lunedì 14 giugno 2010

Perché uscire quando il mondo ti entra in casa?

Non so come funziona nel resto del mondo, però so che non mi piace come funziona qui. Non sono molto pratico, esco poco, ma anche dentro casa mi arrivano echi dal mondo che sembrano uscire da un televisore, si tratta di urla, di parolacce, di musica a tutto volume, di auto e motociclette che quando viene buio si mettono a sfrecciare alla velocità della luce anche se il limite è di 50 orari. Cerco di ricordare come fosse il mondo quando uscivo di più ma non ci riesco per cui forse è sempre stato così e sono io quello che non lo riconosce. Capisco che c'è qualche partita di calcio in corso perché in quel caso ogni tanto si realizza un coro sbraitante formato da moltissime voci provenienti da innumerevoli finestre. Posso anche capire la percentuale dei tifosi prevalenti nei dintorni dal tono complessivo del frastuono, esultante o deluso. A volte scoppiano litigi in strada e si sentono rumori di vetro rotto o l'intervento altrettanto rumoroso dei pacificatori, se va bene, altrimenti giungono mezzi dotati di sirena.

Non ho paura, non sono arrabbiato, è difficile per me non scambiare il tutto per una tv accesa e quelli della mia generazione, a differenza dei pre-multitasking, sanno benissimo come escludere dalla percezione il sottofondo di una tv accesa, della radio, di un martello pneumatico nella casa dei vicini. La capacità di isolarsi può essere considerata una forma di evoluzione per galleggiare nel caos della sovraesposizione agli stimoli sensoriali? Ormai provo maggior disagio nel silenzio, come quando tuo figlio piccolo smette di parlare e provocare rumori e ti viene il forte sospetto che stia per combinare o abbia già combinato qualcosa di spiacevole. Finché sei circondato dal casino del mondo ti chiudi in casa e ti senti al sicuro, hai un buon motivo per non uscire, ti senti fortunato a poter fingere che sia una tv lasciata accesa. A pensarci bene è assurdo, una contraddizione fra le tante cui ci siamo abituati. In teoria bisognerebbe uscire tutti e farli smettere, pretendere la pace.

Eppure non si può, specialmente se tieni per mano un bambino. L'ho capito ieri, in piscina, che io non ho più il coraggio di oppormi. La piscina è molto bella, continuano a migliorarla e il biglietto d'ingresso sta diventando proibitivo: sette euro e mezzo a testa, però ci hanno messo lo scivolo, il pagliaccio, l'elefante, la barca dei pirati, le onde finte ogni mezz'ora. Scatta il fischio e tutti corrono nella vasca delle onde, immagino sempre l'incaricato al fischio con addosso un camice da laboratorio mentre prende appunti sui tempi di reazione ma questo è un altro discorso. Davanti all'ingresso della piscina c'erano in terra centinaia di mozziconi, bottiglie di birra vuote, anche una di vodka, azzurro il rimasuglio di liquido sul fondo - Vodka azzurra? Esiste? - e mi sono immaginato i rumori prodotti dalla gente ubriaca che aveva sporcato tutto quanto. Nel senso di come sarebbero stati ascoltandoli in casa, da una finestra aperta, senza sapere nulla di chi stesse facendo cosa, chiedendosi se fosse un film o un documentario o una pubblicità.

Anche questo dev'essere percepito come finzione dal momento che da stamattina nessuno ha ancora pulito e sono le tre del pomeriggio. Deve far parte della scenografia, un dettaglio realistico compreso nel prezzo del biglietto, per aumentare la sensazione di far parte del cast, di essere una comparsa nel film della vita vera. Entro e vado nello spogliatoio maschile. C'è una donna. Mi sto cambiando quando entra un'altra donna e si mette a parlare con me. Sono in un cubicolo con porte a ventaglio che occultano il corpo e lasciano visibili testa e piedi, sono nudo col costume in mano. A due cubicoli da me c'è una donna che si sta cambiando, il marito sbircia da sopra la porta, con lui ci sono due bambine, avranno dagli otto ai undici anni. La donna che arriva è corpulenta e anch'essa ha bambini al seguito, un maschio e una femmina. Non ho sbagliato spogliatoio. La donna che entra si mette a parlare con me, mi fa i complimenti per mio figlio che mi sta aspettando seduto vicino agli armadietti. La guardo, non riesco a rispondere e infilare il costume allo stesso tempo, alla faccia del multitasking.

Nella vasca dei piccoli vengo colpito in un occhio da un cannone ad acqua pensato per combattere con pirati in età prescolare impediti nei movimenti dai braccioli gonfiabili. Evito di guardare l'acqua quando entro nella vasca dei piccoli perché non voglio sapere cosa ci galleggia dentro. Sono qui per far divertire mio figlio, il resto non può e non deve avere importanza. Nuota, ride, ci divertiamo parecchio e me ne infischio di cosa può pensare chi mi vede fare lo squalo o il cavalluccio marino nella vasca media. Non sono io quello che si è ubriacato ieri nel parcheggio, amico che fai il fighetto. Ci sono coppie di giovani che si baciano ovunque. Nei vialetti, sugli asciugamani, in mezzo alla vasca. Che sostanze chimiche mettono nel cibo per rendere gli adolescenti così incapaci di trattenersi all'istinto copulatorio? Forse è esibizionismo, non ne ho idea.

Quando arriva finalmente l'ora di tornare a casa, mi viene la strana idea di approfittare di una doccia calda per toglierci di dosso il cloro e altre sostanze rimasteci addosso che non voglio indagare. Entro e c'è un tizio con il costume calato alle ginocchia, il pene flaccido penzolante, che si sta sfregando una mano fra le chiappe con energia e apparente goduria. Ci sono altre persone intorno, anche bambini, ma lui sembra così assorto nel compito di massaggiarsi la zona anale da non rendersene conto. Qui ho capito che tenere per mano un bambino ti rende codardo. Non sono un attaccabrighe né un rompiscatole ma se non ci fosse stato lì con me un bambino avrei chiesto a quel mentecatto se credeva di essere in caserma, se non aveva una doccia a casa sua, se non aveva mai preso in considerazione l'uso di un farmaco per alleviare i sintomi delle emorroidi.

Invece ho fatto dietro front e sono uscito dalle docce, sperando di non incontrare altre donne desiderose di parlarmi del più e del meno quando sto usando lo spogliatoio maschile. Mi piace sempre di più starmene in casa, non riesco mai a spiegarne i motivi a chi mi chiede ragione di quello che sembra un atto egoistico, il vezzo dell'eremita borioso, la torre d'avorio di una principessa schizoide. Non ci riesco perché mi viene il dubbio che la domanda mi venga posta da una che non si fa problemi a entrare nello spogliatoio maschile e rivolgersi a chi si sta cambiando, oppure uno col cazzo in mostra che si striglia il culo con piglio estatico nelle docce pubbliche, oppure uno che la sera va a divertirsi scolando vodka azzurra sul marciapiede di un parcheggio. Preferisco dire che sono io ad avere un problema, che se fossi normale uscirei molto di più, e non posso ignorare il fatto che, per quanto ne capisco, potrebbe anche essere la verità.

Ho fatto un esperimento per capire come funziona: me ne sto sul balcone a fumare e quando sento esplosioni vocali collettive mi aggrego, bisbiglio lunghe vocali o ringhio o alzo le braccia e accenno un balletto, afferro un joestick immaginario per teleguidare il motociclista o il razzo, potrebbe benissimo essere un razzo, che è un'immagine sfocata con marmitte da far tremare vetri e otturazioni. Immaginare cosa succede là fuori per me è più che sufficiente, non credo di poter sopportare una dose maggiore di umanità senza rimetterci il senno o la vita. Sono sempre stato così o sono invecchiato? Sono diventato un paziente di Sacks, come quello che scambia la moglie per un cappello e non si rende conto di aver perso facoltà e cognizioni perché un emisfero danneggiato nel cervello gli preclude la coscienza di ciò che manca? Sempre più spesso considero meglio non sapere, è probabile che la consapevolezza sia grandemente sopravvalutata.

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