mercoledì 13 gennaio 2010

Sono nato forte.

Si possono leggere molte notizie ogni giorno, ogni ora. Ogni singola notizia può essere lo spunto per interi libri, per riflessioni infinite. Ci sono così tanti argomenti, così tante opinioni, che a volte si sente il bisogno di spegnere tutto, ti viene in mente che “Il giorno più impegnato può essere quello in cui te ne stai a guardare delle formiche che trasportano briciole di pane” (Cormac McCarthy).

Ecco, se devo proprio scegliere, oggi scelgo Joe Rollino. Nel vortice di orrore che ti afferra e cerca ti strapparti via dal suolo quando ti affacci sul mondo a guardare come va, ci sono angoli in cui rifugiarsi per far finta di niente, per ritrovare se non la pace, la calma. Questi angoli sono fatti di persone straordinarie, il surrogato della mamma che ti accoglie a braccia aperte quando ti sbucci le ginocchia e ti sussurra “Non è niente”, ti accarezza “Passa, sta passando.”

Sono persone che ti danno l'impressione di aver capito qualcosa di fondamentale, di aver vissuto dentro una bolla di consapevolezza eccelsa. Ho notato che per renderle più accettabili, per sopire il senso di rabbia che ci viene nel chiederci perché lui sì e io no, molte di queste persone diciamo che hanno la sindrome di Asperger. Sono malati, non è colpa loro se hanno un'intelligenza così sopra la media da sembrare alieni, intuiscono cose, capiscono cose, analizzano, fanno collegamenti, creano, finiscono per lasciare un mondo diverso da quello che hanno trovato, hanno il potere di cambiare quello che siamo in modi che nemmeno comprendiamo del tutto, se non dopo anni, decenni, a volte mai.

Una malattia, una sindrome, che per alcuni è una benedizione, per altri una maledizione, non si sa ancora bene in che termini metterla. Quel che è certo è c'è qualcosa che non funziona a dovere nel loro cervello, nella chimica dei neuroni, nella matematica del meccanismo genetico. Dobbiamo per forza codificare in termini di anti-normalità, di difformità (deformità?), le devianze, le conflagrazioni di intelletti che vedono con altri occhi, sentono voci che nessun altro percepisce, respirano – come direbbe Baricco – dove noi finiremmo soffocati.

Non so se Joe Rollino fosse uno di queste persone, ma oggi mi piace pensare che lo fosse. È morto l'altroieri. Guardo le sue fotografie, vado a leggere la sua biografia, ed è “come guardare delle formiche che trasportano briciole di pane”, distogliere lo sguardo, focalizzarsi su qualcosa di così insignificante da assumere un'importanza totalizzante. Oggi non riesco nemmeno a immaginare qualcosa su cui valga la pena concentrarsi che non sia Joe Rollino. È come se sapessi che un giorno questi momenti torneranno a galla portandosi dietro tutto quello che ora rimane implicito, i pensieri che una parte di me sta costruendo nel buio del sottoscala, come un ragazzino che si è nascosto per fare giochi proibiti.

Però posso parlare delle formiche, posso dire di Joe Rollino, limitandomi a una descrizione priva di commenti. Nato 104 anni fa, è stato travolto da un minivan su una strada di Brooklyn. Il conducente non era ubriaco, non superava i limiti di velocità, non si può accusarlo di nulla, a parte l'aver ucciso l'uomo più forte del mondo.

Un metro e sessantacinque per sessantotto chili. Veterano decorato della seconda grande. Combatté sul ring con lo pseudo di Kid Dundee, in posti dove la boxe era illegale. "Fighters would hit me in the jaw and I'd just look at them. You couldn't knock me out”, possono colpirmi sulla mascella e io mi limiterei a guardarli, non puoi mettermi ko. Sollevò una tonnellata e mezza coi denti, quasi trecento chili con un solo dito. In una delle rare volte che si offrì al pubblico rilasciando un'intervista, disse “Sono nato forte.” Non si sposò mai, altre fonti dicono che moglie e figlio sono morti. Non beveva, non fumava, non mangiava carne, faceva esercizio tutti i giorni.

Chi non ha bisogno di fermarsi almeno una volta a guardare le formiche, a stupirsi davanti ai mille modi di trasportare la propria briciolina, a cercare la formica malata che si muove diversamente, che la briciola la tiene in modo strano, col sospetto che un ragazzino stia combinando guai nel sottoscala, beh, mi dispiace, si perde il meglio.

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