lunedì 25 ottobre 2010

Messaggio subliminale

(Disclaimer: bozza, pensieri in libertà, materiale grezzo)

Un argomento che suscitano interesse negli ultimi tempi è il passaggio in forma digitale dei libri. Dopo la musica e i film, i libri sono una forma di intrattenimento ancora legata a una fruizione analogica. Un libro non è sufficiente ascoltarlo o guardarlo, richiede comprensione del testo vincolata a tempi difruizione soggettivi, richiede un alto grado di attenzione e concentrazione, cosa che rende difficile assorbire il contenuto di un audiolibro mentre si guida, per quanto uno sia portato al multitasking. Mentre leggi non puoi fare nient'altro, a parte respirare e altre funzioni biologiche primarie. Nonostante ciò esistono ancora molte persone non solo disposte ma anche desiderose di estraniarsi dalla realtà mediante l'antica pratica della lettura di un libro.

Il mercato di prodotti che sono espressione di talento artistico, appunto musica lettere cinema, un tempo si reggeva sui mecenati. Gli artisti venivano pagati da esponenti di classe sociali ricche. A un certo punto si l'arte, come è successo a moltissimi altri prodotti grazie alla rivoluzione industriale, si è massificata. Shakespeare scriveva per teatri popolari, Mozart musicava per gente comune, ma bisogna arrivare ai giorni nostri per sdoganare l'arte come merce da supermercato. Da questo momento in poi l'autore lavora per accontentare il maggior numero possibile di potenziali acquirenti. Siamo passati dal soddisfare i gusti dei dei nobili e degli ecclesiastici, poi i mercanti dell'alta borghesia, quindi è toccato ai partiti politici e le case editrici che esprimono nella loro linea editoriale le esigenze propagandistiche del partito di riferimento. Adesso tocca ai consumatori finali.

Il sistema di distribuzione tradizionale è l'ultimo filtro tra autore e consumatore in grado di selezionare l'offerta ponendosi come intermediario obbligato. Il suo ruolo è molto delicato perché le esigenze e le aspirazioni sono molteplici: è chiamato a scegliere prodotti di alta qualità, deve promuovere opere che vadano a braccetto con la frangia politica di referenza, deve far quadrare il bilancio. È proprio quest'ultimo il fattore più stringente. I soldi arrivano come sostegno pubblico dalla politica, come effetto dell'alleanza col potere ancora poco percepito dall'intellighenzia che è quello dei gran visir del marketing mediatico, oppure arrivano dal volume sic et sempliciter di vendita, il che spesso non ha niente a che vedere con la qualità del prodotto o i contenuti ideologici.

Le tecniche di marketing attuali consentono metodi push così efficaci da creare nuovi bisogni, nuove tendenze, nuovi mercati. In pratica creano nuove società e nuove culture senza che gli intellettuali evidenzino il pericolo che rappresenta un potere così forte e così subdolo, o se lo fanno io ancora non vedo gli effetti della loro battaglia culturale. In realtà così grande è il potere del marketing che chi si oppone e apre una polemica perde qualsiasi visibilità e praticamente svanisce. Chi tiene in mano le redini del potere oggi, chi è in grado di spostare denaro e fornire lavoro, è il marketing, i suoi carrarmati sono i mezzi di comunicazione, il suo esercito sono tutti quelli che per un motivo o per l'altro, devono il loro tenore di vita al marketing, hanno qualcosa da vendere, lavorano nella pubblicità o nei media, i suoi schiavi tutti coloro che vorrebbero emergere e avere successo.

Ecco in che territorio ostile è sbocciata la rete. Internet elimina l'intermediazione. Sul web la pubblicità non funziona così bene perché non puoi imporre mode dall'alto, unica voce nel silenzio, sul web tutti possono parlare e rompere gli incantesimi della persuasione mediatica a senso unico. Riporto un commento che ho scritto ieri a un post che parlava degli ebook.

La selezione effettuata dall'intermediario tradizionale, quale una casa editrice esperta e rinomata, permette al consumatore di evitare la fatica, lo spreco di tempo, l'impegno di spigolare nella miriade di possibilità che apre la rete. La funzione selettiva degli intermediari è il solo connotato a sostegno dell'offerta tradizionale. Non è escluso comunque che si possano trovare altri metodi di selezione, aperti e neutrali, come accade già su anobii per esempio, dove si possono leggere recensioni volontarie e gratuite di lettori che non hanno alcun secondo fine nel promuovere o stroncare un libro. Devo dire, dal canto mio, che ultimamente mi trovo a fare affidamento più sull'opinione di un lettore la cui recensione in passato mi è stata utile che quella di un 'professionista' pagato da un giornale.

Un altro aspetto positivo è nelle motivazioni dell'offerta. Fare musica e/o scrivere per diventare ricco e famoso con i diritti d'autore e con i proventi collaterali del successo e della fama nello show business probabilmente in futuro non sarà più possibile. A motivare gli autori sarà in primo luogo non sogni costruiti attorno allo star system ma la passione autentica per l'espressione di una forma d'arte. Ho scoperto grazie alla Rete un sacco di scrittori e musicisti che trovo geniali e non mi vedo offerti, né ora né probabilmente mai, mediante i canali tradizionali.

A guardar bene il primo settore a subire la metamorfosi è stato proprio quello dell'informatica. Parlo dei programmatori di professione che si son visti fare concorrenza da persone che non campano producendo righe di codice ma, per passione, hanno messo a disposizione programmi perfettamente funzionanti freeware, shareware, addirittura beeerware o postcardware. Oggi come oggi è possibile, volendo, usare un computer spendendo zero per il software in maniera del tutto legale.

C'è una cosa importante da sottolineare però: l'ambiente. Il software libero ha proliferato grazie a un ambiente aperto, Windows – almeno all'inizio - in particolare, che dava strumenti di programmazione semplicissimi, utilizzabili anche da un ragazzino, tipo il basic, poi qbasic, poi visual basic. Quello che sta succedendo ora, con la politica Apple, Kindle – ma anche ps2, xbox nel campo, non meno ricco, dei giochi - e altri, è una progressiva privatizzazione dell'ambiente, dove non puoi accedere a tutti i contenuti, non puoi usare hardware diverso da quello autorizzato, non puoi fare niente tranne quello che ti viene permesso. Da una logica del tutto è permesso tranne quel che è vietato, a una di tutto è impedito tranne quello che è consentito.

La sfida non è tra libri di carta e libri di bit, ma riguarda i tentativi di sopravvivere della struttura di intermediazione tradizionale in tutti i modi possibili, dalla creazione di canali distributivi privilegiati alla pressione per una normativa più stringente. Non so come andrà a finire, ma se cercano di spaventarmi profetizzando la scomparsa di scrittori e musicisti mi vien da ridere, allora nelle società primitive non dovrebbero esserci state pitture rupestri, canti, danze, racconti...

E il panorama attuale dell'offerta sono libri di politica scritti da comici, libri comici scritti da politici, libri politici scritti da giornalisti, libri di cronaca scritti da romanzieri, biografie di vittime e carnefici… e poi ci sono dan browm, harry potter, la saga dei vampiri, sai che panorama meraviglioso rischiamo di perdere. Neal Stephenson mi piace è si trova gratis in rete, quando rizzoli da noi ha pubblicato in italiano solo i primi due romanzi di una trilogia, il terzo capitolo no. O Doctorow. O quello scrittore di fantascienza russo che è uscito su carta, vendendo moltissimo, solo dopo aver avuto successo in rete. Insomma il panorama è la Rete, gli intermediari scelgono al posto nostro e scelgono non in base alla qualità ma in base alle previsioni di vendita. Forse un tempo si stampavano libri in perdita facendo mecenatismo, ma oggi son poche le case editrici che non tengono gli occhi sul bilancio, sulla politica, sul marketing.

Ogni volta che si verifica una rivoluzione non viene percepita a causa della
resistenza messa in campo dalle forze conservatrici ma un passaggio graduale
è certamente preferibile a uno iato spesso violento che rischia di diventare
futile, non ché dannoso nella fase distruttiva. Come se qualcuno ci dicesse:
verrai a ringraziarci un giorno, quando il nuovo futuro non potrà più venire
assimilato o paragonato in alcun modo a quanto è già accaduto in precedenza.

lunedì 18 ottobre 2010

Pubblicità comparata.

Se qualcuno che conosciamo ci chiedesse di posare nudi quanto chiederemmo? Ipotizziamo un parente, un compagno di scuola, un collega di lavoro. Ammesso che non trovassimo la richiesta immorale e fortemente censurabile, quando non perseguibile penalmente, quanto chiederemmo, 100 euro? Se la tua immagine priva di vestiti o ritratta in situazioni imbarazzanti viene proposta alla visione di 1 milione di persone, fatti due conti devi essere pagato 100 milioni di euro. Non credo che modelli e modelle guadagnino così tanto. La pubblicità è considerata quale un'opera di finzione, alla stregua di un film o un romanzo. Vendere qualcosa di se stessi, che quasi certamente mai si cederebbe per denaro in casi isolati nella vita reale, viene equiparato alla partecipazione a un evento artistico. La pubblicità come arte? Davvero? I produttori di merce sono i moderni mecenati? È come se Michelangelo avesse messo in mano alla Vergine della Pietà un barattolo di frutta sciroppata che si illumina a intermittenza. Recitare l'Amleto e sorridere con in mano una brioscina è sostanzialmente la stessa cosa? Non mi si nomini Andy Warhol per favore, non c'entra.

Ci stupiamo di fronte a notizie che parlano di bambini che devono lavorare, che sia curare la mandria, mungere le capre, scavare in miniera, cucire vestiti. Non ci stupiamo però di vederli recitare nelle pubblicità. Nei film e in teatro sono necessari alla rappresentazione di una storia, sappiamo di tempi in cui solo gli uomini recitavano e facevano anche la parte delle donne, ma la parte di un bambino chi la può fare se non un bambino. Non ce lo vedo un vecchietto nella culla del presepio vivente, neanche se lo Warhol della situazione gli fa mettere la cuffietta in testa e il ciuccio in bocca. Sto per dire una cosa scioccante: nell'occidente sviluppato e moderno e progredito facciamo lavorare i bambini! Perché non è sfruttamento del lavoro minorile un bambino che fa pubblicità? Si possono avere dei dubbi quando li si fa cantare e ballare in tv come le scimmie ammaestrate del circo (che non ci sono più, siamo molto sensibili sul maltrattamento degli animali), ma nessuno può affermare con la speranza di trovare consenso che i bambini usati nelle pubblicità non stiano lavorando.

Si può invitare all'acquisto di un giocattolo senza bisogno di far vedere bambini che lo utilizzano. E non voglio spingermi a parlare di pubblicità che utilizzano bambini per vedere prodotti che con i bambini non hanno niente a che fare! Tipo le assicurazioni, le automobili, i computer, e mille altri esempi potrei elencare. Nessuno si è mai chiesto che tipo di messaggio riceve un bambino che vede altri bambini nelle pubblicità? Che modello educativo contraddittorio è quello che da una parte invita alla serietà, ai famigerati valori, e dall'altra propone esempi che vanno in tutt'altra direzione. Mi ricordo discussioni e polemiche sui cartoni animati, sui videogiochi, su giocattoli politicamente scorretti come fucili a molla e bambole di colore vendute a prezzo inferiore rispetto a bambole wasp. Un esercito di specialisti si occupa tutti i giorni di proteggere la delicata mente dei bambini con argomentazioni a volte al limite del razionale. Eppure non mi viene in mente neanche un articoletto streminzito che analizzi lo sfruttamento dei bambini nella pubblicità.

A dire il vero alcuni specialisti mettono in guardia dall'esporre i bambini al pericolo della tv, come se fosse possibile quando poi vanno a scuola e non sanno di cosa stiano parlando tutti i loro amici quando nominano giocattoli e cartoni animati. Nessuno però suggerisce di eliminare il pericolo alla fonte, impedendo l'utilizzo dei bambini per scopi pubblicitari. Questo dovrebbe far riflettere: o davvero non viene considerato un problema o invece il potere della pubblicità è così grande da silenziare ogni voce scomoda. E i genitori? Mi chiedo se spingano i loro figli a vincere provini, se pensano sia un trampolino per mettere piede fin da subito in un ambiente danaroso che il più delle volte non richiede merito né lunghi percorsi di studio ma solo accettazione e professione di fede, come una religione, come una tribù. Più ci penso e meno riesco a capire perché è considerato normale non solo bombardare i bambini di pubblicità, ma usarli anche come arma psicologica per colpire i coetanei. Se venire pagati per fare qualcosa è un lavoro, allora i bambini lavorano anche qua, è non so se è meglio per un bambino imparare a mungere una capra o finire nel mondo dello spettacolo.

venerdì 8 ottobre 2010

The glass age.

Internet potrebbe farci entrare in un'era di vetro sfondando i limiti di parecchie dimensioni che descrivono la nostra esistenza, a partire dalle dimensioni più familiari: lo spazio e il tempo. Da molte parti arrivano tentativi di impedire l'avvento di questa nuova era e ancora non possiamo sapere se riusciranno a posticiparne la realizzazione.

Lo spazio viene annullato dalla velocità con la quale qualsiasi bit di informazione fa il giro del mondo. Non ancora possibile essere presenti fisicamente in un altro luogo trasferendo su cavo i nervi che trasmettono dati sensibili al nostro cervello, ma è certo possibile già adesso vedere, ascoltare, interagire a distanza usando intermediari tecnologici. La lontananza non è più un impedimento quanto lo era fino a poco tempo fa, quando era necessario spostare e spostarsi.

Il tempo viene annullato nella misura in cui diventa impossibile dimenticare qualcosa, la quantità di informazioni che rimangono archiviate nel database digitale mondiale è immensa. Non servono lunghe ricerche nei polverosi archivi di qualche magazzeno remoto per trovare un'informazione, la rapidità dei computer ci consente di 'ricordare' qualsiasi cosa nel giro di pochi secondi, ovunque si trovi nel mondo.

Eppure tutto questo si basa su una infrastruttura fragile. Basta troncare un cavo oceanico. Una tempesta magnetica potrebbe distruggere i supporti digitali. La rinuncia allo spazio comporta il rischio di perdite dei dati definitive e irrecuperabili. La rinuncia al tempo comporta il rischio di una memoria che non dimentica. Il potere politico è in grado di controllare internet in molti modi, dalla censura allo spionaggio, passando per le normative che regolano l'accesso, l'utilizzo, i diritti e i doveri legati a libertà di espressione, diritto d'autore, pornografia, violenza, violazione della privacy. Il potere economico è in grado di imporci strumenti di accesso alla rete legati alla fruizione di servizi esclusivi, trasformando un ambiente libero in uno uno presidiato con la scusa di proteggere l'utente da pericoli e abusi.

Questa è la grande sfida di internet, molto simile a quella della democrazia: dimostrare di meritarsela. Gli interventi dell'autorità e gli stratagemmi di marketing fanno sempre leva sulle debolezze umane. Non possiamo mettere telecamere perché anche tu, cittadino, potresti avere un motivo per non voler essere ripreso. Questo dicono i politici. Ti vendo questo dispositivo che ti obbliga a usare solo la parte di internet che decido io, ma in questo modo ti proteggo dai pericoli e ti faccio sentire figo. Questo dice l'azienda che ti vuole tutto per sé.

Ci sono i cantori dell'era di vetro. Autori che adottano licenze di condivisione creativa: puoi fare tutto quello che vuoi con l'opera, tranne modificarla, spacciarla per tua, ricavarci dei soldi. Governi che rendono pubbliche in rete statistiche, informazioni che rendono evidenti situazioni che altrimenti rimarrebbero un mistero avvolto nell'omertà di un'ignoranza voluta e difesa. Sono due gli ostacoli principali da superare: la rete non è un posto per fare soldi, la rete non è un posto per tenere le informazioni nascoste.

Per esempio leggo dei taxi di New York. Da quando sono stati attrezzati di gps e gestione computerizzata, si può sapere tutto di dove vanno, quando ci vanno, che strada fanno, a che ora ne servono tanti e in che zona della città. Se ti dimentichi qualcosa sul taxi telefoni, dici dove sei salito e dove sei sceso e loro rintracciano il taxi e ti restituiscono quello che è tuo, cosa che senza questo sistema non accadrebbe mai, la tua roba sarebbe persa per sempre.

Altro esempio. Proprio oggi si vogliono rendere disponibili on line tutti i curriculum degli insegnati pubblici. Sì potrà sapere chi è più bravo di qualcun altro e questo dà parecchio fastidio a molti. Ai cantori dell'era di vetro non dà fastidio per niente. Addirittura potrebbe essere utile a far chiarezza sul sospetto che gli esami di stato in certe città siano taroccati, dal momento che non si capisce perché un sacco di gente si spara centinaia di chilometri per fare l'esame proprio lì e non altrove. Se quelli che vanno a far l'esame lì sono anche quelli più scarsi... non serve un computer per fare due più due.

Dobbiamo prendere decisioni sulla fragilità di un'infrastruttura che potrebbe rompere la rete o farci perdere una quantità immensa di dati in un lampo. Dobbiamo riflettere sull'opportunità di permettere alla rete di 'dimenticare', cosa cancellare e quando è difficile stabilirlo. Dobbiamo capire che governi e aziende hanno un rapporto di amore/odio con la rete, senza che esista alcuna autorità deputata a ragionare e 'parlare' a nome della rete, perché giuridicamente la rete non esiste (non ha un proprietario, non ha un consiglio di amministrazione, non ha un ufficio legale). Dobbiamo prendere una posizione sulla privacy molto più articolata di quella attuale, verificando il rapporto costi/benefici di scelte riguardanti la pubblicazioni di informazioni che per qualcuno devono restare segrete in nome di un principio e non di un'effettiva motivazione razionale.

martedì 5 ottobre 2010

Vade retro nobel.

Un futuro studioso di antropologia non si lascerà scappare l'occasione di inserire nella sua tesi sulla stupidità umana (umana ho detto, non solo italiana, non nello specifico dei giornalisti) il caso del premio nobel per la medicina 2010.

Prima di tutto i fatti. Quel gruppo di rimba che tutti gli anni decide a chi dare un po' dei soldi lasciati qui dal fu signor Nobel (si sarà già rivoltato così tante volte nella tomba da scavare un tunnel che arriva al centro della Terra), anche stavolta è riuscito a far scalpore premiando un personaggio scomodo. Il Nobel è mio e lo decido io, questo è lo slogan e se non lo è dovrebbe esserlo. Fatto sta che si scatenano le tifoserie, ci si scanna fra chi pensa che sia meritato e chi pensa che sia una *beeeep*ata.

Quest'anno tocca a un inventore straordinario, ha scoperto che se fai unire uno spermatozoo con un ovulo diventa un embrione. Straordinario, non servono cavoli e cicogne. Ma non si è fermato lì, ha riprodotto il miracolo della procreazione in una provetta. Si è ritrovato con una manciata di embrioni per le mani e ha pensato bene di sceglierne uno - quello più forte? più sano? più bello? - e metterlo nell'utero di una donna, per scoprire cosa sarebbe accaduto. Toh, l'embrione si è attaccato alle pareti dell'utero e si è trasformato in feto. Applausi. Quest'uomo è un genio, di più, un dio formato tascabile.

Grazie a quest'uomo oggi puoi fare molte cose interessanti e divertenti in laboratorio. Prendi l'uovo da una donna, lo fecondi col tuo sperma preferito, lo metti in un qualsiasi utero, anche quello di tua nonna volendo, e aspetti nove mesi circa, quando suona il timer il bambino è pronto e non hai che da telefonare a chi l'ha ordinato, consegnare il prodotto e farti firmare la ricevuta. Ora vorrebbe anche clonare e altre robette per nulla stravaganti tipo mettere gli embrioni che avanzano in frigor per ottenere tessuti e staminali nel caso in futuro il bambino che ha avuto la fortuna di essere stato scelto per nascere abbia bisogno di trapianti.

Fatto numero due: sembra incredibile ma c'è ancora della gente al mondo che si pone questioni etiche: se una cosa è tecnicamente possibile significa che è giusto farla? Domande filosofiche di questo genere che non soppiantano di certo le discussioni al bar sulla partita del pallone. Alcuni di questi professori addirittura si occupano di bioetica. Discutono di mercato degli embrioni, diritto alla vita, uteri in affitto, vendita di ovociti, significato della procreazione umana, cose così, molto più noiose, giornalisticamente parlando, della storia di una coppia che finalmente, alla tenera età di 80 anni, riesce finalmente ad avere sette gemelli.

Veniamo ai giornali, alla televisione, ai media in generale. Questo scienziato che ha vinto il Nobel 2010 lo definiscono il padre di 4 milioni di bambini, è già qui capisci che i media dovrebbero modificare la terapia, questa gli fa dire *beeeep*-ate. Lo ritraggono con dei bellissimi bambini, seduto in un prato, sotto il sole, e tutti sono felici e sorridenti, non si vede il fotografo ma è contento anche lui di sicuro. Parlano di uno dei suoi prodotti, una ex-neonata che ora ha una ventina d'anni e dimostra, col suo rimanere in vita, che lo scienziato dev'essere per forza un genio assoluto.

Fin qui tutto bene, nessuno torce un capello al neo premio nobel, tutto quello che ha fatto è legale, almeno lo è dove lo ha fatto. Passiamo dall'altra parte, vediamo come i media trattano i professori di bioetica. Cosa?!?! Lavorano in Vaticano?!?! Sono cristiani e magari pure cattolici?!?!? Li sentite i cani della muta che annusano e attaccano a sbavare?

Ecco i titoli sulla critica mossa da professori di bioetica ai responsabili del premio Nobel, non allo scienziato, si badi. Il Vaticano attacca, tuona, si scaglia, lancia anatemi. Vaticano contro la medicina. Vaticano accusa il padre dei bebè in vitro. Vaticano infuriato. L'ira del Vaticano. Il Vaticano scomunica. Mi vengono in mente roghi di streghe, esorcisti che schizzano acqua santa in giro, inquisitori che ti fanno baciare il crocefisso. E invece no, parliamo di scienziati in filosofia, che è una scienza anch'essa mi dicono dalla regia, che criticano l'assegnazione di un premio prestigioso per una tecnica (non ha scoperto niente, non ha scoperto una cura per l'infertilità, non ha inventato niente a parte, appunto, una tecnica per unire ovuli e spermatozoi senza necessità di infilare il coso del papà nella cosa della mamma), una tecnica che solleva importanti e tuttora irrisolti problemi etici.

Si capisce che quest'anno non c'era nessuno che ha debellato una malattia, scoperto una cura per la moltissime piaghe che tormentano la nostra specie. Potevano scegliere il giapponese che ha trovato il modo di ottenere cellule staminali da tessuto epidermico, i canadesi che hanno identificato per primi le cellule tuttofare definite poi staminali, ma forse hanno preferito qualcosa in grado di scatenare polemiche, accendere l'interesse dei media, come è già successo in passato con premi assegnati, a voler essere intriganti, solo per il gusto di sbatterla politicamente in faccia a qualcuno.