lunedì 28 marzo 2011

Diritto d'autore.

Ci sono persone che producono sequenze di dati e le registrano, nello specifico suoni, immagini, lettere e numeri. A volte si tratta di sequenze che non si possono ricondurre a sequenze preesistenti ma il più delle volte risultano solo parzialmente innovative. Il business legato al diritto d'autore è immenso. In passato, quando il diritto d'autore era applicato a oggetti non duplicabili, si poteva assimilare al diritto di proprietà: se vuoi ascoltarmi suonare devi pagare il biglietto, se vuoi guardare il mio quadro lo devi comprare e appenderlo in salotto. Oggi è sufficiente eseguire una volta, registrare e vendere copie e copie di copie. La scrittura provocò la morte del diritto di venire pagati per recitare a voce contenuti mandati a memoria, certo che non è mai esistita, per ovvi motivi, ma possiamo immaginare la professione di memoria vivente in epoche antiche, è un'ipotesi di tradizione orale del tutto razionale.

Il diritto d'autore ha vissuto un periodo di grande potenza nella parentesi storica che si apre con la nascita di possibilità duplicative materiali, stampa, fotografia, fonografia, e che si sta chiudendo adesso con la trasformazione di qualsiasi copia in sequenza di bit. Il computer è il culmine di quel processo che ha reso sempre più economica e accessibile la duplicazione. Oggi chiunque può creare e distribuire contenuti che rientrano nella casistica protetta dal diritto d'autore. In teoria l'intero contenuto di internet è, in quanto materialmente prodotto da singoli individui, un immenso agglomerato di materiale coperto da diritto d'autore anche se ceduto a titolo gratuito. Anche questo post che sto scrivendo è protetto dal diritto d'autore: l'ho scritto io, nessuno può rubarmi la paternità dei miei scritti o il diritto di farne adesso e in futuro ciò che voglio senza commettere reato. Eppure non si deve pagare per leggerlo.

Non pagare per leggere, ascoltare, guardare è l'incubo dell'industria che campa sul diritto d'autore. Giornali e televisione compresi. Le strategie adottate per allontanare la chiusura della parentesi succitata sono state il porre lucchetti alle singole copie e il creare sottoreti. Porre lucchetti è stupido. Esistono programmi che registrano quello che appare sullo schermo, non puoi impedire che il tuo film venga visualizzato su uno schermo a meno che tu non sappia come proiettarlo direttamente nel cervello del cliente o tu riesca a convincere tutti quanti che si devono usare degli speciali occhialini 3D. Esistono programmi che registrano i suoni che vengono riprodotti da cuffie o altoparlanti, non puoi impedire che la tua musica venga fuori da qualche parte come onda sonora e viaggi nell'aria per entrare nelle orecchie. Esistono programmi che riconoscono i caratteri a video e salvano in formato testo, non puoi far leggere qualcosa a qualcuno senza permettergli di vedere le lettere che hai usato. Per quanta protezione tu inserisca nei supporti, è impossibile evitarne la duplicazione senza impedirne la fruizione.

Ora siamo passati alla creazione di sottoreti. Internet viene usata come area pubblica nella quale creare isole, zone recintate, bunker dove è richiesta l'identificazione per accedere. Non una dichiarazione autografa, ma un vero e proprio documento certificato: numero di cellulare, carta di credito. Oppure una vera e propria chiave d'accesso solida, hardware, sotto forma di telefono, tablet, console di gioco, strumento di comunicazione che è l'unico modo di accedere alle aree che altrimenti rimangono off-limits. Come si costringe la gente a ritenere preferibile una gabbia alla libertà? Col marketing. Dici che internet libera e i computer normali è roba difficile, pericolosa, da stupidi e sfigati. Dici che questa stanza asfittica e opprimente è facile, è cool, è il futuro, è per persone intelligenti, curiose, simpatiche, vincenti. Costruisci un dispositivo che ha un bottone solo, utilizzabile anche da una scimmia, e il gioco è fatto.

Ma lasciamo perdere chi lavora per tenere aperta la parentesi e concentriamoci sul dopo, sul domani. Voglio fare un paio di esempi, uno sui contenuti, l'altro sulla forma. Per quanto riguarda i contenuti prendiamo la matematica, o anche la fisica o altra materia che preferite, perché ogni anno gli alunni devono comprare libri di matematica per andare a scuola? Esiste qualcuno che sfrutta diritti d'autore per aver ricopiato nel suo libro una formula che esiste invariata da secoli? La divina commedia, perché uno deve spendere soldi per comprare la divina commedia se la trova gratis in rete? L'editoria è un mercato, si vendono libri di barzellette di calciatori, ricette di presentatori televisivi, opinioni di giornalisti, sono paragonabili a grandi opere di letteratura? Non è quindi facile stabilire quale contenuto meriti la tutela del diritto d'autore e cosa no. Proprio ieri ho visto pubblicato un libro fatto interamente di domande, domande qualunque, molte prive di senso, come si può ancora parlare seriamente di diritto d'autore? Uno dei libri più venduto su amazon è un libro di pagine bianche che ha la parola 'sesso' nel titolo.

Anche l'esempio sulla forma è interessante. Prendiamo un libro composto di x frasi. Riportare una frase da un libro citandone la fonte infrange il diritto d'autore? Se sì allora al posto della frase si prendano le singole parole una per volta, se è ancora sì si pensi alle lettere dell'alfabeto. Se n*x individui citano su internet una delle x frasi, in modo che si possa ricostruire facilmente l'intero libro, in pratica l'intero libro è disponibile a chiunque possieda la sequenza ordinale delle citazioni. Pubblicare la sequenza ordinale, nell'esempio l'elenco degli indirizzi web che portano alle pagine che contengono i frammenti, che permette di ricostruire il libro equivale a pubblicare il libro violando il diritto d'autore? In fondo i libri, le musiche, i film, si tratta comunque di sequenze ordinate di atomi liberamente disponibili: lettere, numeri, note, fotogrammi, l'equivalente umano degli zero e uno che sono alla base del mondo binario.

Poi ci sono le traduzioni, se un libro antico è libero da diritti c'è sempre il costo della traduzione, della carta, il margine di profitto di magazzinieri e commercianti e spese di rappresentanza, di viaggio, spese di cancelleria, interessi sul leasing acceso per l'acquisto della vettura aziendale. L'oggetto che c'è sotto, il prodotto fisico necessario alla costruzione del palazzo dei costi che vanno a finire in capo al cliente finale, in questo caso il libro, che di fisico ha il supporto materiale, che sia carta o chiavetta usb o spazio su un server chissà dove che lo rende disponibile nella nuvola, il libro come prodotto commerciale c'è chi lo vuole spacciare per cultura in sé. C'è chi sostiene che siccome tutto ciò che riguarda musei, teatri, musica, libri, è cultura. Anche la rivista di moda piena di pubblicità o l'elenco del telefono, se li inscatoli nella forma-libro diventano cultura. E questo dipende un po' dal fatto che oggi si fa cultura per apparire, per emergere, per ottenere spazio mediatico, rubare fama, venire pubblicizzati e ottenuta la notorietà a propria volta sfruttare economicamente il potere di pubblicizzare. Non si mira a fornire aiuto ai posteri, a dire qualcosa che potrebbe essere utile ai posteri, no, si mira a venire ammirati dai presenti, applauditi, invidiati, osannati, idolatrati dal pubblico dei contemporanei. Ma questo non c'entra col diritto d'autore, sono considerazioni adatte a sviluppare un tema diverso.

Nessun commento:

Posta un commento