venerdì 20 maggio 2011

Dis-social.

Le regola generale da tener presente è una sola: la tentazione del dominio è futile. Ci si illude di poter esercitare la volontà per andare avanti, perché altrimenti si passa la vita a mangiare, dormire, riprodursi, sfuggire ai predatori, ci si riduce a un'esistenza animalesca. C'è gente che nella pratica si arrende e si concentra sull'ottimizzazione del presente, gli epicurei, o meglio l'interpretazione dozzinale e sbagliata dell'epicureismo che si è imposta. Epicureo non ha niente a che vedere con l'esaltazione del piacere e il rigetto di qualsiasi fondamento valoriale dell'esistenza. Lasciamo da parte Epicuro, l'ho citato solo per facilitare l'identificazione di chi rinuncia al richiamo delle sirene, il canto dell'ambizione, della realizzazione, della sfida personale, delle aspettative altrui, delle responsabilità, le ragioni che spingono a esercitare la volontà di potenza – vedi Schopenhauer – sono molteplici e assai convincenti, per questo si tende a ipotizzare la rinuncia alla vita e non riusciamo a concepire il rifiuto volontario in coloro i quali si mostrano ai nostri occhi come sordi, paralizzati, privati di forza vitale. È un tabù, un peccato, un delitto reputare inutile lo sforzo che ci viene richiesto da quella che alcuni chiamano energia vitale, altri dio, altri natura umana, in ogni caso un comando o una richiesta che non si può rifiutare o un suggerimento amorevole o una spinta benefica, una vocazione che attua una separazione netta dalla quale discendono tutte le altre: chi risponde sì e chi risponde no.

Un amico medico una volta prese un foglio e ci disegnò sopra alcuni puntini sparsi, poi mi passò la penna e disse traccia una linea qualunque, quella che preferisci, e io feci un cerchio attorno all'insieme dei puntini. Lui disse che io avevo recintato il caos, che avevo la tendenza a realizzare il controllo. Prima di allora non avevo mai riflettuto su di me in termini di controllo. Certo, poi Freud e i bambini che per prima cosa imparano a trattenere i bisogni, i cani che vengono addestrati a non farla sul tappeto, e da lì aumenta il grado di complessità nel gioco dell'applicare il controllo, non essere violento, non essere volgare, non grattarti, non ruttare, non toglierti le scarpe, non alzare la voce, e poi sorridi, stai composto, saluta, fai sentire l'ospite a proprio agio. C'è gente che passa tutta la vita senza mai interrogarsi su questo aspetto di sé: il controllo che si evolve nella tentazione del dominio. Ovvero le utopie sociali, le chimere scientifiche, tutta una serie di ottimistiche previsioni che servono solo a motivare la cocciutaggine di chi non riesce a ottenere il controllo, non riesce a dominare la realtà, trova puntini fuori dal cerchio e ricomincia da capo. È una vera e propria religione, ce ne sono tante di religioni che non vengono identificate e percepite come tali pur vantando migliaia, milioni di fedeli. Credere che sia possibile esercitare il controllo, che la promessa del dominio sia credibile.

È comprensibile, del resto un sacerdote che predica il regno terreno mi può chiedere: ebbene, l'alternativa qual è? Vivere come un animale? Oppure la frustrazione, la rabbia, il senso di impotenza? Ora, prima di tutto è impossibile vivere come un animale. Seconda cosa, tutti sentimenti negativi partono dall'idea che sia possibile il controllo, il dominio, la supremazia dell'uomo non solo sul mondo ma anche dell'uomo su se stesso e dell'uomo su qualunque dio. Non vi ricorda la superbia, la ribellione e la caduta? A me sì, ma non importa, importa invece notare che il mondo non si lascia dominare, anzi, non perde occasione di mostrarci la sua impassibilità e indifferenza al nostro destino e ai nostri bisogni e ai nostri voleri. Nemmeno su se stesso l'uomo ha controllo o dominio, se non superficiale, se non sei d'accordo imponi a te stesso di addormentarti e vediamo se ce la fai. Nemmeno su dio come semplice concetto metafisico l'uomo riesce a ottenere il minimo controllo, il semplice processo mentale di astrazione è sufficiente a privarlo di ogni potere e pretesa. Quindi l'alternativa qual è? L'affidarsi. Rendersi conto che non c'è un nesso di azione reazione, che il successo non è un premio, che i fattori casuali e gli errori involontari fanno parte dell'equazione. Siamo tutti diversi, c'è chi è più e chi è meno, ma di fronte all'invito a poggiare l'intera nostra vita sulla promessa del controllo, del dominio, della volontà, siamo tutti uguali.

Anche stavolta ho parlato d'altro, volevo parlare dei social network e sono finito a parlare di quanto mi fanno ridere, o trovo penosi, dipende dai giorni, quelli che confidano nella menzogna del razionalismo, dell'umanismo (n.b. dico volutamente umanismo e non umanesimo). Si vantano di aver superato nietzsche, di essere immuni dallo scientismo, e invece guardali, annaspano per restare a galla. I social network, ecco, era per dire che ottengono il contrario. Come quasi tutti i tentativi pratici di esercitare il controllo che in teoria funzionano a meraviglia, nella pratica falliscono. Come aumentare la sicurezza sulle macchine fa diventare spericolati i guidatori che si sentono protetti e al sicuro. Metti un pugnale puntato al cuore sul volante e vedrai come vanno adagio. Ma senza arrivare a questi estremi se lasci le cose come stanno l'evoluzione farà sparire dalla circolazione il gene degli avventati in un mondo che non richiede più coraggio per sopravvivere. Guardate le cose da lontano ogni volta che potete, alzatevi in aria più che potete e abbracciate con lo sguardo più spazio che potete, e quando vi sembra di vedere parecchio vuol dire che è scattato l'inganno del regno terreno perché in realtà siete ancora a un millimetro dal pavimento.

I social network. Vedo gente con centinaia, migliaia di amici. C'è gente che segue/è seguita migliaia di non solo persone ma anche ditte, personaggi reali o immaginari, identità fittizie. Nascono come strumenti per socializzare e diventano strumenti di marketing, canali di comunicazione pull che selezionano la clientela meglio dei canali push e costano anche poco o niente. C'è gente pagata per impersonare gente famosa, così che tu abbia l'impressione di ricevere l'attenzione diretta e personale del tuo idolo mediatico. Non hanno più niente di sociale questi metaluoghi, ciberpiazze, tranne il nome. Gente con liste infinite di ciò per cui van fanatici, mi piace questo e sostengo quello, sport, politica, musica, per far sapere a tutti cosa ci fa sentire bene, cosa ci si sente parte. Una lista così chi se la legge per conoscerti meglio? Un maniaco, un serial killer, un biografo, chi? Oppure è per far sapere a chi capita sul tal sito che fra i fans ci sei anche tu e se ci sei allora vale senz'altro la pena, come può non piacermi qualcosa che piace a te? Oppure è per fare in modo che il tuo beniamino vinca, abbia più fan del suo avversario, si volti e dica è grazie a voi che abbiamo – questi mezzucci retorici del dire noi e intendere io – raggiunto la vetta, i veri protagonisti siete voi. Certo certo, come no?

Internet si sta sviluppando in guisa di campo aperto per battage pubblicitari a costo irrisorio, veicolati dagli stessi utilizzatori finali, per replicare in modo artificioso (ovvero esercitare il controllo e il dominio) quello che all'inizio era un genuino emergere di persone carismatiche o talentuose, un naturale agglomerarsi di interesse attorno a opere e prodotti. Prima si è passati dal genuino e naturale alla blanda mafioseria dei gruppetti di amici che condividono interessi, attività, tifoseria politica o sportiva, e si linkano addosso e spingono o bocciano senza criterio diverso da simpatie o convenienze meschine. Adesso stiamo arrivando al successo progettato a tavolino: marketing virale, aspiranti performers (non si chiamano più cantanti, adesso si fanno chiamare performers, il che comprende anche i mimi e i suonatori ambulanti immagino) multimediali digital pop che si comprano il video musicale presso ditte specializzate in lancio di prodotti/marchi/artisti/va bene tutto basta che pagate. Perfino sul web fisico alla fine prevale la logica del controllo e dominio, con sottoreti brandizzate che limitano sia l'accesso sia i contenuti. Per cui i social network, che dire dei social network, con la loro capitalizzazione dal price earnings sconvolgente, le previsioni di sviluppo nella capillarità delle spinte promozionali e nella capacità di influenzare i consumatori. Anche i social network, la rete stessa, qualsiasi pulsione alla libertà (dico libertà, non dico anarchia) viene metabolizzata dall'imperio della conoscenza approfondita che distrugge l'oggetto osservato, il gatto è vivo il gatto è morto, degradando il misticismo a pratica di recupero dell'animalesco istintivo o la sublimazione di un fallimento mascherato.

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