lunedì 18 ottobre 2010

Pubblicità comparata.

Se qualcuno che conosciamo ci chiedesse di posare nudi quanto chiederemmo? Ipotizziamo un parente, un compagno di scuola, un collega di lavoro. Ammesso che non trovassimo la richiesta immorale e fortemente censurabile, quando non perseguibile penalmente, quanto chiederemmo, 100 euro? Se la tua immagine priva di vestiti o ritratta in situazioni imbarazzanti viene proposta alla visione di 1 milione di persone, fatti due conti devi essere pagato 100 milioni di euro. Non credo che modelli e modelle guadagnino così tanto. La pubblicità è considerata quale un'opera di finzione, alla stregua di un film o un romanzo. Vendere qualcosa di se stessi, che quasi certamente mai si cederebbe per denaro in casi isolati nella vita reale, viene equiparato alla partecipazione a un evento artistico. La pubblicità come arte? Davvero? I produttori di merce sono i moderni mecenati? È come se Michelangelo avesse messo in mano alla Vergine della Pietà un barattolo di frutta sciroppata che si illumina a intermittenza. Recitare l'Amleto e sorridere con in mano una brioscina è sostanzialmente la stessa cosa? Non mi si nomini Andy Warhol per favore, non c'entra.

Ci stupiamo di fronte a notizie che parlano di bambini che devono lavorare, che sia curare la mandria, mungere le capre, scavare in miniera, cucire vestiti. Non ci stupiamo però di vederli recitare nelle pubblicità. Nei film e in teatro sono necessari alla rappresentazione di una storia, sappiamo di tempi in cui solo gli uomini recitavano e facevano anche la parte delle donne, ma la parte di un bambino chi la può fare se non un bambino. Non ce lo vedo un vecchietto nella culla del presepio vivente, neanche se lo Warhol della situazione gli fa mettere la cuffietta in testa e il ciuccio in bocca. Sto per dire una cosa scioccante: nell'occidente sviluppato e moderno e progredito facciamo lavorare i bambini! Perché non è sfruttamento del lavoro minorile un bambino che fa pubblicità? Si possono avere dei dubbi quando li si fa cantare e ballare in tv come le scimmie ammaestrate del circo (che non ci sono più, siamo molto sensibili sul maltrattamento degli animali), ma nessuno può affermare con la speranza di trovare consenso che i bambini usati nelle pubblicità non stiano lavorando.

Si può invitare all'acquisto di un giocattolo senza bisogno di far vedere bambini che lo utilizzano. E non voglio spingermi a parlare di pubblicità che utilizzano bambini per vedere prodotti che con i bambini non hanno niente a che fare! Tipo le assicurazioni, le automobili, i computer, e mille altri esempi potrei elencare. Nessuno si è mai chiesto che tipo di messaggio riceve un bambino che vede altri bambini nelle pubblicità? Che modello educativo contraddittorio è quello che da una parte invita alla serietà, ai famigerati valori, e dall'altra propone esempi che vanno in tutt'altra direzione. Mi ricordo discussioni e polemiche sui cartoni animati, sui videogiochi, su giocattoli politicamente scorretti come fucili a molla e bambole di colore vendute a prezzo inferiore rispetto a bambole wasp. Un esercito di specialisti si occupa tutti i giorni di proteggere la delicata mente dei bambini con argomentazioni a volte al limite del razionale. Eppure non mi viene in mente neanche un articoletto streminzito che analizzi lo sfruttamento dei bambini nella pubblicità.

A dire il vero alcuni specialisti mettono in guardia dall'esporre i bambini al pericolo della tv, come se fosse possibile quando poi vanno a scuola e non sanno di cosa stiano parlando tutti i loro amici quando nominano giocattoli e cartoni animati. Nessuno però suggerisce di eliminare il pericolo alla fonte, impedendo l'utilizzo dei bambini per scopi pubblicitari. Questo dovrebbe far riflettere: o davvero non viene considerato un problema o invece il potere della pubblicità è così grande da silenziare ogni voce scomoda. E i genitori? Mi chiedo se spingano i loro figli a vincere provini, se pensano sia un trampolino per mettere piede fin da subito in un ambiente danaroso che il più delle volte non richiede merito né lunghi percorsi di studio ma solo accettazione e professione di fede, come una religione, come una tribù. Più ci penso e meno riesco a capire perché è considerato normale non solo bombardare i bambini di pubblicità, ma usarli anche come arma psicologica per colpire i coetanei. Se venire pagati per fare qualcosa è un lavoro, allora i bambini lavorano anche qua, è non so se è meglio per un bambino imparare a mungere una capra o finire nel mondo dello spettacolo.

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