venerdì 3 giugno 2011

Ricchezza immateriale.

Ci sanno motivi legali, clausole, non saprei, fatto sta che non vengono tradotti articoli interessanti come l'ultimo di Franzen sul NYT, frammento di un discorso alla Kenyon. Qui in Italia è come essere in un paese straniero, per molti di noi italiani, è come essere allo zoo, uno di quegli zoo dove a un certo punto non capisci chi è in gabbia e chi fuori, chi sta osservando chi, chi è davvero libero e chi si è dimenticato di essere prigioniero. Non è solo un problema di lingua. Certo, se ci fossi io al governo la lingua italiana la dichiarerei morta, è una lingua falsa, costruita a tavolino, imposta dall'alto, usata per unire un popolo diviso. Hai voglia a risalire al latino, a tirare in ballo Dante e Petrarca e Manzoni, sono tutte balle, noi italiani siamo così abituati a vivere nella menzogna, di menzogna, noi la menzogna la mangiamo e ci lecchiamo i baffi, la spacciamo come droga strizzando l'occhio ai bambini che ci provano per la prima volta. I nostri libri sono pieni di menzogne. I nostri giornali raccontano menzogne anche semplicemente evitando di raccontare verità scomode o sconvenienti o pericolose. Le nostre televisioni non sanno nemmeno più distinguere tra cosa è vero e cosa è falso. Siamo così marci di natura da essere l'unico paese della cintura sovietica a essere anche base americana, siamo stati sia con che contro i nazisti. Siamo così bugiardi da dichiararci italiani quando nessuno di noi lo è, tranne chi non ha capito che è una palla, non esiste né l'Italia né gli italiani, sono un'invenzione del risorgimento, sono un format, come si dice oggi, sono un brand, come il made in Italy, con tanto di slogan we do it better, in inglese ovviamente, perché l'italiano chi lo parla nel mondo? L'italiano è un dialetto, è il gergo della mafia, è la lingua che si usa con le forze dell'ordine, i notai, i giudici, i professori, i medici, la lingua della nomenclatura, dell'intellighenzia, per il popolo è la lingua che usano le tribù della nostra penisola per entrare nel circuito della politica, dello spettacolo, del commercio. Dopo 150 anni dalla nascita dell'Italia i miei nonni parlavano dialetto, i miei genitori pure, io conosco il dialetto e sono l'ultimo della mia famiglia che lo parla, i più giovani hanno solo questa lingua da due soldi, l'italiano, che nel mondo se parlassero in dialetto sarebbe uguale perché il mondo parla inglese, magari cinese, ma non italiano, così come non parla swahili o svedese.

La lingua è un grosso ostacolo. È una gabbia di provincialismo perché spinge a ritenersi al sicuro dal mondo esterno, ma è anche un grosso ostacolo alla comprensione, al diritto dell'intelligenza a non subire il ricatto della menzogna. Se ti raccontano balle in italiano (come ieri sera in tv, a dire che il fotovoltaico è una soluzione, quando è palese che come minimo servirebbero batterie grosse come palazzi per soddisfare il fabbisogno anche di notte), non possono impedire agli stranieri di raccontarti la verità quando tu capisci l'inglese. Se tu dici a un cinese i motivi per cui ritieni sbagliato uccidere le neonate femmine (o abortire il feto quando l'ecografia rivela il sesso femminile) il cinese potrà essere indotto a riflettere sul controllo delle nascite solo se capisce quello che stati dicendo. Non è che io mi devo mettere a imparare una lingua che usano in pochi per farmi capire, a un certo punto si arrangi, cuocia nel suo brodo, se vuole dialogare usi una lingua più diffusa, più utile, come fu ai tempi il greco e il latino. Invece no, eccoci qui, orgogliosi di usare una lingua morta ancora prima di nascere, italiani che ci vantiamo di cosa? Di un paese che conta solo come mercato di consumatori? Cosa produciamo? Siamo l'unico paese europeo dove le ditte hanno meno di 10 dipendenti e sono a conduzione famigliare. Un paese di microindustrie che lavorano negli indotti, dove i migliori scappano all'estero quando si rendono conto che l'Italia, a livello mondiale è solo un piccolo quartiere malfamato di periferia dove si va per provare emozioni forti nel week-end, per concedersi qualche trasgressione, dove ci sono bei ristorantini, un ambiente naturale affascinante (quel che ne rimane, fra cemento e rifiuti). Qui vige la logica della conoscenza, del traffico, della bustarella, del piccolo tornaconto, del favore da ricambiare, non del merito, del progetto, del raziocinio. Quello che succede per la lingua, ovvero un lenzuolo formale fresco di bucato che nasconde il materasso sporco, succede per tutto il resto, viviamo una menzogna grossa come un intero Stato, un intero popolo. Siamo passati dall'economia di sussistenza agricola all'industria del consumismo di massa senza capirlo, guidati dal mero istinto predatorio, dalla sete di ricchezza e di potere, dall'opportunità di sedere come pari al tavolo con tedeschi, inglesi e francesi.

La storia dell'Italia è da sempre la storia dei conquistatori che l'hanno depredata, dei dittatori che l'hanno sfruttata, dei monarchi che l'hanno usata come bastione per dare un tetto sulla testa alle loro dinastie, dell'oligarchia che ha fatto gli interessi dei molti come conseguenza inevitabile del fare gli interessi dei pochi. Gli italiani hanno raggiunto un livello di benessere accettabile nonostante i governi, nonostante il sistema, nonostante se stessi e la loro natura di outsider, la politica socialista ha usato l'Italia come terreno sperimentale e ha prodotto uno degli esempi keynesiani più significativi che possiate trovare nel mondo intero perché solo qui potete assistere a governi che fanno leggi sia di destra che di sinistra, sia liberali che comuniste. L'unica costante è stata sempre la spesa pubblica, spendere soldi pubblici per andare al potere o per rimanerci, spendere per rovinare i conti a qelli che prenderanno il nostro posto se perdiamo le elezioni, spendere per favorire i nostri amici che a loro volta finanziano, legalmente o di straforo, il partito. Ma come sono finito a parlare di questo? Parlavo di Franzen, un articolo molto interessante che in Italia non arriverà mai tradotto e che arriva in inglese solo grazie a internet e al NYT che mi permette di leggerlo on-line. Senza internet, senza il NYT, senza Franzen, io oggi non avrei riflettuto sui contenuti dell'articolo e sarei una persona più povera perché la ricchezza della cultura è qualcosa in grado di cambiarti la vita dal di dentro molto più di quanto potrebbe cambiartela dal di fuori una vincita alla lotteria. Se ti viene un cancro i soldi della lotteria magari ti permettono di pagare i migliori dottori del pianeta, di usare macchinari e medicine in grado di allungarti la vita di qualche mese, qualche anno, ma quello che impari ascoltando quello che hanno da dirti alcune persone che per fortuna, per caso, per dono naturale, un giorno gli capita di dire delle cose che potrebbero cambiare la vita di qualcuno dal di dentro, ecco, a quel punto magari non hai i soldi per farti operare dal luminare, non vivrai qualche anno di più, ma potrebbe essere che cambia il modo col quale affronti le cose che ti capitano, che quello che sei, quello che hai attorno, che è come svegliarsi o capire la dimostrazione di un teorema, su certi regali non c'è attaccato il cartellino del prezzo.

E poi ti giri e vedi quelli che dovresti considerare fratelli perché vivono entro i confini artificiali e convenzionali di un paese dichiarato tale 150 anni fa, in cui per molti cittadini la lingua ufficiale è tuttora una lingua straniera, li guardi e ti senti ancora più lontano, ancora più alieno, perché sai che pochissimi di loro sanno l'inglese, hanno internet, hanno letto l'articolo, e anche se tutto ciò fosse accaduto, non è detto che l'abbiano apprezzato, che abbiano pensato, come te, di leggere cose che una volta lette sembrano ovvie ma prima di leggerle non ci avevi mai fatto caso. Come trovare la soluzione in quei giochi delle differenze, dell'immagine che appare dai puntini, arricchimento culturale. Accendi la tv e ti sembra di vedere persone che non ti assomigliano, che non mangiano come te, non pensano come te, non si comportano come te, non hanno lo stesso senso dell'umorismo, non hanno lo stesso standard emotivo nel giudicare i fatti, non hanno nemmeno i tuoi stessi gusti. E ti dici ma sono io fuori dalla gabbia o sono loro? Se pensi di essere tu allora ti sforzi di diventare italiano, altrimenti li mandi tutti a cagare e pensi che potendo tornare indietro e avendone la possibilità, scapperesti da qui, andresti dove parlano inglese per scrivere cose che arricchiscono o che almeno non ti abbruttiscono e impoveriscono, dove non hai sempre l'impressione che ti stiano raccontando un sacco di balle e la vita è svalutata a subire l'intrattenimento, a non disturbare e adeguarti. Comunque l'articolo parla della codardia del piacere e invita alla scoperta di ciò che urta. L'unico italiano che ne parla in rete dice cose così stupide (dice che l'unica parte che val la pena è quella ecologica, ovvero l'unica che può avere valenza politica, può essere sfruttata per fare propaganda politica. Assurdo, ogni cosa in questo fottuto paese dev'essere buttata in politica) che mi sono depresso ancora di più al pensiero che è italiano come me. Il punto centrale dell'articolo è un altro, ben più importante dell'impegno per la salvaguardia dell'ambiente, e riguarda la differenza fra il narcisismo implicito nell'edonismo consumista e invece il sacrificio stoico dell'amore. Per cui quello che ho detto sopra non conta niente, non conta avere internet o meno, non conta sapere l'inglese, non conta essere un popolo o un insieme di individui eterogenei, se non possiedi gli strumenti per capire, se non percepisci la potenziale ricchezza per la tua vita che può derivare dalla cultura (la cultura vera, non la liturgia accademica, non il nozionismo scolastico, non l'eredità ideologica), allora è tutto inutile. Forse è meglio vincere alla lotteria, forse è meglio essere stupidi, restare ignoranti, vivere cantando e ballando, in fondo c'è il cartello di avvertenza sulla cultura e ce l'ha messo un tizio morto millenni fa, Quelet, che disse il sapere aumenta il dolore, che disse tutto è vanità. Quanto si può soffrire prima di arrendersi e appendere la vita al chiodo? Ha senso questa sofferenza o non ci sarà premio né riconoscenza ma, anzi, solo compatimento e sberleffo per averci creduto? Verrà mantenuta la promessa della montagna, vi sarà consolazione per gli afflitti? Come può qualcuno anche solo pensare di avere scelta quando si tratta di affidarsi, che alternative ci sono a parte la finzione che ci viene offerta da una bestialità volontaria, da una scelta fasulla di incoscienza? Morire, dormire, forse sognare? Non c'è altro e bisogna accontentarsi, arrabattarsi, trovare un buco libero in cui strisciare?

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