lunedì 17 ottobre 2011

Entropia

L'effetto più vistoso della tecnologia si è manifestato nella produzione e distribuzione di storie. Storie che vanno da una frasetta a centinaia di pagine, fino allo stream of consciousness da fantascienza di un chip che legga il pensiero in diretta, da una singola immagine a ore di filmato, fino alla vita trasmessa da una webcam dentro all'occhio, da un jingle a musica suonata per ore, fino al concerto infinito di un computer che compone dirige e suona tutti gli spartiti girando in orbita sulle nostre teste. Il costo di produzione è diminuito, ci sono tastiere e programmi di videoscrittura, ci sono macchine fotografiche e telecamere digitali, ci sono strumenti musicali virtuali. E la capacità dell'autore materiale? Quanto rara e preziosa è, al momento, la capacità di manipolare parole, immagini, suoni? A giudicare dalla quantità di materiale in circolazione si direbbe che non è così difficile produrre materiale, anche se poi interviene la statistica e bisogna capire la qualità media, se si alza, se si abbassa, se sparisce del tutto, se al contrario c'è in giro molta più roba di qualità. E qui sorge il problema della selezione, che un tempo era legato alla distribuzione delle copie materiali. L'editore selezionava, produceva copie, le proponeva al pubblico. Adesso no. La selezione è sparita, è un bene o un male, dipende da chi selezionava cosa, per esempio se c'è un partito politico che usa soldi pubblici per finanziare autori propagandistici no, non va bene. Dopo qualche decennio di selezione hai influito sulla società con intenti educativi o rieducativi e non è detto che sia meglio di come sarebbe qualora lasciata libera di crescere senza condizionamenti culturali. Una delle critiche è proprio quella di aver lasciato a internet il ruolo didattico già pessimo svolto dalla tv commerciale, ovvero la tv che deve proporre programmi spazzatura che piacciono molto al fine di incassare proventi pubblicitari e non tv elitaria che guarda solo chi non ha alternative preferibili. Si dice che se prima la tv rovinava la gente, almeno c'era una regolamentazione, un controllo per tentare di evitare gli eccessi, anche se col tempo è diventato sempre più blando il concetto di eccesso, si sono allargate a dismisura le maglie della tolleranza su ciò che fa scandalo e ciò che fa audience. Si inizia ora a parlare di vietare per esempio il porno di internet ai minori, mettendo un blocco rimovibile su richiesta dell'abbonato al servizio internet maggiorenne. Nel frattempo il web offre tutto a tutti, senza nessuno che seleziona ufficialmente i prodotti se non chi si occupa di marketing virale, il resto è frutto di passaparola.

Il costo per produrre è calato, la selezione è svanita assieme al monopolio della distribuzione, quest'ultima resa gratuita da supporti immateriali come i file ospitati gratuitamente dai server, il costo della promozione pubblicitaria è rimasto solo per prodotti legati alla filiera produttiva, scrittori già famosi che sfruttano il libro di carta come oggetto di culto più che di cultura, film con budget milionari che cercano sempre nuovi modi di rivitalizzare le sale cinematografiche, cantanti che hanno spostato l'attenzione dagli introiti per copie di dischi venduti a numero di biglietti venduti per i concerti dal vivo. La scelta di creare una porzione di rete chiusa, dove per accedere devi dare il tuo numero di carta di credito e usate un apparecchio anch'esso blindato, ha reso felice il sistema di produzione e consumo analogico al punto da trasformare in una specie di semidio di cartapesta il tizio marchiato mela. E il mondo si è dimostrato felice di trovare un oasi simil televisiva, dove si possa andare quando l'entropia provoca ansia, confusione, irritazione. Perché è questo che si prova quando non si sa cosa scegliere, non c'è nessuno a dirmi cosa piace a moltissime persone e soprattutto cosa piace agli idoli mediatoci, gli opinion makers, alle persone che passano la vita a classificare i prodotti per aiutarci a scegliere cosa comprare, i consigli per gli acquisti, come pensarla riguardo a questo fatto, dove andare per manifestare a favore di questo o contro quello, a chi mandare una email con scritto cosa, insomma l'ultima versione di grande fratello. Senza una guida si piomba nella paura e nel caos, un grande fratello è lì pronto per accoglierci sotto la sua ala protettiva e amorevole. A volte è un dittatore, a volte un profeta, a volte qualcuno che sorride o grida rivolto alla telecamera. Nessuno vuole essere solo, nessuno vuole essere l'unico allo stadio che fa il tifo, il primo a tirare la pietra, nessuno vuole indossare qualcosa che gli procurerà risate di scherno, nessuno vuole sporcarsi la camicia, inciampare, andare a sbattere, scoprire di avere tutti gli occhi addosso quando vorrebbe passare inosservato o scoprire di passare inosservato quando vorrebbe avere tutti gli occhi addosso.

Soldi e fama, in fondo è solo l'ambizione a muovere la maggior parte di chi cerca di vendere qualcosa, compreso se stesso, al maggior numero di persone possibile. La ricerca del successo come scopo della vita. Ne ho già parlato, mi pare. Ma internet sta rendendo vano questo modello a prescindere da chi seleziona cosa, se è il partito comunista e tu sei un dissidente vai in prigione anche se hai preso il nobel, o dal livello di meritocrazia di una società, cosa che rende possibile il sogno americano, senza meritocrazia puoi essere bravo quanto vuoi ma ti passa davanti il raccomandato, il leccapiedi, l'amico dell'amico. Con internet tutto questo viene messo in crisi. Non c'è bisogno di essere criminali informatici per sapere che ci sono a disposizione, almeno fino a quando l'autorità non deciderà di dare un giro di vite alla libertà sul web, centinaia, migliaia di prodotti da tutto il mondo. Tanto che la difficoltà principale sta nell'ostacolo linguistico, servono traduttori per infrangere la barriera, non è una cifratura da far decrittare con forza bruta da processori sempre più veloci. Ci sono così tante storie al momento on line, potenzialmente tesori di cui guardo solo copertina, leggo il titolo o guardo la locandina, pensando a quanto tempo dovrei perderci per verificarne la qualità, per rendermi conto di aver speso bene o male del tempo sempre più prezioso. Si rimane paralizzati e si vuole un grande fratello, un selezionatore professionista, un investitore che ci abbia scommesso sopra grosse somme di denaro, un pubblicitario che ne valorizzi i punti di forza e mi renda appetibili anche le peggio stronzate. Ne vale la pena o nel frattempo mi perdo qualcosa di meglio? Se sì, cosa? C'è davvero qualcosa che mi sto perdendo? O è tutto un succedaneo nel niente originario, figli di un capostipite banale, senza cappello, senza baffi a manubrio, le mani sul ginocchio e la posizione a trequarti per il ritratto dipinto a olio. E mai esistito davvero un filone d'oro dell'arte? O le cose belle sono state pescate a caso e sono sopravvissute nel tempo per un colpo di fortuna? Perché ho già dedicato anni di vita a riempirmi di schifezze. Anche roba spacciata per toccasana universale, che dopo la tua vita non sarà più la stessa, e invece al dunque si rivela sbobba. Di tutto quello che ho visto e letto c'è poco o niente di cui non potrei fare a meno, alla quale imputo una causa del mio essere diventato quel che sono, un mattone fondamentale senza il quale crollerei su me stesso. Qualche film, qualche libro, qualche immagine. Ma la maggior parte di quanto proposto dal sistema dei selezionatori è entertainment di bassa lega. Quel tipo di intrattenimento che ti aiuta a vivere facendoti scordare che sei vivo, che hai una vita vera, che i giorni, i mesi, gli anni passano e tu no stai crescendo come una pianta sana e robusta, mentalmente sei rimasto un bonsai, tenuto nel buio confortevole dell'intrattenimento.

E mi chiedo anche se potrei raccontare una storia che non esista già là fuori, da qualche parte, che vada a toccare certi tasti, son come le note, sono emozioni, sono dilemmi morali, sono buoni e cattivi esempi? No, non potrei. Esiste già tutto, qualcuno ha già detto quello che andrebbe detto, non ci resta che recuperare le stesse cose, ancora e ancora, ripeterle con altre parole, dentro a storie differenti, con musiche inaudite eppure familiari fin dal primo ascolto. Tutto è compiuto. Tutto è già successo, il futuro è solo un colpo di coda, un eterno ritorno, un sentire bussare alla porta e spaventarsi oppure no, impaurirsi oppure no, arrabbiarsi oppure no. Perdersi nell'entropia di un mare di cose che nel tempo si riveleranno non così importanti, non così irreparabili, diventeranno foto ingiallite, ricordi selezionati di grandi storie sentimentali dalle quali sembrava pendere, appesa a un filo troppo sottile, nientemeno che l'esistenza e l'equilibrio mentale, quando era solo intrattenersi a vicenda, tenersi per mano, dare spiegazioni, proiettare ombre. E allora scrivere come opera decostruttiva e semplificatoria? Già fatto, la mercificazione e massificazione dell'arte. Tanto vale scrivere elenchi, numeri, percentuali, cronache, musiche monotone da ascensore, storie belle da ascoltare anche se non dicono niente, cambiare la vita, in meglio o in peggio, che importa, per farsi compagnia, per gestire il coma, la totale privazione sensoriale da eccesso di esposizione, la realtà virtuale ora in formato vita vera, oggetti esposti in bella mostra, merce posizionata con cura dentro una cornice accattivante, esche dalle quali siamo separati mediante una vetrina pulita, da uno monitor o uno schermo televisivo, la terza dimensione del desiderio con tanto di prezzo scontato, solo per pochi, solo per oggi, restate con noi, non cambiate canale, e noi sbattiamo contro le pareti come pesci in un acquario, specchiandoci. Là fuori c'è già tutto, il messia è già arrivato, proprio quando ti sei alzato dal divano per andare un momento in bagno, un momento al frigor, senza uscire dal coma, senza abbandonare la sicurezza del polmone d'acciaio. Non rimane altro da dire, da cantare, da scrivere, da disegnare, se non per aumentare l'entropia, per aggiungere dati alla curva statistica del gradimento e della qualità, che va da largo intrattenimento a per appassionati del genere.

Pertanto a cosa serve, oggi, essere ambiziosi, se non diventare rotelle di meccanismi che ti rendono cosa? Ricco, quanto vuoi diventare ricco? Quanti soldi ti servono? Cosa ci compri? A cosa sei disposto a rinunciare pur di diventare ricco? Perché tutto a un prezzo, anche la ricchezza ha un prezzo, oh, se ce l'ha. Famoso? Non ti interessano i soldi ma vuoi diventare famoso? Nel senso che la gente ti ama o nel senso di passare alla storia? La gente non ti ama per sempre, e anche quando ti ama non è che ti ama come pensi tu, magari ti ama come si amerebbe un gatto o un ricordo di infanzia, un vecchio zio che vedi ogni tanto e racconta barzellette e ti mette in mano dei soldi quando se ne va. Vuoi essere amato come? Come un dio? Come un padre? Come una madre? Come il figlio che sei stato o non sei stato? Passare alla storia per cosa? Per aver inventato qualcosa? Quante volte pensi in un giorno agli inventori del passato? Vuoi essere ricordato come un grande artista? Quanti artisti del passato ascolti normalmente, a parte mozart nelle pubblicità dei cioccolatini trasmessa alla radio mentre sei incolonnato con la macchina in tangenziale, intendo. Ricapitoliamo: le probabilità si successo sono minime, in ogni caso no diventerai ricco e se anche lo diventerai non è quello per cui produci storie, che siano di parole, immagini o suoni. Se vuoi diventare ricco apri un supermercato, una catena di fast food, un sito internet per il gioco d'azzardo. È così che la gente di solito diventa ricca, è molto più probabile diventare ricchi così che ottenendo successo come artisti. Inoltre non vuoi nemmeno passare alla storia: avere il proprio nome su una lapide al cimitero e dentro a un'enciclopedia non cambia molto, la tua vita può comunque essere stata fenomenale o una merda totale, piena di un senso di riconoscenza luminoso o piena di una tragica consapevolezza di inutilità. Non è la soluzione al problema della vita né a quello della morte quella che ci viene proposta dal marketing.

La risposta è altrove, non sarò certo io a dirti dove, il biglietto per arrivarci non è in vendita, ognuno nasce col proprio ed è libero di decidere se usarlo o buttarlo via, se credere che serva davvero a raggiungere una destinazione o sia solo una presa in giro. Certo, l'ambizione porta risultati, se e quando li porta, concreti e immediati, concede la meritata gratificazione per l'impegno profuso. Ma l'ambizione non è un meccanismo automatico, dove se non sei bravo lo diventi, che le cose basta volerle e tutto è possibile, se non sei fortunato lo diventi, che le occasioni bisogna procurarsele e non si deve aspettare che cadano dal cielo. L'ambizione se ci guardi dentro scopri che solo voglia di consolazione, bisogno di rivalsa, impulso naturale di competizione, di vincita, di ammirazione, l'equivalente sociale della spinta animale a scegliere o venire scelti mentre si cerca il partner geneticamente migliore in circolazione per accoppiarsi e riprodursi. L'ambizione se la guardi da vicino è solo insicurezza, solitudine, fragilità, disperazione, e ti accorgi che tutto quello che davvero ha avuto importanza nella tua vita ti è stato regalato, ti è stato donato da chi non aveva bisogno o possibilità di ambire a niente che si possa ottenere in questo mondo. I libri che ti hanno detto la verità quando tu avevi bisogno di bugie, o viceversa, i film che ti anno mostrato la realtà quando tu avevi bisogno di fantasia, o viceversa, i disegni che ti hanno fatto sentire bene quando volevi sentirti male, o viceversa, non sono stati fatti da qualcuno che voleva far soldi o diventare famoso, come un uccellino non canta per tuo piacere personale, quello succede solo alle principesse delle favole. Non c'è niente di male a coltivare delle ambizioni, purché restino il mezzo e non il fine. Un conto è fare delle cose che ti riempiono comunque la vita e che faresti anche se fuori dalla finestra ci fossero le macerie di una guerra mondiale e branchi di lupi affamati che ti aspettano sbranarti, e nel fare queste cose speri di venire pagato così da non dover fare quella cosa orribile che è lavorare, ovvero fare cose che non ti piacciono per niente, perché se ti piacciono non è lavoro nemmeno se ti pagano, e che le persone per cui ti stai sbattendo, che si presume siano persone a cui tieni, delle persone per le quali provi gratitudine, o l'amore per i figli, anche solo te stesso in un delirio di egocentrismo, qualcuno che possa un giorno, chissà, apprezzare lo sforzo. Anche se sai che è tutto inutile, che è già stato detto tutto, che là fuori c'è un mare di entropia pronto a ingoiarti e farti sparire dal tempo e dallo spazio. Un altro conto è fare delle cose perché sono quel tipo di cose che potrebbero renderti ricco e famoso, fare delle cose che possono renderti simile a quel tizio, uno o più di uno, che invidi, o che vuoi surclassare, imitare, scoprire il suo segreto e diventare come lui, oppure fare delle cose che reputi fichissime, attività da supereroi, cose diverse dal lavorare come magazziniere, come contabile, diverse dal mettere le mani in bocca alla gente per trapanare via le carie, cambiare i pannolini ai vecchi con l'alzhaimer, mungere la vacche, scendere in miniera. Vuol dire anche quello l'ambizione, una via di fuga, un paradiso artificiale, un biglietto che, a differenza dell'altro, sai esattamente dove ti può portare ma non sai se ti piacerà davvero arrivarci e, soprattutto, non sai se ti piacerà il viaggio mentre ci vai. Sto proprio diventando un vecchio barboso e rompipalle, faccio discorsi che se li avessero fatti a me da giovane sarei morto dalla noia, si vede che a una certa età il cervello perde colpi e si chiacchiera per ore e si finisce per fare predicozzi indigesti come questo.

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