giovedì 27 gennaio 2011

Ebreo a chi?

Ogni volta che sento nominare la parola nazista io penso a Fabio, che lo era, un nazista, ma solo per quanto riguarda l'odio verso gli ebrei, per il resto Fabio era normale, nel senso di normale come chi invece gli ebrei non li odia. Che Fabio fosse un po' strano lo si capiva anche dai simboli che disegnava sui muri, sulle pagine dei libri di scuola, la svastica a volte la disegnava al contrario e diceva che era un portafortuna indiano, la croce celtica diceva che anche quella era un talismano antichissimo. Insomma questa cosa del nazismo aveva per lui una valenza superstiziosa dove la cultura era interpretazione magica dei segni. Supponevo che nella sua personale dottrina gli ebrei, molto semplicemente, portassero sfiga. Fabio non si vestiva di nero e non si rasava la testa, dovevi conoscerlo meglio per capire che nutriva del rancore irrazionale verso gli ebrei. Capitava che si mettesse a fissare qualcuno e che poi mi dicesse “Secondo me quello là è un ebreo.”
“Perché? Come fai a saperlo?”, chiedevo.
“Si vede”, rispondeva con l'aria di chi la sa più lunga di te, “Si capisce.”
A quei tempi di ebrei che sapessi per certo essere ebrei io non ne avevo mai incontrati. Questa cosa di Fabio che si diceva in grado di capire se qualcuno era ebreo oppure no mi lasciava dubbioso, non riuscivo a decidere se mi stesse o meno prendendo in giro.
“Da cosa lo capisci?”, chiedevo.
“Un insieme di particolari, è una cosa abbastanza intuitiva.”
“Quali particolari?”
“Da lontano è difficile, bisogna fare allenamento, ma da vicino è facile.”
“Allenamento?” Come ci si allena a distinguere gli ebrei?
Fabio era un nazista di quelli che di nazista hanno solo il fatto che odiano gli ebrei, non l'ho mai visto fare niente di male a un ebreo. Nemmeno un insulto, una smorfia di disprezzo. Solo in seguito ho compreso le sfumature del suo atteggiamento, ho realizzato che Fabio degli ebrei aveva paura, e tanta. Nello stesso momento in cui ho capito la vera natura dei sentimenti che sostenevano l'antisemitismo di Fabio, ho capito anche cos'era che lo spingeva a frequentarmi: non riusciva a classificarmi come ebreo o non ebreo.
“Per esempio tu”, disse Fabio l'ultima volta che ci frequentammo, “da lontano non si capisce che sei un ebreo.”
Rimasi stupito, senza parole, come avrebbe fatto chiunque, immagino, al mio posto. Specialmente se, come me, ignorasse il proprio valore booleano di ebreo. Il paradosso è stato che fu il mio stupore a fare di me un ebreo agli occhi di Fabio.
“Visto? Lo sapevo”, mi piantò il dito nel petto, raggiante.
“Come fai a dirlo?”, balbettai.
Ormai era fatta, non avevo modo di fargli cambiare idea. La logica di Fabio prevedeva che il sospettato si sentisse insultato dall'ipotesi e che protestasse immediatamente di non essere ebreo. Avendo io tentennato, esitato, non potevo più permettermi di sostenere il contrario senza dimostrare ancora di più, così facendo, di essere ebreo, o meglio, un ebreo. Fabio non diceva tu sei ebreo, come aggettivo, diceva tu sei un ebreo, ci metteva l'articolo indeterminato e rendeva così tua caratteristica principale l'essere ebreo e non, per esempio, umano o giovane.
Comunque non mi sentivo oltraggiato e Fabio smise di rivolgermi la parola e di guardarmi, offeso più lui di me per lo sviluppo della situazione. Si aspettava che balzassi in piedi a dargli del bugiardo e invece il mio atteggiamento aveva rivelato la verità sul mio conto. Dal canto mio ero perso nell'elenco di ebrei famosi in tutti i campi del sapere, nell'arte, nella scienza, nella filosofia, nel commercio, nella finanza, nell'industria. Pensavo tanto meglio se sono ebreo. Poi mi sono chiesto se davvero non li perseguitasse più nessuno o se fosse meglio tenere nascosto il proprio essere ebreo, anzi, un ebreo. Insomma, di quel che pensava Fabio non m'importava, ero concentrato su di me, sulla mia nuova condizione di ebreo. Possibile che nessun parente me l'abbia mai detto? Forse è una cosa che tentiamo di lasciarci alle spalle. Riflettevo.
Ero così perso nelle mie speculazioni da non accorgermi che Fabio se n'era andato. Da quel giorno non volle più aver nulla a che spartire con me. Ogni tanto lo vedevo fissarmi da lontano e sapevo che, riferendosi a me, stava per dire a qualcuno: “Lo vedi quello là, secondo me è un ebreo.” Mi veniva da ridere perché immaginavo che Fabio mi vedesse nella sua fantasia con una kippah in testa a dondolarmi in lunghe nenie sussurrate, come gli ebrei che si fanno crescere i boccoli sulle tempie e mangiano solo animali sgozzati vivi. Adesso quando incontro persone come Fabio mi dichiaro subito ebreo e poi chiedo “L'avresti mai capito se non te l'avessi detto?”

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