mercoledì 2 novembre 2011

Lo zen e l'arte di sbattersene

L'artista non lavora. Le cento semplici regole per diventare un artista sono uno stratagemma per vendervi un libro. Chi ha capito che c'è un sacco di gente che vorrebbe diventare un artista ha convenienza a sostenere la grande bugia universale del tutto è possibile, basta volerlo, basta applicarsi. Il trucco del motivare la gente è vecchio come il mondo: schiavi obbedite e siate onorati di trascinare macigni per la gloria del tempio di Ra. Verrete ricompensati. In questa vita o nella prossima, in questo mondo o nell'altro. Chiamano artisti i venditori di se stessi, i commercianti di oggetti numerati e articoli degni di un aristocratico. Diventa nobile comprando uno di questi, entra a far parte dell'élite sostenendo queste idee e i nostri progetti. L'arte di fabbricare orologi, di pronunciare un discorso, di presentare lo stacchetto delle ballerine. In questo periodo di demolizione pensavano di fare la rivoluzione e invece stavano solo demolendo. La famiglia, i valori, l'autorità, la giustizia, tutto quanto, per rimpiazzarli con traguardi asintotici e promesse irrealizzabili: tutti belli, tutti ricchi, tutti uguali. Uguali a che? Allo stampino platonico? La favola del progresso fa sempre più fatica a essere credibile, la propaganda si distingue sempre meno dalla pubblicità. Ma dire queste cose è lavorare, mentre l'artista non lavora.

L'etica del lavoro mortifica l'esigenza creativa. Il lavoro è l'orizzonte degli afflitti alla ricerca di gratificazione materiale e al contempo morale, l'artista si muove sul piano spirituale, al di sopra delle equazioni di cui si ciba la ragione. Il lavoro serve per essere riconosciuti dentro a un ruolo, per identificarsi con una carica, per godere il peso di responsabilità straordinarie. Il lavoro serve per vivere il mito dell'etica protestante, laddove è premiato lo sforzo e domina la meritocrazia, oppure per sopportare il mito dell'etica cattolica, laddove il lavoro è il modo per emendarsi in una perenne condizione di colpa che si rinnova. In ogni caso la povertà è vergogna, la disoccupazione infamia, il successo diventa l'espressione della benevolenza divina che nel protestante viene applaudita e nel cattolico viene rimproverata. In entrambi i casi il lavoro come dimostrazione di sanità fisica e mentale, dove chi non lavora è malato, è stupido, è malvagio, è criminale. Nel protestante chi non lavora viene punito, nel cattolico viene recuperato. Ai lavori forzati questi, nei campi di rieducazione quelli. La politica ai raggi x è religione, codificazione della morale in tavole della legge. L'artista si muove in una dimensione più complessa.

L'artista non lavora. Il lavoro serve per vivere, l'arte serve per morire. Si lavora per acquisire dei diritti che altrimenti non si possono avere. Questo significa che ci deve essere gente che non ha se non lavora perché se non serve lavorare per ottenere un diritto allora perché faticare, per altruismo? Per sport? Per senso del dovere? Si lavora per esercitare il possesso o la proprietà su qualcosa, esercitare il potere su qualcuno. Il protestante tende a non dare nulla a chi non se lo guadagna, il cattolico tende a dare tutto anche a chi non lavora. I due estremi li chiamano capitalismo e comunismo, la via di mezzo liberalismo e socialismo. L'artista non ha nulla a che fare con il lavoro. L'artista non crea le sue opere per ricavarci di che vivere, realizza una pulsione per affrontare la morte e con essa la vita come immagine speculare, da speculazione, riflessione, riflettere. Il lavoro prevede organizzazione, controllo, economie e diseconomie, ripetizione. Il lavoro è tutto ciò che un artista non deve fare. La crescita professionale passa da conoscenze, dalla raccomandazione del parente o del politico o del prete, tessere di partito, militanze, compromessi, è una faccenda politica come ho spiegato sopra.

Anche spiegare non è arte, è lavoro. L'artista non spiega, si guarda bene dallo spiegare, l'artista fa. Il lavoro, compreso spiegare, è inutile per finalità di lungo periodo, puoi spiegare forse qualcosa, forse a qualcuno, ma il mondo è troppo grosso da smuovere per un uomo solo, e l'artista è la quintessenza della solitudine, come chiunque si ponga di fronte all'oceano, all'orizzonte, all'infinito. L'artista si rivolge a pubblico ideale, fatto di tanti se stessi. L'artista non crea per avere un pubblico, crea nonostante il rischio di avere un pubblico. Se un artista pensasse a persone vere che lo leggono, ascoltano, guardano, capirebbe quanto la gente vera è distante dal suo pubblico ideale e non muoverebbe più un dito, a nessun prezzo. L'artista è un uccello in gabbia che viene nutrito dal mecenate, è l'uccello che non semina, non miete, non riempie i granai, un'esistenza che gioisce in totale abbandono e fiducia fino allo struggimento e all'afflizione. Chi lavora produce intrattenimento, non c'è nulla di mistico nel ciclo di produzione, commercio e consumo. Il popolare di oggi sarà l'esclusivo di domani, il progressista di oggi sarà il conservatore domani. La perdita di qualità si verifica quando il valore è decretato dall'indice di gradimento, quando l'arte è valutata in termini di tempo-lavoro. L'artista non lavora, il valore non è calcolato o ricavato da curve di preferenza in condizioni di ottimo paretiano. Non esiste pubblico ma discepoli. L'artista è un maestro suo malgrado per chi si sforza di ricreare il palcoscenico mentale sul quale si esibiscono le opere, e più è grande la maestria dell'artista più è difficile scalare la vetta che dà accesso al punto di vista privilegiato dell'autore.

L'artista sceglie di diventare quello che è già in potenza, risponde a una chiamata che gli impone una fatica cento volte superiore a quella di qualunque lavoro perché non deve essere fatto dalle mani dell'uomo ma per mezzo delle mani dell'uomo. Il lavoro viene prima, nell'esercizio, nella cultura, nell'applicazione, nei requisiti dell'arte, la dimestichezza con le regole e con gli strumenti. Tutto ciò che è mestiere. Il mestiere può essere lavoro manuale o intellettuale molto sofisticato, ma non può essere arte. L'arte è un gradino oltre, non dà a qualcuno quello che vuole, desidera, abbisogna. L'artista autentico dà e toglie certezze, nuove angolazioni, prospettive originali, crea necessità e domande e non sempre le soddisfa e risponde. E non gioca. Questa cosa che se non è lavoro è un gioco, che se non ti pagano è un hobby, ecco, basta, è questo il pubblico che l'artista deve ignorare per non deprimersi e suicidarsi, un corpo fatto di milioni di persone che dicono scempiaggini e non capiscono niente. Per riallacciarmi a quanto sopra, si capisce perché i grandi maestri sopravvivono dove ci sono mecenati e cattolici, e perché l'arte pop è sbocciata dove ci sono commercianti e protestanti.



Questa foto ha vinto il concorso CIWEM. Kathmandu, Nepal, questi due bambini vivono con la nonna accanto alla discarica. Ogni giorno cercano tra i rifiuti qualcosa che si possa rivendere per comprare del cibo. Se non trovano niente la nonna li sgrida. A volte non trovano niente di utile per giorni e al piccolino viene molta fame. Adesso venite a raccontarmi della morte di gente famosa idolatrata dai media che vale meno della spazzatura in cui rovistano ogni giorno a mani nude questi bambini e chiedetevi se esiste davvero un motivo per non morire così, tutti quanti, in massa, di colpo, su due piedi, senza finire di parlare o iniziare a pensare.

Il post finisce qua, il seguito è per chi ha l'impressione di non aver capito bene.

P.S.: la cruna dell'ago. Basta. Non è un ago da cucito. C'erano due porte, una per le carovane, una per la gente a piedi. L'ingresso per gente a piedi era una porticina troppo piccola per un cammello, specialmente se carico di merce, aveva un nome che è stato tradotto cruna dell'ago ma non è un ago. Per dire, il corpo fatto di milioni di persone di cui sopra, non lo sa, non sta bene dirlo perché sono potenziali clienti/amici/elettori, ma siccome l'artista non lavora e non vende, l'artista lo può dire che il pubblico è una massa di stupidi e ignoranti e che la cosa più zen da fare a riguardo del pubblico è sbattersene i c

A proposito di cammelli e ricchi. La ricchezza è creare un capitale da lasciare ai figli, che sia una mandria o un appartamento. L'illusione di ricchezza con cui vi fanno lavorare invece è una truffa perché non vi dicono che gran parte della vostra ricchezza svanisce col tempo. Vi ammazzate di fatica, arrivate a compiere azioni di cui vi pentite o vi dovreste pentire, al fine di mettere insieme una ricchezza che evapora. Se diventate ricchi siete costretti a spendere tutto in consumi, che sia l'ultimo cellulare o droga, una vacanza o ballerine, vestiti o gioco d'azzardo. Non vi danno modo di investire capitalizzando. Il capitalismo, liberista o socialista, come vi pare, non c'è più. Stanno bastonando un cavallo morto, ucciso dallo statalismo e dal socialismo. La ricchezza ve la mangiano con l'inflazione e la svalutazione, con le tasse sui beni reali che comunque necessitano di manutenzione. Anche se mettete assieme tanta ricchezza da far contenti gli eredi avrete comunque lavorato molto più del necessario: il valore di quanto avete strappato al mondo è una misera frazione dell'intero. Secoli fa avreste ottenuto lo stesso lavorando meno, siete schiavi della crescita forzata e lo chiamate progresso. Siete come i cammelli della parabola, sfruttati per un lavoro che non è necessario e carichi di roba che non vi serve, vi piacerebbe entrare dalla porta piccola ma non è solo il fatto che avete e/o volete trascinare/sfoggiare quintali di roba, è che siete stupidi come un animale, cammello o somaro o bue, scegliete voi quello che preferite. Dove va la ricchezza che lo Stato vi sottrae? Come spendono i vostri soldi i partiti? Per finanziare le vincite elettorali future? Fino a quando aumenta la popolazione, aumentano le fabbriche, cementifichi e asfalti tutto, apri supermercati e inventi nuove feste per scambiarsi regali, insomma ficchi carbone nella caldaia e la locomotiva tira anche se aggiungi vagoni, ma a un certo punto le leggi della meccanica, della termodinamica, la forza di gravità, insomma, a un certo punto ti ritrovi a bastonare un cavallo morto, il punto in cui siamo noi: troppa popolazione, troppo inquinamento, scarsità di risorse che diventano sempre più care, troppo consumo che son tutti obesi e impasticcati. Ecco, questo è lavorare, scrivere per un pubblico, l'artista invece è quello che scrive senza l'obiettivo che il pubblico capisca il lavoro che c'è dietro, e non vuole nemmeno pensare all'esistenza di un pubblico vero, là fuori, che si limita a un giudizio approssimativo perché è un corpo fatto di milioni di individui senza cervello che non possono, per fare un solo e chiaro esempio, pensare alla cruna dell'ago come a qualcosa di diverso che una cruna dell'ago in cui passa il filo da cucito.

L'approfondimento finisce qua, se qualcuno ha ancora l'impressione di non aver capito per favore non me lo dica, non lo voglio sapere, non voglio feedback, non ci sono schede da compilare per capire quanto è soddisfatto il cliente del servizio o per inoltrare delle lamentele, faccia finta che non esisto e vada a leggere un bestseller o a guardare un blockbuster.

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