martedì 10 gennaio 2012

con un poco di zucchero la pillola va giù

Prendiamo il concetto di lavoro, e quindi di tempo libero, di salute, e quindi di benessere. Ora descriverò come la cultura odierna interpreta, o meglio impone all'uomo intellettualmente passivo, l'unità di misura delle masse, l'uomo che se il suo cervello avesse le mani non saprebbe nemmeno allacciarsi le scarpe, l'uomo che al massimo ri-produce il pensiero altrui mediante citazioni, analisi comparate, approfondite critiche, ma di suo non incrementa il patrimonio culturale in senso qualitativo, può solo aumentare la quantità di materiale fino a soffocare e schiacciare qualsiasi tentativo di comprensione al di fuori di un circuito ieratico, da casta mandarina, dove perfino il linguaggio non è più immediatamente accessibile e fruibile da un postulante cadetto apprendista. La cultura anch'essa come prodotto, come avviamento aziendale protetto da accordi di riservatezza, segreto industriale, know-how e capitale immateriale che si ammortizza vendendo nozioni a clienti bisognosi di un certificato per accedere ai club esclusivi delle professioni. Anche la cultura ha subito lo stesso processo che la cultura stessa ha riservato all'oggetto del suo agire, alla ragione della propria esistenza: al sapere. Il sapere esce dal trattamento materialista come merce, è la notte delle vacche nere, dove tutto è merce, tutto è concreto o non è, ha significato solo in quanto siamo noi a dargliene uno e tutto morirà con noi e niente esiste al di fuori di noi. Ma scendiamo di un gradino, parliamo di concetti più semplici: lavoro, salute, anche il singolo che viene condotto al guinzaglio dai padroni del vapore culturale e intellettuale, l'atomo sociale imbevuto di propaganda che è viene chiamato a fornire la risposta predigerita a domande retoriche di contenuto morale.

Lasciamo perdere la cultura, che è noiosa per definizione, e facciamo due chiacchiere sul lavoro. Oggi cos'è il lavoro? Oggi è uno stile di vita e una garanzia di reddito. Addirittura noi ce l'abbiamo nella costituzione, il lavoro, altri ci hanno messo la felicità, la giustizia, l'amore, noi ci abbiamo messo il lavoro. La nostra economia consiste nel dare soldi ai poveri affinché svuotino i magazzini delle fabbriche permettendo che i loro soldi vengano usato per pagare gli operai. Non produciamo merce, come altri paesi, no, da paese socialista che si rispetti noi produciamo lavoro. Gli altri producono elettronica, chimica, siderurgia, noi no, noi ci proponiamo sul mercato mondiale come consumatori, diciamo ai nostri amici produttori di merci che loro senza di noi vanno in recessione, che hanno bisogno di qualcuno che compri e che consumi, e che devono finanziarci. È così che ci si trova un debito pubblico enorme, finanziando a debito il benessere e scaricandolo sulle generazioni future, mal che vada, perché a un certo punto magari dichiari fallimento, consolidi, inflazioni, svaluti, insomma chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto. Potrei spiegarvelo in modo incomprensibile, usando paroloni, ma ho lasciato a casa il mio costume da mandarino alla corte dell'imperatore. Ma torniamo al lavoro, stavamo parlando del lavoro, oggi il lavoro non è l'unico modo, faticoso porco e ingrato, di procurarsi da vivere, oggi il lavoro è una componente dell'equazione benessere sociale nell'ambito di una politica totalitaria e assolutista nata dalla decomposizione del romanticismo in materialismo e dalla scoperta del petrolio. È semplice, lo può capire anche l'uomo che non ha mai aperto un libro se glielo spieghi con parole semplici e facendo esempio concreti, solo che se glielo spieghi poi come fai a guidare una società che non fissa il telescermo, non guarda unicamente nella direzione in cui punti il dito? Tu, uomo che ti credi al culmine di una parabola evolutiva, devi continuare a sognare e obbedire, non devi sapere, non devi capire, non devi nemmeno pensare, devi solo lavorare e comprare, e nel tempo libero devi fare figli.

Infatti limitiamoci a parlare del lavoro, ma anche della salute. Oggi la salute è un dovere, i medicinali sono strumenti che danno accesso alla bellezza, intesa come status symbol. Se sei bello allora sei sano, se sei brutto o vecchio allora sei malato, contaminato, marchiato dalle cicatrici del vaiolo, sei butterato come un delinquente un malvivente un avanzo di galera, non hai più diritto di lavorare e, lo sanno tutti, quando smetti di lavorare muori, vuoi forse morire? Sei depresso, mentalmente disturbato, hai tensioni suicide? Se sei bello allora sei anche sano, sei equilibrato, sensibile e intelligente, mente sana in corpo sano, sei onesto e affidabile, sei 'buono', la qualifica morale che si misura da una parte in termini di successo professionale – sei persona che fa un lavoro prestigioso, persona che viene ricompensata dal mondo con grosse somme di denaro per bilanciare i suoi sforzi altruistici - dall'altra parte in termini di estetica – sei persona elegante pettinata profumata bella pelle aspetto giovanile muscoli tonici, sei persona che viene premiata dal mondo come frutto dell'incesto meccanico fra natura e scienza, con l'eterna giovinezza il buonumore la saggezza divenuta realtà nell'incarnato tinta delicata. Abbiamo dunque lavori dai connotati esoterici (con linguaggi dedicati e vocabolari iniziatici), lavori che identificano il senso della vita con il proprio ruolo all'interno di una ragnatela relazionale fatta di riti e apparenze, abbiamo ospedali-spa, farmacie-profumerie, la malattia che diventa esperimento di estetica del raccapriccio e salute che diventa esercizio di accanimento salutista. Tutto questo è esplicita rappresentazione del dominio culturale del fine a se stesso, e qui si entra nel filosofico, l'impossibile autosufficienza di un umanesimo privo di un aggancio nell'assoluto, non necessariamente ontologico, qui si declina vistosamente l'ideologia del relativismo nella concezione del lavoro e della salute dei nostri giorni, ma è un cancro culturale con metastasi diffuse nei concetti più disparati, prendiamo se volete anche gli opposti di lavoro e salute, prendiamo tempo libero e benessere (benessere come mancanza della necessità di un prodotto salutare).

Il tempo libero oggi è noia, è spreco di vita, è spreco di denaro come mancata occasione di acquisto e consumo. Oggi il valore della vita è dato dalla capacità di spesa e vince chi allontana nel tempo la morte di più perché così facendo avrà avuto più tempo per accrescere il reddito e i consumi, migliorando la qualità della sua vita, accrescendo il proprio benessere, massimizzando la propria soddisfazione. Quando dal sociale si scende all'individuale, con il destino della masse che si dispiega insieme al divino nella Storia, da Hegel a Marx, e diventa malessere esistenziale in forzature razionali pragmatiche e disumanizzanti, ci accorgiamo che qualcosa non funziona, l'uomo decerebrato intuisce che l'origine di una sensazione di profondo disagio viene da fuori di sé ma cambia idea quando la grande voce tonante del grande fratello mediatico gli assicura che è lui, è colpa del suo peccato originale capitalista, legato all'egoismo, al mettere le proprie esigenze davanti a quelle altrui, è lui a essere disfunzionale, bipolare, antisociale. Non c'è bisogno di sottolineare quanto sia religiosa la pretesa del materialismo di essere orgogliosamente ateo. Assistiamo alla sistematica confusione del paradossale in un sistema che premia l'assolutismo totalitario fingendo di essere la risposta razionale alla fragilità dell'individuo, proprio come una chiesa confessionale, dove la comunità accoglie in seno con amore l'eretico che sia disposto a pentirsi a diventare un fervente adoratore, un martire volontario, trovando finalmente un senso alla propria individualità problematica annullandola nel sociale protettivo di un amore severo post-genitoriale per adulti rimasti orfani. La differenza con una chiesa è che lo Stato (o un'organizzazione criminale ben organizzata) ha la forza fisica di imporre le proprie leggi, farle rispettare, portarti via i tuoi averi e sbatterti a marcire in prigione (o farti frequentare per decenni i tribunali per difenderti, perché altrove si deve dimostrare la colpevolezza, da noi si deve provare l'innocenza, da noi finisci in carcere, ci stai dei mesi senza essere stato processato, e poi si vedrà, con calma). Non sto dicendo che l'anarchia (già me li vedo i trinariciuti sbomballare di far west e liberismo) sia preferibile, lo specifico per prevenire i soliti benaltristi e gli specialisti di trucchi retorici sempre in agguato.

Ma dicevo il tempo libero, oggi bisogna riempirlo. I calvinisti e gli stakanovisti a braccetto, la caccia al debosciato, all'approfittatore, al magnapane a tradimento, e i mandarini della cultura, che se il loro cervello avesse i piedi li userebbe per inciamparci, non ti dicono niente, non ti spiegano niente, a te uomo formica in balia degli eventi, a te che annaspi alla ricerca di una spiegazione a misura della tue limitate capacità mentali, non ti fanno dare un'occhiata la manuale delle istruzioni. Andiamo avanti a chiacchierare, parliamo del ruolo dell'intrattenimento come prodotto di consumo misurato in termini di controvalore temporale, nel senso che ogni attività richiede tempo e il valore del tempo aumenta man mano che lo si cede come moneta invisibile. Il tuo tempo libero è vuoto se non ti intrettieni, e il vuoto significa cadere nel vuoto, significa il nulla, la morte, tu se hai del tempo libero e non lo sfrutti vuol dire che hai del tempo morto e il tempo morto uccide anche te. Il tempo libero deve essere vivo, non devi sprecarlo, devi investirlo in attività ludiche e alienanti, in questo risiede la denuncia di nichilismo e cultura di morte ripetuta molte volte da una minoranza di esponenti di religioni non (più) statualizzate, una cultura figlia menomata del romanticismo in cui viene sublimato il tabù della morte reale, concreta, pur incevandone il consumo in dosi industriali sotto forma di cronaca o fiction. È uno dei molti controsensi di cui ti ho già detto poco fa, uomo qualunque, paradossi sviluppati dall'evoluzione di una modalità superficiale di esercitare il pieno dominio di una comprensione, pur necessariamente limitata, della realtà. È la visione di una barbarie culturale sostenuta dalla tecnologia petrolifera, materialmente prolifica di merci ma intellettualmente sterile. È la modalità estintiva del piacere epicureo che si trasforma in edonismo onanistico, del sacrificio stoico che diventa spettacolarizzazione dell'altruismo, una imposizione egalitaria che sacrifica la libertà individuale in nome di una libertà collettiva di là da venire, che tarda per via di attriti conservatori e controrivoluzionari, una dispersione altruista di risorse sottilmente diverso dall'egoismo utilitarista quando si rivela intrinsecamente costruttivo e accumulante. Caro uomo consumatore lavoratore che non capisci neanche lontanamente di cosa sto parlando, io sono contento per te, ti voglio bene, beati i semplici, vorrei essere nei tuoi panni, la conoscenza aumenta il dolore, la scuola non dovrebbe essere obbligatoria, dovremmo viver come bruti, ho questo dubbio a volte che saremmo molto più felici se vivessimo nel medioevo, nell'età del bronzo, nella preistoria.

Mi sono distratto, dicevamo del lavoro, della salute, del tempo libero, del benessere, è proprio la ricerca spasmodica di un benessere fatto di oggetti inutili, di fatto, che non aumentano il benessere spirituale, non ti fanno sentire meglio, non ti rendono felice, anzi, ti senti male all'idea che devi lavorare per pagarli, per comprarne di nuovi, che ormai non puoi farne a meno, ti servono per lavorare, per vivere, sono il tuo polmone d'acciaio. Il benessere non è più inteso come libertà dal dovere ma come diritto al lusso, tutti hanno diritto a tutto, nessuno vuole doveri quando può avere diritti, e il tempo che una volta veniva dedicato all'approfondimento, al pensiero, al sentimento, oggi viene dedicato alla cura del corpo, alla messa a punto dello strumento di lavoro per eccellenza, il proprio corpo, da utilizzarsi per avere successo, vale a dire un lavoro giocoso che frutta fama ammirazione, in una parola audience, e soldi a palate dagli sponsor pubblicitari da spendere in benessere fisico. Questo è il libro che ci leggono i mandarini prima di metterci a letto, queste sono le favole che fanno di noi cavalieri e principesse, con animali parlanti e cattivi destinati a perdere. L'attività di arricchimento interiore fatto con le proprie mani, senza lasciarsi imbottire passivamente dalla merce dei mandarini, viene oggi percepito come spreco di energie. Il tempo che una volta veniva giudicato immorale ogni volta che serviva a divertire - che viene da diversivo, da distrazione, distogliere l'attenzione, disinteressarsene, non porsi domande, ignorare apposta, fregarsene - oggi viene esaltato come forma d'arte esistenziale, e lo slogan dei mandarini è: lasciaci lavorare, non ti preoccupare, ce ne occupiamo noi, tu pensa solo a divertirti.


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