giovedì 3 giugno 2010

Cultural divide.

È difficile seguire la vicenda, capire, approfondire, dipanare la matassa di quanto successo al largo di Gaza. I giornali abbaiano come una muta di beagles sulle tracce di una volpe ferita. Sono pochi i punti fermi che sono riuscito a trovare tra le varie opinioni personali, la cronaca delle manifestazioni, le manovre politiche che sembravano attendere proprio l'avverarsi di un evento del genere per dare il via a un nuovo pressing diplomatico.

Le persone sulle navi dirette a Gaza sono stati definiti pacifisti. Quando qualcuno ha approfondito la questione ha cominciato a chiamarli attivisti. Dopo un po' c'è chi si è spinto a usare la parola provocatori. Netanyahu li ha chiamati terroristi, alludendo probabilmente a un fiancheggiamento politico più che a progetti d'azione materiale finalizzata a provocare morte e distruzione fra i civili. Ad ogni modo alcuni pacifisti/attivisti/provocatori si erano dichiarati pronti al martirio, ovvero morire per la causa musulmana.

Alcuni fatti. Sulle navi c'era un quantitativo di aiuti umanitari inferiore a quello che ogni giorno giunge via terra a Gaza. Prima della partenza delle navi Israele ha proposto l'attracco ad Haifa, dove gli aiuti, una volta controllati, sarebbero stati messi su camion e portati via terra a Gaza. Gaza è governata da Hamas, formazione politica da sempre ostile agli ebrei e contrario all'esistenza dello Stato di Israele, che utilizza per esempio i fondi internazionali che giungono ogni volta che si fanno vertici di pace per farsi carico delle famiglie di chi accetta/si offre volontario a diventare martire.

Dire che la situazione non è semplice è riduttivo, dire che il conflitto è insanabile è lapalissiano. Finché non verranno meno i motivi ideologici, religiosi, politici che muovono uomini e mezzi per obiettivi opposti, finché questo Stato fondato nel dopoguerra verrà visto come un'imposizione immotivata, voluta da cristiani, ai danni di chi vede il nazismo come qualcosa che è accaduto altrove, ad altri, e che tutto sommato non era così sbagliato voler eliminare gli ebrei... Ognuno ha il diritto di avere le proprie idee, è un principio a cui le democrazie occidentali non possono sottrarsi senza scendere al livello di coloro che da sempre negano qualsiasi diritto che noi diamo ormai per scontato. Ma. C'è un 'ma' filosofico enorme quando si tratta di riconoscere il diritto a rifiutare tutto ciò che al pensiero occidentale è costato secoli di sudore e sangue raggiungere.

A Gaza non possono entrare tutta una serie di cose giudicate utilizzabili per costruire armi da fornire in dotazione agli aspiranti martiri o terroristi o patrioti o soldati della resistenza o poveri cristi indottrinati dal fondamentalismo estremista, li si chiami come si vuole. Ma sono anche vietate tutta una serie di cose che è difficile collegare all'organizzazione e mantenimento di attività terroristiche. Questo è il motivo per cui si è organizzata questa forzatura del blocco, alla quale hanno partecipato giornalisti, scrittori, poeti, intellettuali vari saliti sulle navi e decisi a vincere contro l'esercito israeliano o morire nel tentativo.

In ogni caso i giornali di tutto il mondo avrebbero parlato dell'evento, innalzando, come se ce ne fosse bisogno, il livello della tensione in medioriente. Favorendo i processi di pace? Non credo, per cui pacifisti non è ragionevole definirli. Attivisti e provocatori è già più sensato. Terroristi forse eccessivo, anche se l'esito di questa bravata certo non spingerà gli estremisti a più miti consigli.

In ogni caso ciò che è successo è un indizio molto significativo della debolezza di Israele. Territori occupati, blocco di Gaza, scontri a fuoco. Anche all'interno dello stesso parlamento Israeliano partiti di minoranza araba lottano per i popoli arabi che circondano questo pezzo di terra assegnato dall'occidente agli ebrei. Alcuni stati arabi accettano, almeno formalmente, il diritto di esistere dello Stato ebraico, anche se non sono disposti ad appoggiarlo, a difenderlo, né si strapperebbero i capelli se domani non esistesse più. Anche alcuni stati occidentali sembrano sempre meno disposti a sacrificare interessi, soldi e tanto meno uomini per aiutare Israele.

Insomma il paradosso è che chiediamo a Israele un comportamento ineccepibile, da vera democrazia occidentale, in una zona del mondo che è ben lontana dagli standard cui noi siamo abituati. È come mettere una città moderna nel medioevo e chiederle di non imbarbarirsi. Come abbandonare un bambino cresciuto a Manhattan in mezzo alla giungla e chiedergli di aspettare lì, seduto su un tronco, che arrivi la civiltà, senza però danneggiare l'ambiente che lo circonda. Se fosse un libro e non la realtà il mio finale sarebbe questo: Israele depone le armi, allarga le braccia e grida 'Se proprio volete uccidermi allora fatelo ora! Se non lo fate adesso, subito, allora rinunciate per sempre.' Così, a finale aperto, decida il lettore quale sarà la reazione del nemico. Nella realtà probabilmente dovremmo cercare un posto in europa o negli usa dove trasferire gli ex abitanti di quello stato che si chiamava Israele.

La domanda è: se per ipotesi prendessimo Israele e ce lo portassimo in occidente, poi l'abisso che separa occidente da medio-oriente, non parliamo dell'oriente per ora, svanirebbe come per magia o si passerebbe alla fase successiva, più vasta e definitiva, del conflitto? È davvero possibile un confronto in grado di aprire una via d'uscita realistica senza che una delle due parti, chiamiamole per semplicità cristiani e musulmani, abbandoni le sue idee e rinunci ad essere se stessa? Sono così diverse da far pensare che siano inconciliabili, destinate a vivere su due pianeti distinti. Entrambe hanno come obiettivo la conquista dell'altra, dovessero volerci secoli, non importa l'accettazione di compromessi temporanei, la strategia è quella dell'assimilazione. Non esiste il modo di far nascere una società che possa accontentare entrambe, quella proposta dagli idealisti richiede che tutte le culture muoiano per lasciare il posto al sogno di un mondo nuovo, un uomo nuovo utopisticamente a-culturale e sovra-culturale. Come se fosse possibile dare un colpo di spugna al progresso dell'umanità senza estinguere quasi completamente la specie umana. Certi idealisti li trovo più spaventosi dei terroristi.


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