stato possibile accettare e permettere la deriva imbecille della televisione. Ma ormai è roba vecchia, si spera che Internet distrugga presto quel poco che rimane della tv.

Non era mia intenzione fare un pistolotto. L'impulso a scriverne mi è venuto stamattina quando ho visto in giro nel web un sacco di rimandi a una trasmissione andata in onda ieri sera ovunque tranne che sulla tv “normale”. Ieri alle 21 ero già a letto, forse avevo già anche chiuso il romanzo di Gibson che sto leggendo e avevo spento la luce. Comunque mi sono informato su wikipedia, per curiosità, per contribuire alla discussione su questo programma televisivo che riesce a far tanto parlare di sé oggi sul web. Ecco cosa ho trovato sui alcuni dei protagonisti e un cenno a cosa hanno detto di fondamentale e indimenticabile nell'imperdibile evento di ieri. Scusate se non mi pento di essermi perso questa sensazionale e formidabile trasmissione tv.

Michele Santoro: 59 anni, laurea in filosofia a Salerno, si iscrive al gruppo maoista comunisti italiani per il quale scrive sul loro quotidiano, passa al quindicinale del partito comunista e viene licenziato per non essere allineato alla posizione ufficiale del partito, fa varie cose tra cui uno sceneggiato radiofonico e nel 1982 entra in RAI. Nel 2004, con Lilli Gruber, viene eletto al parlamento europeo ma si dimette da parlamentare dopo qualche mese perché la legge vieta ai politici di partecipare alle trasmissioni in tv e lui vuole assolutamente partecipare alla trasmissione di Adriano Celentano. Al momento sono dunque 28 anni che è in RAI, è stato licenziato nel 2005 ma un giudice ha imposto alla RAI di riassumerlo e di fargli fare programmi in prima serata. Le accuse di faziosità, provenienti sia da destra che da sinistra, dei suoi programmi non si contano.

Nella trasmissione ha paragonato l'attuale governo a quello del ventennio fascista, ha equiparato il tentativo di Silvio Berlusconi di interferire nella libertà di informazione paragonandolo a Nixon e allo scandalo Watergate.

Antonio Cornacchione: 51 anni, autore di sceneggiature per alcuni fumetti come Topolino e Tiramolla, si dedica poi al cabaret. La sua comicità è caratterizzata dal tormentone “Povero Silvio” e nel 1998 interpreta il ruolo del portinaio in una sit-com sui canali televisivi Mediaset.

Nella trasmissione ha divertito il pubblico facendo satira politica.

Marco Travaglio: 46 anni, laurea in storia contemporanea, diventa giornalista e lavora nel 1987 per Indro Montanelli, prima a Il Giornale poi a La Voce, è visto come un giornalista scomodo per le sue inchieste giudiziarie. Si definisce un liberal-montanelliano che ha trovato asilo nell'area di sinistra, lo definiscono reazionario e giustizialista i suoi detrattori. Il suo curriculum è pieno di processi per diffamazione a mezzo stampa. In 26 anni ha pubblicato 20.000 articoli e 30 libri. Fanno 2 articoli al giorno e più di un libro all'anno.

Nella trasmissione ha sostenuto la rilevanza politica di quanto emerso dalle intercettazioni ribadendo una similitudine col Watergate.

Giovanni Floris: 43 anni, da studente ha lavorato come animatore nei villaggi turistici, laurea in scienze politiche, assunto in RAI nel 1996, si trova a New York l'11 settembre e viene nominato corrispondente. L'anno dopo gli viene affidata la conduzione di un nuovo talk-show.

Nella trasmissione si è dissociato dalle opinioni di Santoro ma ha espresso contrarietà all'idea che un politico possa influire direttamente su ciò che viene mandato in onda alla tv.

Gad Lerner: 56 anni, ebreo apolide, diventa cittadino italiano all'età di 30 anni. Nel 1976 scrive per Lotta Continua, organo dell'omonimo movimento di sinistra extra-parlamentare. Dopo 3 anni passa a Il Lavoro, Radio Popolare, Il manifesto, L'Espresso. Nel 1993 arriva a La Stampa. Poi entra in RAI. Nel 2000 diventa direttore del TG1, non manda in onda l'ultima intervista del giudice Paolo Borsellino dicendo in seguito “Non sono per niente coraggioso. Vivo nella bambagia e non l'ho mai nascosto.” Si dimette per un servizio del TG che manda in onda immagini pedopornografiche. Nel 2006 ha dichiarato il suo voto per la Margherita, attualmente è attivo nel PD.

Nella trasmissione ha puntato il dito contro la lottizzazione partitica della tv di Stato e contro la presenza nelle trasmissione dei soliti politici.

Daniele Luttazzi: nome vero Daniele Fabbri, 49 anni, arriva alla tesi ma si rifiuta di discuterla e quindi non si laurea. Si butta nella comicità. Cerca di importare in Italia il talk-show in stile americano, dove Luttazzi/Fabbri dovrebbe indossare i panni di un nostrano David Letterman o Jay Leno. Come professione ha una lista: attore, scrittore, musicista , giornalista e illustratore.

Nella trasmissione ha spiegato il suo pensiero riducendolo a metafore sul sesso anale e concludendo con l'odiare innalzato a gesto nobile.

Roberto Benigni: 58 anni, diploma di ragioneria. Anche lui si dedica alla comicità. Canta delle canzoni, appare in televisione, ottiene il successo nel campo cinematografico come attore, regista e sceneggiatore. Riceve 7 lauree honoris causa da varie università. Negli ultimi tempi si dedica alla divulgazione della Divina Commedia.

Nella trasmissione ha fatto battute comiche.

Emilio Fede: 79 anni, non c'è scritto se ha e qual è il titolo di studio. Inizia con la RAI nel 1954. Realizza dei servizi in Africa al termine dei quali gli viene dato un soprannome legato al conto spese: “Sciupone l'africano”. Nel 1979 si candida per il Partito Social Democratico. Nel 1987 il passaggio del potere dal Partito Socialista alla Democrazia Cristiana lo portano a uscire dalla RAI e a entrare in Mediaset.

Nella trasmissione ha difeso il Presidente del Consiglio.

giovedì 18 marzo 2010

Barriere.

A sentire certi politici Internet è anarchia, è il diavolo, ha peggiorato il mondo e via cacchiate dicendo. Fatto sta che la BBC ha mandato in onda un documentario sul Presidente del Consiglio italiano e se sei italiano non lo puoi vedere. Lo puoi vedere solo se ti colleghi a internet all'interno dei confini del Regno Unito. Magari, dico è possibile, può darsi che a un italiano interessi vedere un documentario sul Presidente del Consiglio italiano senza dover prendere un aereo e portare a Londra il suo computer?

Certe cose mi mandano la mosca la naso. Ci ho smanettato qualche ora, buttando via una preziosa mattinata della mia vita, ma alla fine ho trovato il modo per vedere il documentario restando in Italia.

Per vedere il filmato della BBC superando il divieto imposto a chi non usa il computer all'interno dei confini del Regno Unito apportate questa modifica a Firefox e usate un proxy (dopo aver visto il filmato togliete la modifica o Firefox continuerà a usare il proxy)







Ora state usando un proxy pubblico gratuito inglese che vi maschera da residente nel Regno Unito e sarete un italiano che vede un documentario inglese che parla del Presidente del Consiglio italiano all'indirizzo: http://www.bbc.co.uk/iplayer/episode/b00r8g99/The_Berlusconi_Show/

mercoledì 17 marzo 2010

Tocca ancora a me, la tua generazione salta il turno.

Tra un milione di anni si saranno evoluti i topi, gli scarafaggi andranno in giro con guinzaglio e museruola. Le statue di Walt Disney decoreranno i parchi e saranno deturpate dagli scagazzi delle formiche volanti. All'inizio era il nulla poi Walt Disney prese un pezzo di carta e una matita e disse: “Sia il topo.” E il topo fu. I topi scaveranno e troveranno i resti di una civiltà estinta, sotto forma di scatole sigillate. Nelle scatole ci saranno oggetti purtroppo non commestibili. Uno di questi oggetti sarà un fumetto di Mickey Mouse, un altro il Guinness dei Primati.

Conosco persone che ogni anno comprano la nuova edizione del Guinness dei Primati. Conosco gente che ci vorrebbe entrare nel Guinness e ha compiuto nove anni tanto tempo fa. C'è stato un periodo alle elementari che ogni attività con gli amici era finalizzata a entrare nel Guinness. L'uomo che piscia più lontano del mondo. E giù bevute di litri d'acqua e sfide all'ultima urina. L'uomo che ha detto per due anni di fila sempre e solo una singola parola: corbezzoli. Come stai? Corbezzoli! Sette per otto? Corbezzoli! L'uomo che riesce a fare un nodo delle proprie braccia e gambe. Elvio si slogò una caviglia e qualcosa iniziava a suggerirmi che entrare nel Guinness era stupido.

Qualche giorno fa è morto l'uomo più piccolo del mondo. Era l'uomo più piccolo del mondo da tre anni, è morto prima che un altro uomo ancora più mignon prendesse il suo posto. Questa è una lezione che in pochi recepiscono. Uscire di scena prima che qualcuno più giovane, più bravo, in questo caso più piccolo, ti sostituisca. Manderei una foto di quest'uomo, Pingping, a tutti coloro che cercano di occupare il posto fino all'ultimo respiro, spingendo via chi chiede il ricambio, la regola della staffetta. Il Guinness ha di buono che si basa su cose misurabili, se uno è più piccolo di te non puoi metterti a discutere col metro.

Quelle tardone rifatte che accettano parti da ventenni, ad esempio, o quei politici decrepiti e rintronati che si paragonano ai ventenni. I topi tra un milione di anni non trascineranno in avanti il passato per continuare a vivere in un presente fittizio. Lasceranno il posto, se hai una prospettiva di vita molto breve capisci che non c'è tempo da sprecare nel culto della vanità. Quando troveranno il Guinness vedranno che noi facevamo a gara per avere le unghie più lunghe del mondo, essere i più grassi del mondo, tenere in equilibrio sulla testa un servizio da dodici.

Quest'uomo più piccolo del mondo appena nato stava nel palmo della mano, racconta suo padre. Era malato e la sua malattia lo ha reso speciale, gli ha permesso di finire sui libri, di viaggiare per il mondo. A un certo punto forse ha addirittura pensato che la sua malattia fosse una benedizione. Senza di essa sarebbe in mongolia a transumare le mandrie nella steppa e invece eccolo qua, in televisione, a divertire gli spettatori. Gli hanno fatto incontrare l'uomo più alto del mondo. L'hanno messo sotto la gonna della donna con le gambe più lunghe del mondo. Ci hanno fatto un documentario su Pingping, l'uomo con la malattia che ti rende l'uomo più piccolo del mondo.

Allora i topi guarderanno la statua di Walt Disney e penseranno di capire i motivi che l'hanno spinto a provocare il Dramma Finale. Il dio che ha sacrificato se stesso e l'intera sua specie per garantire la regola della staffetta. Il congresso mondiale dei topi in seduta straordinaria emetterà un'ordinanza, tutte le statue di Walt Disney saranno modificate. Walt terrà in braccio PingPing, il quale terrà in mano una copia aperta del Guinnes con sopra Mickey Mouse, il primo topo sulla Terra.

martedì 16 marzo 2010

15 anni fa

Le mappe di solito fanno sembrare molto vicina l'Africa rispetto all'America, in realtà ci vuole più tempo per volare a Nairobi che a New York. Per arrivare in Ruanda nel 1994 devi fare scalo a Nairobi, prendere un aereo per Bukavu, Zaire (il Congo è Zaire dal 1971 al 1997), l'aereo postale più vecchio sul quale sia mai salito, motori a elica, i sedili foderati in sky screpolato marrone che mi ricordano quelli della cinquecento gialla col tettuccio di tela cerata di mia zia, quella che dovevi tirare diverse volte una levetta fra i sedili prima di tentare l'accensione. Tutto il viaggio col portellone aperto, a poche centinaia di metri da terra, se allunghi la mano tocchi la schiena dei piloti che si dicono cose divertenti, lo capisci dal fatto che ridono molto.
Quando atterri a Bukavu e vai al bagno dell'aeroporto ti viene da vomitare per la puzza che c'è, ma ti scappa tanto e ci vai lo stesso, trattieni il fiato guardando il getto della tua piscia innaffiare una massa di larve di mosca che ribolle nello scarico. Non c'è l'acqua nei tubi, è inutile che premi il bottone dello scarico. L'aeroporto è presidiato da soldati che parlano francese. Qui un tempo ci vennero belgi e tedeschi, i cosiddetti boeri. Costruirono strade, centrali elettriche, pozzi. Adesso è tutta roba che sta più o meno rapidamente andando in malora.
A Bukavu prendi una macchina e fai diverse ore di strada, attraversi il confine e sei arrivato in Ruanda. Il confine. Il confine è una sbarra in mezzo alla strada, se così si può chiamare un insieme di buche con dell'asfalto coperto di terra rossa che le unisce. C'è un casotto di legno, tetto di lamiera, lì accanto. Fermano solo le macchine. Donne con involti di tessuto colorato sulla testa ondeggiano su ciabatte, se hanno le fortuna di averle, dirette chissà dove, come formichine sul ciglio delle strade. Oltre al posto di frontiera c'è un casotto che vende non so cosa. Vedo pacchetti di noccioline in involucri multicolori, prodotte chissà dove, appese vicino al bancone. Di fianco a quello che penso sia un bar c'è però un telefono, un negozio che vende telefonate, si capisce dal cavo. C'è un solo cavo che corre sugli unici pali per arrivare in quell'unico negozio.
Il cavo finisce in un telefono grigio, a rotella, i numeri non si vedono più, consumati da innumerevoli polpastrelli. Provo a fare una telefonata, dopo diversi minuti di scariche elettrostatiche e dialoghi in francese e inglese arriva un segnale mai sentito, un infinito lamento semitonale. Appendo la cornetta e pago il sorridente negoziante, commesso, incaricato, quel che è. Non sono ancora abituato a tutti questi sorrisi con i denti in mostra, ogni volta rimango sorpreso davanti a tutti quei denti bianchi. Qualche volta mi ricordo della mia faccia e cerco di mostrare anch'io i denti quando sorrido, ma non è una cosa che farei davanti a uno specchio. Mi sembra tutto eccessivo, ma dipende da me, mi dico, sono io che mi devo ambientare.
La guardia di frontiera è una donna seduta a un tavolo nel casotto accanto alla sbarra. Controlla i documenti e dice qualcosa in swahili al suo attendente. Quasi tutte le frasi in questa regione finiscono con “Eeehhh”. Ridono. Passa al francese e mi dice non puoi entrare. Rimango zitto, aspetto. La donna sfoglia ancora i documenti e scuote la testa, poi dice c'è un'epidemia di meningite e qua manca il vaccino e di nuovo un sorriso a mille denti che non smette mai di atterrirmi. A questo punto interviene la mia guida, prende il libretto dei vaccini, mi tira in disparte, mi dice dammi qualche dollaro. Infila la banconota da dieci nel libretto e torna dalla donna, e dice è tutto a posto, e offre una caramella all'attendente mentre la donna controlla meglio e timbra il passaporto e ci fa segno di andare.
La guida offre una caramella anche a me, io gli prendo l'intero pacchetto e lo passo a un bambino che mi segue da quando sono sceso dalla macchina. Tutto quello che indossa è un paio di calzoncini. Mi chiama 'Père'' e sua madre, seduta sui talloni a riposare, non lo perde mai di vista. In mezzo ai suoi piedi si sta formando una piccola pozzanghera di muco e sangue, ogni tanto tossisce e sputa. Il bambino prende le caramelle e corre da sua madre che si rialza, lo prende per mano e se ne vanno via. Nessuno dei due si volta a guardarmi.
Adesso siamo in Ruanda, passiamo sotto una massicciata dalla quale si vede la punta di qualche fucile. Poco più avanti c'è un posto di blocco e fra i soldati c'è un ragazzino alto poco più del mitragliatore che imbraccia. I pantaloni della mimetica sono rimboccati alla caviglia. Sembra felice. La guida mi dice di nascondere la macchina fotografica e tirar fuori qualche banconota. Tra qualche ora arriveremo a Kigali, la capitale del Ruanda. Dormiremo in una missione e domani mattina ripartiremo per raggiungerne un'altra. Il missionario che ci ospiterà a Kigali sarà morto prima di due mesi ma ancora non lo sa e quando mi vede tirar fuori una sigaretta me ne chiede una. Non ne fumo una da mesi, mi dice, e ridacchia per pensieri che restano suoi. Gli lascio tre pacchetti della mia scorta prima di andarmene. Ufficialmente sarà morto per incidente stradale.
A Kigali sta per succedere un genocidio, fra due mesi gli Hutu (85% della popolazione) uccideranno i Tutsi (15%). Adesso i Tutsi sono più di un milione, quest'estate ne resteranno vivi trecentomila. La differenza sarà uccisa in tre mesi, al ritmo di diecimila al giorno, sette morti al minuto, donne e bambini compresi. Con le pallottole, con il machete, con il forcone, a calci e pugni, a sassate, ponetevi come limite la fantasia e ci saranno usati modi per uccidere a cui non siete arrivati. Potete per esempio immaginare di aprire la pancia di una donna incinta e infilzare il nascituro su un bastone e sventolarlo davanti agli occhi della madre che sta morendo dissanguata? Forse no.
Mentre raggiungiamo la missione attraversiamo la giungla. Non riconosco le piante, non mi sembra normale il colore di questa terra. Perfino l'odore dell'aria è nuovo per me. È tutto diverso. Perfino gli insetti, una stupida formica riesce a stupirti. Qui devi usare l'amuchina per disinfettare l'acqua prima di berla. Se cammini senza scarpe c'è un parassita che ti entra nella pelle del piede, usa le vene per arrivarti nei polmoni, ti sale nella trachea e ti scende nell'esofago per andare a stabilirsi nel tuo intestino. C'è un'epidemia di colera alla missione sulla riva del lago Kivu e non possiamo farci sosta come era previsto. Zanzariere e insetticida sono ancora un lusso per pochi, e ti devi ricordare di bere le pastiglie per la profilassi antimalarica.

lunedì 15 marzo 2010

Africa (Ciao Indro, hai scoperto se c'è?)

"Ci sono due razzismi: uno europeo - e questo lo lasciamo in monopolio ai capi biondi d'oltralpe; e uno africano - e questo è un catechismo che, se non lo sappiamo, bisogna affrettarsi a impararlo e ad adottarlo. Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può. Non si deve. Almeno finchè non si sia data loro una civiltà." (Indro Montanelli, da Asmara, Etiopia, Gennaio 1936, per "Civiltà Fascista".)

Uno dei tanti fax che ho scritto a Indro, questo è del 29 Luglio 1997

All'attenzione di: Indro Montanelli.
Mittente: Raffaele Birlini.
Oggetto: Anch'io sono stato in Africa.


Dall'oblò si vedeva solo buio, nessuna fila di lampioni a illuminare strisce d'asfalto, nessun agglomerato di puntini luminosi a segnare i confini della civiltà. Probabilmente il ronzio lontano delle nostre turbine nel cielo era l'unico suono artificiale della giungla, là sotto. L'oblò teneva fuori il buio, ma anche l'odore dell'aria e un mucchio di altre cose, fra le quali la paura. Un odore così penetrante, fatto di terra muschio carne e polvere d'ossa; una paura così sottile, capace di prenderti alle spalle e spingerti nel nulla di uno stupore incomprensibile, alieno. Gli occhi pieni di colori stanchi, di movimenti inconsueti, nelle orecchie la totale assenza di suoni familiari. Come aprire la porta e uscire dalla realtà, e la sorpresa di sentire i capelli ritti sulla nuca senza sapere il perché. Questa la mia prima impressione del Ruanda, un paio di mesi prima della guerra fratricida.

L'aeroporto di Kigali è una struttura moderna, troppo grande. Ne viene utilizzata una sola grande stanza, le altre sigillate e controllate da soldati armati fino ai denti. Soldati dappertutto: quelli bianchi della base belga e quelli neri dell'esercito ruandese. Posti di blocco ovunque con ragazzini che ti puntano il mitra sorridendo, gli occhi nascosti nel giallo malarico. Domani scoppierà una bomba in questa strada che sto percorrendo, moriranno due persone e resterà ferita una bambina. Si respira tensione. Al confine con lo Zaire c'è una massicciata perfetta per i cecchini, lo afferma la donna alla dogana prima di chiedermi informazioni sul vaccino per la meningite. Ne ho fatti una decina, anticolera compreso, ma della meningite non sapevo nulla. Un biglietto da dieci dollari la convince a non rimandarmi subito a casa.

Arrivano e partono solo aerei belgi e russi ed è vietato scattare foto, la pena varia: calcio del mitra sulla mascella e macchina fotografica a pezzi, oppure sventagliata fulminante di proiettili e invio della salma al Paese natio. Esco e mi fermo sotto il sole ad osservare le basse colline tutt'attorno, coperte da una pesante cappa di opacità, effetto abat-jour provocato dall'umidità. Raggiungeremo la base dei missionari entro sera. Forse. Mentre aspetto la forza di muovere un altro passo in quell'aria densa come budino, ascolto la canzone dell'anziana signora addetta alle pulizie. È swahili, la lingua più complicata che mi sia capitato di incontrare. Una melodia lenta e articolata, capace di trattenere per ore l'incauto ascoltatore che se ne lasci irretire. Quando s'accorge del mio interesse smette per un momento di cantare dicendomi una frase che potrebbe essere un commento come una domanda. Termina con "Eehhhhh", cadenza tipica della parlata di qui.

Non capisco cosa provo vivendo tutto questo, è come se il mio cervello fosse di colpo tornato vergine, incontaminato, come l'immenso territorio di terra rossa e cielo bianco che mi circonda. Sono qui solo da un'ora, e mi sembra già trascorso un secolo. Un millennio. All'indietro nel tempo. Mi viene l'impressione di aver ancora pochi giorni di vita e questo mi rende oltremodo recettivo. Forse è questo il mio modo di subire il mal d'Africa. Un male molto simile al dolore fisico, per quanto mi riguarda. Un male che fa chiudere la bocca e aprire gli occhi. Che ti fa prendere per mano un bambino che ti guarda con ignara speranza e sguardo felice; poco lontano sua madre, tubercolosa, sputa sangue. Che ti abitua a camion stracarichi con gente appesa alle paratie, a vacche scheletriche, a donne anziane che percorrono chilometri pur di andare a vendere la loro dozzina di uova dove il prezzo è un poco più alto.

E tutt'intorno milizia armata, uscita dai campi d'addestramento russi e cubani, povertà', febbri, rassegnazione, discorsi punteggiati da "Eehhh" che a lungo andare tengono compagnia, danno calore come fossero amichevoli abbracci sonori.

venerdì 12 marzo 2010

Trova le differenze.

Non sono pratico di politica ma se fossi uno che vuole prendere i voti, non nel senso di farmi prete, quello semmai quando apriranno il sacerdozio agli sposati. Se fossi un politico, dicevo, farei una cosa molto semplice, una lista di cose nero su bianco. La mia campagna elettorale consisterebbe in una sola frase: ecco la lista delle cose che verranno fatte, con tanto di data prevista di approvazione. Se ci sono più cose che vi piacciono sulla mia lista che su quella dei mie avversari io vinco e loro perdono. È così facile una lista che non riesco a capire perché facciano tutti quei discorsi e quelle litigate.
Cose concrete. Chissenefrega dei massimi sistemi. La gente non vuole uno che si occupi dell'aumento dei bolli e dell'emergenza di turno. Esce di casa e si butta nel traffico, respira smog, deve portare i bambini a scuola, pagare le bollette, fare la spesa, lasciare uscire i figli la sera senza stare tutto il tempo a invocare i santi che tornino sani e salvi. Sai cosa gliene frega dei grandi discorsi sulla democrazia del tal partito.
Va all'estero vede come si vive nei paesi civili e quando torna in Italia gli viene da piangere, ecco cosa prova il cittadino quando va a votare, gli viene la nausea al pensiero che l'Italia non sarà mai come i paesi dove è stato in vacanza. Facciamo una serie di pubblicità comparative su come sono le cose negli altri paesi e come sono da noi, poi vediamo quante di queste cose vengono contemplate dai politici nella loro agenda di governo.
Se avessi tempo lo farei io un sito internet dove gli utenti lo riempiono delle differenze in peggio fra l'estero e il nostro paese. Con tanto di fotografie, interviste, documenti. Con una pagina che riassume quale partito nel tempo avrà annullato una differenza. Questo sarebbe l'unico modo di spingere la classe dirigente a non trattarci da mentecatti, fargli capire noi cos'è che va fatto, dal momento che loro da soli non ci arrivano, sono troppo occupati a lasciare tutto com'è o, al massimo, peggiorarlo di più.
Per esempio in Francia la prescrizione di un reato si interrompe quando uno viene inserito nel registro degli indagati. Non serve a niente allungare i processi per far intervenire la prescrizione. In Usa se quereli uno per diffamazione e chiedi 1 milione e poi perdi lo paghi tu 1 milione al querelato. Trasporti, istruzione, sicurezza, abbiamo da imparare dall'estero su tutto e continuiamo a ritenerci i migliori perché vinciamo la partita mondiale del pallone e abbiamo il presidente del consiglio più divertente del mondo (Non ce l'abbiamo noi il premier, non esiste la figura del premier in Italia).
Smettiamo di cercare soluzioni all'Italiana, di sentirci speciali e diversi dagli altri. Se gli stranieri hanno trovato e collaudato una cosa che funziona e ci risolve un problema, copiamola. Non dobbiamo per forza cercare di reinventare la ruota pur di non accettare di farla rotonda come hanno fatto gli altri. Chi ha la possibilità di farlo, testate giornalistiche probabilmente, crei questo sito di Italia versus resto del mondo, che vengano a galla le differenze e si capisca finalmente, su basi concrete, chi ha intenzione diaggiustare quello che non va e chi invece impedisce di fare quello che andrebbe fatto.

lunedì 8 marzo 2010

Come il quipu, i mulini, i ferri di cavallo.

Un giorno la scrittura morirà. Ci ho pensato realizzando che non scrivo a mano, con la penna, la matita, non scrivo niente che non sia la lista della spesa: olio, grana, frutta. Sul retro di un vecchio scontrino o di una ricevuta del bancomat. Tutto quel tempo passato a insegnare alla mia mano il complicato utilizzo di uno strumento banale come può esserlo un bastoncino con la punta sporca. Gli infiniti esercizi per fare in modo che il segno depositato sulla carta rispondesse a rigidi criteri estetici, regole di conformità stilistica.
Pagine e pagine di lettere che differivano solo per la pressione esercitata da una mano stanca e dolorante, per sottili divergenze negli svolazzi o variazioni di pendenza dei trattini. Stampatello e corsivo, maiuscolo e minuscolo. Col tempo una vasta gamma di sperimentazioni per trovare una calligrafia, per lo studio di una firma autografa dotata di carattere. La riproduzione manuale a pennarello fluorescente dei font brevettati che rendevano speciale l'esistenza di parole svincolate da qualsiasi messaggio, il culto delle variazioni del segno che lo snaturano eppure lo mantengono riconoscibile.
Che importanza può avere la parola come strumento di comunicazione quando le singole lettere possono diventare oggetto meritevole di un culto alfabetico? La pittografia, gli ideogrammi, quanta fatica per tramandare un gesto. Ogni forma di scrittura sta per morire. Tornerà a venire usata da un piccolo esercito di mandarini, scrivere diventerà una professione nel vero senso della parola, basata sulla capacità di produrre fisicamente i segni di un alfabeto ieratico.
Per il momento siamo passati dalla matita alla tastiera, ma è solo un passaggio intermedio. Ci saranno solo immagini e suoni nel futuro. Se ci sarà bisogno di scrivere ci sarà un software che ascolterà la nostra voce e produrrà dei segni che ci sembreranno antichi, strani. Se ci sarà bisogno di leggere ci sarà un software che tradurrà a voce alta quei segni in parole e a questo punto non avranno più importanza i segni che i computer useranno per rendere possibile lo scambio.
E un giorno diventerà assurdo l'intero processo. Perché non mandare direttamente il file audio piuttosto che sprecare tutto quel software per scrivere e poi leggere? Perché non mandare un riassunto, con immagini descrittive che mi facciano risparmiare tempo. Si penserà che ci fu un tempo in cui la gente perdeva ore per scrivere e leggere, così come ora pensiamo che ci fu un tempo in cui la gente perdeva ore per andare tutti i giorni ad attingere l'acqua dal pozzo, o decenni interi per tirar su un tempio e riempirlo di decorazioni che si sono frantumate prima di arrivare a noi.
È tutta questione di tempo. Di gestione del tempo. Perché i film durano un'ora e mezza e non, che so, otto ore? I grandi romanzi che ci impieghi un mese a finirli e magari non ne valeva nemmeno la pena. Scrivere è chiedere alla gente di darti il tempo, di darti la vita, di fermarsi e dedicarsi a te. Non ci si può fermare, ogni fermata accorcia la vita. Un libro che ti occuperebbe un mese a leggerlo lo puoi ascoltare mentre fai altro, lo puoi vedere in un film cliccando sulla barra per saltare i pezzi che ti annoiano.
E poi chi sono tutti questi autori che scrivono, chi sono gli editori che scelgono cosa pubblicare, chi mette i soldi per la promozione? Un prodotto si vende se è sostenuto e promosso da una massiccia campagna pubblicitaria, a prescindere dalle sue effettive qualità. Il prodotto è un investimento che deve avere un ritorno in termini di introiti. È sempre stato così, specialmente se il prodotto non ha alcun utilizzo pratico e soddisfa i bisogni di un mercato di nicchia.
Scrivere e leggere accorcia la vita, digli di smettere. Musica, viaggi, televisione, bellezza, gioventù, sballo, non è più il tempo di attività sofisticate come la letteratura. Se non riesci a dirmelo con uno slogan non val la pena di farmelo sapere, se non trovi un vip che ci metta la faccia non mi interessa, se non è in cima alle classifiche non posso discuterne con i colleghi in ascensore. Un giorno la scrittura morirà, e in un certo senso è già morta.

mercoledì 3 marzo 2010

C'è il grande fratello e non dici niente?

Neil Postman (1931-2003) si sbaglia. Non è vero che Huxley vince contro Orwell. In qualche modo i due hanno stretto un'alleanza.

Postman dichiara che il mondo è sfuggito dalle grinfie del grande fratello romanzesco per farsi abbracciare dal grande fratello mediatico. Non è vero. Per controllare il mondo il grande fratello si è evoluto, passando da un ruolo paterno a uno materno. È rimasta identica la natura del sistema di potere per l'esercizio del controllo sugli individui, che nasce da un'esigenza di socialità dove il conflitto venga ridotto al minimo per mezzo della gestione delle informazioni e dei comportamenti.

Combattere perché scompaia ogni forma di controllo è un ideale condivisibile solo se si suppone che gli individui possano ottenere comunque la società migliore possibile senza il supporto di una guida. E che lo vogliano soprattutto, in quanto gli obiettivi individuali sono antisociali e solo con uno sforzo di altruismo collettivo possono venire modificati in assenza di coercizione.

Qualsiasi forma di governo è una necessità e qualsiasi forma di governo adotta meccanismi di coercizione più o meno espliciti. In Orwell questi meccanismi sono immediatamente riconoscibili: per esempio il potere divulga informazioni false e chi sa la verità non la esprime perché verrebbe ridotto in stato di silenzio con la forza. In Huxley il potere non impedisce l'emergere della verità ma rende impossibile stabilire che lo sia proponendo una miriade di opinioni egualmente plausibili, nonché distrazioni che distolgono l'attenzione dall'argomento che viene così ignorato e dimenticato.

La teoria di Postman era interessante e rimane un tema molto attuale. Il fatto che non se ne sia discusso nell'opinione pubblica, nei circoli degli intellettuali pubblicisti, che non se ne parli tuttora quando è evidente che esiste un problema nella funzione che lega il potere alla società e viceversa. Il nodo fondamentale consiste nello stabilire se gli individui sentano o meno il bisogno di rapportarsi al potere facendo ricorso a strumenti intellettuali.

La risposta non è così prevedibile. Abbiamo fatto esperienza di molte situazioni in tutto il mondo nelle quali il potere riesce a intraprendere politiche assurde, disumane, senza che vi sia reazione nel popolo diversa dal completo appoggio, seppur tramite finta indifferenza. Forse il potere ha mano libera finché riesce a garantire ai singoli cose come sicurezza e benessere materiale, con l'ottimismo della promessa che le cose potranno solo migliorare.

Postman, non vedendo utilizzo della forza si limita nei fatti a dirci: guardate che non siete comunque liberi. Quello che lui ha e io invece no è la fede cieca nella possibilità di poter essere liberi, di poter ottenere una forma di governo che faccia a meno di qualsiasi tipo di condizionamento, il che comporterebbe un impossibile superamento della condizione umana.

Sarebbe sufficiente un'accettazione critica, una presa di coscienza delle forme in cui si concretizzano gli indirizzi di conformismo voluti dal potere e, con dibattito pubblico, esercitare l'analisi delle motivazioni. Sarebbe già questo un traguardo culturale ambizioso perché implica la creazione di cittadini che non solo possono ma vogliono interfacciarsi col potere. Sarebbe pertanto un esercizio di potere nell'ipotesi che la gente se ne freghi.

Allora la domanda fondamentale non è più sul potere ma sulla gente. Tutti possiedono la capacità di elevarsi al di sopra della propria vita al punto da porsi in un'ottica di criticismo dialettico? Forse non tutti. Forse anche chi potrebbe non vuole, non gli va essere diverso dagli altri. Forse alla gente basta vivere tranquilla e tutte la forme in cui il potere si esprime non sono altro che un'occasione per formare gruppo, per essere parte di qualcosa di condiviso, che sia il nazismo, il comunismo, la squadra sportiva, la trasmissione di intrattenimento che guardano tutti.

Diversamente da Postman, non credo che il potere sviluppi deformità alla Orwell o alla Huxley perché la gente non sa cosa le succede, non capisce cosa sta capitando. Il potere deve darsi da solo un codice etico perché è qualcosa di slegato dalla gente sotto il suo governo. Questa è la grande responsabilità di una classe dirigente: capire da sé quali devono essere gli obiettivi della e per la collettività. Per quanto sia sviluppato un sistema democratico non è vero che la gente sa cosa è meglio per sé e, se anche lo sa, non è detto che sia ciò che vuole la maggioranza.

In quest'ottica perdono sia Orwell che Huxley: Orwell accusa il potere di inseguire il sogno della società perfetta con tutti i mezzi possibili pur di continuare a governare. Huxley accusa la gente di aver smesso di inseguire il sogno di una società perfetta pur di continuare a lasciarsi governare passivamente. L'unica variabile dell'equazione è cosa si intende per società perfetta. Il potere deve tendere alla società perfetta, peccato che non esisterà mai tale società nel mondo reale. La società perfetta, fatta di individui in un modo o nell'altro superiori, tutti superuomini e superdonne, supergiovani e supervecchi, ma anzitutto superbuoni e superintelligenti e supersaggi, esiste solo nella mente di chi ne parla.