venerdì 15 gennaio 2010

Il mio dio ha il martello, il tuo è stato inchiodato.

Ogni tanto saltano fuori dalla scatola gli accademici, Lincei e Crusca, che vuol dire non lo so, sembrerebbe una specie di club, tipo il Mensa, il circolo del bridge, saltano fuori come pupazzi a molla e parlano della lingua italiana. Come se la lingua italiana, la lingua in generale, fosse qualcosa di importante, ci credono davvero, non fanno finta.

Come se ci fossero intellettuali che studiano la forma e i colori delle banconote, le leghe metalliche e le forme dei cacciaviti. Ti dicono cose tipo i nostri cacciaviti ora contengono una maggiore quantità di nichel. Oppure la gente di questi tempi tende a stropicciare i biglietti da mille.

Siamo una piccola provincia dell'impero, tutte le lingue del mondo vengono tradotte in inglese per toccarsi, stiamo vivendo un momento epocale di transizione in molti sensi, ormai le rivoluzioni durano anni, non secoli. In mezzo all'uragano di cambiamenti che rende preistorico non il trisavolo, non il bisnonno, non il nonno, ma il padre, il fratello maggiore, noi troviamo questa zattera sbattuta nelle onde con sopra gli accademici, in giacca e cravatta, che ogni tanto tirano un razzo di segnalazione per dire “siamo qua”. C'è qualcosa di poetico, provo la stessa sensazione di quando osservo orsi impagliati, un velo di polvere sugli occhi di plastica.

Non sto dicendo che raccontano stupidate, quello di cui parlano ha senso, ti viene da dargli una pacca sulle spalle e dirgli bravo, solo che è come sentir parlare di come si apparecchia la tavola con dieci posate a cranio, quando tutti mangiano un panino per strada, con le mani, mentre parlano al telefono, guardano un video, fanno gesti che hanno significato solo oggi, solo per cinque minuti.

Allora parliamone, della lingua italiana, prima che sparisca del tutto, cerchiamo di par passare il messaggio che è importante, che va usata bene. Solo noi abbiamo il congiuntivo, solo noi usiamo il “lei”. Sì, continua, sono molto impressionato. I registri, vogliamo parlare dei registri? Certo, son qua apposta.

Non usiamo più i registri. Aulico, colto, formale, colloquiale, popolare. Se non usi il registro corretto fai brutta figura, la gente si offende anche per meno. Ad esempio i politici, usano registri bassi, parlano per rendersi simpatici, perdono di autorità e sono di cattivo esempio. Forse, è una possibilità, non sono capaci, può essere che non facciano apposta, che siano davvero stupidi e incolti? I giovani, che sono scurrili e celebrano organi e atti sessuali citandoli così spesso, magari parlando di Dante o Manzoni – li capisco, anche a me viene da dargli della testa di fallo ogni tanto - non sanno più usare i registri alti.

È un gioco che non appassiona più, quello dei registri. Per non parlare del vocabolario, di tutte le parole che ci sono ne usiamo sempre meno, perdiamo le sottili differenze dei sinonimi. Potremmo fare campagne promozionali, le famose pubblicità progresso. Stupisci tua moglie stasera, usa un termine arcaico! Sbalordisci gli amici esibendo un linguaggio dotto e forbito. Facciamo un gioco a premi in tv, gettoni d'oro a chi indovina il registro.

Personalmente al liceo e all'università ho sempre trovato divertente imparare i gerghi. Ogni registro comporta un gergo, questo bisogna dirlo. Che poi magari uno pensa di poter usare i registri senza imparare i gerghi e ci rimane male. Gerghi significa vocaboli specifici, sintassi particolari, forte ricorso a forme metaforiche, stili oratori e strategie retoriche. Come quando i medici parlavano in latino fra di loro della tua malattia per non farti capire che non avevano la più pallida idea di cosa fosse e litigavano per salassarti con le sanguisughe o farti bere un po' di mercurio.

Gergo è potere. Se imparate il gergo potete passare un esame usandolo per girare attorno alle domande. Potete dire fesserie in modo così elaborato che risultino più convincenti di una sassata in fronte. Quando incontrate qualcuno che volete umiliare potete fare una gara a chi usa meglio il gergo e distruggerlo con la vostra abilità nel far andare la lingua. È questo che andiamo perdendo: tu estrai il fioretto di anni di studio e applicazione nella scoperta dei segreti dell'eloquenza e quello estrae la pistola della volgarità. Avete presente Star Trek: “Ogni resistenza è inutile, verrete assimilati.”

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