giovedì 26 maggio 2011

Democrazia di mercato.

L'illusione liberatoria della democrazia è strettamente legata all'ottimismo del pensiero positivo, con la stessa duplicità attenuata che si riscontra ovunque anche in questo caso il positivismo si traduce in mitologia da rivista patinata (esistono ancora le riviste patinate?), ricettario newage, sto parlando del processo che deforma e snatura qualsiasi concetto in una curva discendente di significato, dalla purezza di una strutturazione intellettuale profonda e articolata si scende giù giù fino alla cultura massificata della disgregazione, della dissoluzione, della disintegrazione, dove il ragionamento è assimilabile solo se viene ridotto alla forma-slogan, la complessità è gestibile solo se viene condensata in un riassunto-ritornello. Anche la democrazia, che all'inizio ha favorito e prodotto le condizioni materiali e immateriali per lo sviluppo esponenziale di tutto ciò che è riferibile all'uomo e all'umanità, la democrazia come togliere il tappo dalla storia perché espella il contenuto del futuro, la spinta del Progresso con la P maiuscola, e via elencando materiale propagandistico che ci ha intasato e obnubilato fin dall'infanzia, che verrà esposto nei musei sotto forma di spezzoni trasmessi e ritrasmessi alla televisione, fino alla completa saturazione e al disinnesco di ogni capacità critica.

La democrazia che diventa vittima di se stessa, va soggetta al medesimo trattamento dissacratorio che viene riservato al passato, con il suo carico di valori che sono per forza antiquati, sapienze che sono per forza antiche, tradizioni che sono per forza mode superate o da superare, e in questa accelerazione che si presume infinita si ficca la testa fuori dal finestrino e si rimane a bocca aperta come cani che si godono un vento che origina da situazioni che non possono comprendere e che, soprattutto, non vogliono, non possono capire. I nostri nonni hanno imparato a costruire automobili, noi abbiamo imparato a mettere la testa fuori dal finestrino e dimenticare, ignorare, restare indifferenti o perfino deridere ogni pretesa di serietà, di impegno, di responsabilità fattiva. La cultura del terzo millennio è questa, è ancora senza nome, verrà battezzata fra decenni, la cultura della decomposizione, mi sembra un buon nome. Oppure verrà superato l'orizzonte degli eventi, il punto di non ritorno, e allora questo periodo verrà brandizzato, verrà sponsorizzato, ci saranno autistici molto famosi in grado di recitare a memoria frammenti di testi in un mondo in cui nessuno più sarà in grado di leggere.

La democrazia, dicevo, la democrazia come colpevole e vittima di un delitto culturale attuato senza il minimo ricorso alla violenza materiale né intellettuale, quasi una morte naturale dopo un periodo di coma. La democrazia infatti nasce come una soluzione come un'altra per giustificare e rendere accettabile l'esistenza dell'autorità e l'esercizio del potere. Prima era Dio, ora è il popolo, ma la sostanza non cambia, si fornisce alla gente un motivo per non rifiutare il potere e, in certa misura, consentire al potere di fare ciò che deve fare: sicurezza, benessere, giustizia... in pratica un ruolo genitoriale che passa da paterno a materno. Il mondo occidentale moderno in un certo senso passa da mascolino a effeminato. Il sociale diventa efebico nella misura in cui si tenta di esorcizzare l'eccesso col quale l'autorità in passato ha usato la forza per raggiungere scopi di gruppo, di massa, di popolo, di nazione. Con la democrazia si può scaricare sul popolo la colpa dello 'ogni mezzo necessario al fine di' col quale si realizzano quasi sempre il vantaggio di una parte a scapito dell'altra. La storia è un elenco infinito di prevaricazioni, furti, omicidi, che non cessano di essere tali se a compierli è qualcuno eletto democraticamente, come ad esempio fu Hitler, del resto, o i dittatori comunisti che hanno agito e agiscono in nome del popolo.

Si faccia caso ora alla differenza fra la democrazia 'alta', che ho appena tratteggiato per sommi capi, con la democrazia 'bassa', la democrazia che chiamo di mercato. La democrazia di mercato è quella dei demagoghi e dei populisti, è la politica-marketing dove l'elettore è il cliente da soddisfare, da convincere con campagne pubblicitarie e testimonials d'eccezione, da far divertire con eventi spettacolari e show musicali prima e dopo il comizio. La democrazia del buonismo assoluto, dove il candidato si comporta come una candidata a miss mondo e dice di volere la pace nel mondo e altri desideri che fanno scappare la lacrimuccia nei film dove muore il cane o i bambini finiscono all'orfanotrofio. La democrazia di mercato ha collaborato con la civiltà dei consumi per inventare la favola ottimistica in cui stiamo vivendo. A volte ci rendiamo conto che la realtà ci sembra diversa, ma quando succede diamo la colpa a noi stessi, andiamo dal dottore a chiedere qualche pillola per sentirci felici, sereni, presentabili, degni di essere paragonati ai modelli proposti dai media.

Si faccia caso anche all'essere positivi senza sapere cos'è il positivismo, il sapere che va a sbattere contro l'incapacità del cittadino medio di appropriarsi dell'ingombrante e ostica eredità culturale che nei secoli è mutata, si è fatta obesa, macrocefala, ipertrofica. La democrazia non presuppone un grado minimo di saggezza, di conoscenza, di competenza nell'esercizio del voto. È una sostanziale delega che nel tempo è divenuta la firma di un assegno in bianco. Così come pensare positivo è diventato un atteggiamento vincente, come la superstizione ha preso il posto della religione, la comunicazione ha preso il posto della rappresentazione, il culto si è del tutto svincolato dalla cultura, e via dicendo. E quando man mano sono sempre di più quelli che si accontentano di stare con la testa fuori dal finestrino, ecco che a un certo punto non c'è più nessuno alla guida e la macchina si ferma. Quello che non capisco è se stiamo ancora accelerando o se iniziamo a rallentare, se invece abbiamo solo incontrato una discesa o una salita, ma è un pensiero passeggero che mi scappa di mente quando torno a concentrarmi sulla fantastica sensazione dell'aria sulla lingua.

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