giovedì 10 febbraio 2011

Erediteranno la terra.

Forse è solo una mia impressione, ma sono convinto che si sia perduta l'arte dell'intavolare una discussione. Mi riferisco a una discussione serena, articolata, nella quale gli artefizi retorici siano apprezzabili per la verve tipica degli eventi sporadici, senza che gli stratagemmi offerti dalla logica diventino l'ossatura che supplisce un'evidente mancanza di contenuti. Mi sembra di ricordare che una volta, nei tempi favolosi che accomunano gli anziani di ogni epoca, gli avversari politici mettessero sul banco ognuno la propria lista di argomentazioni, per poi discuterle riconoscendo apertamente torti e ragioni. Non esisteva la ragione a prescindere né la ragione assoluta. Non si partiva dell'ipotesi che uno dei due avesse ragione e l'altro avesse torto. Potevano benissimo avere ragione entrambi, torto entrambi, ecco perché alla fine si andava a chiedere il voto alla gente: non c'era una soluzione già individuata migliore dell'altra. Vanno bene entrambe le ipotesi, decidete voi quale preferite.

Adesso no. Adesso ti dicono io ho ragione e se dai il voto a lui finiremo nei guai, anzi, ci siamo già ed è tutta colpa sua, del mio avversario politico. Non si entra più nel merito delle questioni, spiegare ti impedisce di essere capito da tutti perché capire le cose è difficile, viene esclusa tutta quella fetta di elettori che non hanno gli strumenti intellettivi o culturali per comprendere a fondo le problematiche. Allora dici ti devi fidare di me, io sono il buono e lui è il cattivo, io ti faccio diventare ricco, lui povero, io ti rendo più libero, lui schiavo. Non interessa nemmeno più trovare un argomento di discussione, di qualunque cosa si parli il risultato è il medesimo: l'avversario viene squalificato in partenza. Lui è ladro, lui fa promesse che non mantiene, lui demolisce il paese, lui mente, lui non si rende nemmeno conto dei danni che provocherà al paese se vincerà le elezioni.

Se ti rifiuti di accettare la logica della sopraffazione morale, dell'espulsione preventiva, e ti metti a insistere per entrare nel dettaglio, passi per quello che vuole intorbidire le acque, che vuole creare confusione, che te la racconta come un piazzista che cerca di truffarti. Se prima ancora di cominciare metti come regola che tutto quello che dirà il tuo avversario saranno menzogne e furberie, parole difficili per ingannarti, ecco che esce delegittimato non solo l'avversario, ma l'intero processo democratico su cui si deve reggere il confronto politico. Mi ricordo, sempre ai bei tempi di cui sopra, quelli che i vecchi non sanno dire d averli o meno sognati, che perfino il più estremista veniva rispettato, sentivo dire cose spaventose senza che il portatore sano di follia ideologica venisse non dico insultato, azzittito, ma nemmeno pacatamente deriso dall'interlocutore. C'era rispetto in abbondanza, e a chi allora sembrava troppo adesso ne rimpiange l'eccesso.

Chi si ostina a rinchiudere una discussione entro i confini di uno scambio di opinioni razionale e civile non viene percepito come un cavaliere del buon senso ma come un pugile messo all'angolo, costretto a difendersi perché non ha più la forza di attaccare. Il teorema è che se non ti imponi, se non sostieni gridando le tue ragioni, allora sei un pavido, un perdente, hai paura di qualcosa, dubiti delle tue ragioni. Per questo quando te lo chiedono tu devi affermare con la massima convinzione che vincerai le elezioni, che solo uno stupido non sarebbe d'accordo con te, che è evidente il torto dell'avversario, anzi, del nemico. La strategia vincente non consiste nella ricerca di soluzioni, nella capacità di presentare proposte efficaci ed efficienti, no, a quanto pare l'elettorato è troppo stupido, non premia più l'intelligenza, non è più in grado di ascoltare i sussurri della mente con le orecchie piene del grido del cuore.

Si vota la squadra del cuore, si fa il tifo per i politici che giocano per la nostra squadra del cuore. Anche se non dicono cose intelligenti, l'importante è che sappiano far chiudere la bocca all'avversario, anzi, al nemico, lo riducano al silenzio a forza di insulti o, e qui si rivelano i politici più bravi, dicendo che il popolo è intelligente e capisce per chi deve votare, è così intelligente da fidarsi di noi alla cieca, tutto pur di non far andare al potere quello là, l'avversario, anzi, il nemico. È un cortocircuito, un paradosso da cui non riusciamo a venire fuori. I politici sono degli stupidi buffoni perché un popolo di stupidi buffoni manda al potere i propri simili? Oppure la classe politica, o dirigente se vogliamo ampliare la critica, non rappresenta più la base elettorale? Si è rotto oppure no il legame di effettiva rappresentanza fra eletto ed elettorato? Il problema è solo nel meccanismo di selezione, e quale, quello legittimato dal basso o quello imposto dall'alto, nessuno dei due prettamente meritocratico? Anche pensare che nessuno ce l'abbia con te è una forma di paranoia.


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