martedì 25 ottobre 2011

Utilitarismo, individualismo e tecnocrazia.

I media, con la stupidità che li rende indistinguibili da chiunque prenda una notizia battuta da un'agenzia stampa e decida di commentarla o meno a seconda di quanto si presti a essere strumentalizzata a fini di propaganda. I media attribuiscono al Papa un comunicato del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, un 'organismo' costituito durante il Vaticano II che si propone di 'stimolare' i cattolici e promuovere sviluppo paesi poveri e pace nel mondo. Avrei preferito parlare, che ne so, della gente a cui piace vedere altra gente che rischia la vita come se sopravvivere equivalesse a sconfiggere la morte. Gente che tifa per chi vince e si unisce al coro delle prefiche di chi lascia le penne. Anche gli animali lo fanno, con l'unico obiettivo di riuscire a scopare o di mangiare il cadavere. E invece arriva questa nota che dice cose interessanti, le cose più rivoluzionarie alla fine arrivano sempre dai presunti custodi della tradizione. Adesso parlano, tra l'altro, di governo mondiale. Ne sentivo parlare negli anni '70, ero piccolo ma l'epopea del progresso contava una miriade di seguaci pronti a qualunque sacrificio pur di realizzare quella specie di razionalismo robotico da scientismo totalizzante. Un problema culturale ancora attuale, purtroppo, nonostante i vistosi fallimenti di tutte le strutture concettuali che tentano di prescindere dall'innata imperfezione umana, dalla tensione all'errore dell'essere umano. Pur di non abbandonare un progetto che richiede individuo disumanizzati e perfetti, cerca di aggiustare gli uomini, di eliminare i bug a costo di eliminare tutti gli individui non compatibili con il sistema. Di dittature che spediscono dissidenti e inadatti nei campi di rieducazione o di concentramento ce ne sono ancora in giro, e parecchie, nel mondo.

Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, non il Papa, ha pubblicato un nota, non un'enciclica, contenente una critica e una proposta. Parliamo prima della proposta: si tratta di incontro/confronto globale fra tutti i popoli e le nazioni finalizzato alla realizzazione di un'autorità mondiale incaricata di appianare i contrasti, organizzare la distribuzione delle risorse, smussare le differenze per annullare le divisioni. Un mondo pieno di gioia e armonia, una specie di paradiso in terra, ecco, non sto dicendo che è un piano utopistico perché quando parli con un prete il più delle volte è un invasato, un visionario, un soldato di Cristo. A certi livelli si presuppone che i preti abbiano esaurito la carica eversiva della fede che a loro piace considerare alla stregua di un sentimento altruista, un impulso succedaneo all'appagamento sessuale pregiudicato dal voto di castità. Invecchiando di solito vengono toccati dalla saggezza dell'esperienza come chiunque altro, tranne poche eccezioni che non stiamo a indagare. Ecco perché il Papa di solito è vecchio, intelligente e colto, e non giovane, battagliero e avventato. Bisogna dirle queste cose altrimenti la proposta del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace magari viene fraintesa. Nello specifico si propone, al fine di regolamentare l'economia globalizzata per impedire eccessi e distorsioni, l'istituzione di un governo mondiale con tanto di leggi mondiali, un'ONU con poteri esecutivi, la subordinazione degli stati nazionali a una autorità sopranazionale in grado di imporre la fiscalità con finalità solidaristiche fra paesi, di gestire la scarsità delle risorse per dividerle in modo equo, insomma il governo mondiale che c'era nei fumetti, dove il Presidente della Terra (che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ci veda bene il Papa?) telefonava alla sede della lega dei supereroi quando l'umanità chiedeva aiuto per fronteggiare una minaccia planetaria che stava per distruggere il mondo.

Non mi sto prendendo gioco del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Sono sicuro che sono a conoscenza del fenomeno del free raider, della teoria dei giochi, della neutralità del capitalismo come sistema di regole rispetto alle scelte di chi entro quelle regole si muove e prende decisioni. Non sono degli sprovveduti o degli stupidi, suppongo, al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sanno benissimo anche quante persone deve ospitare al massimo il pianeta per consentire a tutte una qualità di vita dignitosa, per via del nulla si crea dal nulla, della povertà relativa, dell'entropia che mai diminuisce, che una parte dell'energia viene consumata dal processo che serve per produrre energia. Sanno tutto, ci scommetto, eppure mi propongono un'autorità mondiale con tanto di superpoteri, del tipo questo mese carestia in Somalia ergo resto del mondo manda 10% riserve di cereali stop, seguono dettagli operativi stop. Oppure Cinesi siete in troppi non fate più figli per 40 anni o uccidete il 60% degli ultrasessantenni. Oppure inglesi tre volte più ricchi dei birmani prego versare differenza sul conto corrente numero. “Dalla Torre di Babele allo Spirito di Pentecoste”, hanno perfino inventato lo slogan, che io quelli del marketing li detesto, son delle serpi, ma in questo caso farò finta che sia una parola d'ordine da occupazione scolastica negli anni di piombo, qualche vecchio trombone che ha avuto un attacco di nostalgia dentro al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, da ora PCGP, che sembra la sigla di qualche partito rivoluzionario marxista sudamericano. Senti qua: “passare dallo spirito di Babele, dove regna la divisione o l’unità di facciata, allo Spirito di Pentecoste, che è il disegno di Dio per l’umanità, vale a dire l’unità nella diversità”, quando sento nominare Dio da qualcuno che mi dice di conoscere il disegno di Dio a me vengono i brividi e tendo a scappare, ma al PCGP non sono matti, al massimo dicono queste cose per accarezzare le menti semplici, come i politici che fanno i comizi davanti a gente che sventola bandiere, lo sanno che stanno dicendo delle gran cazzate ma alla gente piace venire rassicurata, esaltata, sostenere il condottiero (almeno fino a quando fallisce e allora lo fa a pezzi e ne cerca uno nuovo).

Per cui la proposta, ripeto per chi si è distratto, è questa: un'autorità pubblica mondiale. Lo scopo principale è di tipo pratico, il governo mondiale. Lo scopo secondario è annientare tre 'ideologie devastanti': utilitarismo, individualismo e tecnocrazia. Come può un'autorità pubblica mondiale distruggere queste tre 'ideologie devastanti'? Già definirle ideologie devastanti è sintomo di un disturbo mentale molto serio, ma facciamo finta tromboni utopia PCGP i vecchi telefilm di fantascienza, non ti sto dando ragione come si dà ragione ai matti. Queste ideologie come si esprimono? Indovinato? Esatto, nell'economia e nella finanza. È lì che volevano arrivare, quelli del PCGP, a consigliare una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali, tanto per cominciare. Una tassa sulla produzione di inquinamento. Questa autorità mondiale avrebbe molto a cuore il bene comune, è ovvio, come ho fatto a non arrivarci da solo?, e ci consentirebbe di 'recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica sull’economia e la finanza', viva la politica etica e spirituale, abbasso l'economia e la finanza utilitariste, individualiste e tecnocratiche. Guardate che questi del PCGP le stanno sparando grosse, non sto scherzando, questi sono professionisti del machiavellismo travestiti da preti, addirittura, per prevenire accusa di paternalismo, mettono le mani avanti a danno del paternalistiche alle politiche nazionali iperprotettive che impediscono ai mercati alti livelli di efficienza e di efficacia. Questi sono professionisti, ti ribaltano addosso l'accusa prima ancora che la pronunci. Peccato che qui si incartino correlando efficacia/efficienza dei mercati a una non meglio precisata etica, ovvero un insieme di regole convenzionali che non sono frutto di considerazioni razionali ma di concertazione maggioritaria o di imposizione autoritaria. Anche al PCGP parlano di economia senza averla studiata? No dai, non possono essere così ingenui da pensare di sparare cavolate e passarla liscia, forse spiegano i dettagli in un allegato di settemila pagine che mandano su richiesta dell'interessato.

Ma veniamo alle premesse, giuste, a sostegno della tesi, sbagliata. È retorica di primo livello, se le mosche hanno le ali come gli uccelli e entrambi volano, allora gli aerei dobbiamo costruirli con un numero di zampe che va da due a sei. Sembra logico, ma è una cazzata. Le tre 'ideologie devastanti': utilitarismo, individualismo e tecnocrazia sono espressione naturale delle pulsioni umane, non sono sovrastrutture delle quali possiamo e dobbiamo fare a meno per essere uomini più completi o puri o meritevoli. Nessuna autorità mondiale potrà mai 'superare' (la nota del PCGP è piena del verbo superare, forse si sentono alla guida di una formula uno) né quelle tre ne altre decine di caratteristiche della realtà che collidono con i progetti miranti alla perfezione (e qui sì che Babele ci sta). L'utilitarismo è una necessità del sistema prima che una consapevole applicazione umana nel senso previsto dal naturale evolversi della situazione. Puoi opporti a ciò che è oggettivamente utile al perseguimento dello scopo del mondo, di un governo, di un gruppo, di un individuo, ma non puoi opporti alle equazioni sottostanti. Se quando è nato Gesù si stimano 200milioni di persone in tutto il mondo e oggi siamo in 7 miliardi non possiamo far finta che non sia una variabile da tenere in considerazione nella formulazione di soluzioni tanto e più di valutazioni di ordine etico o di opportunismo. Un vincolo materiale non è indizio di materialismo. PCGP, mi spiego? L'individualismo è un'altra qualità imprescindibile dell'uomo. L'uomo nasce individuo, si rappresenta come tale di fronte a sé e di fronte a Dio, possiede coscienza solo del sé. Credersi in grado di comprendere e assorbire l'alterità è superbia (anche qui Babele ci sta), incaricarsi di agire anche per conto degli altri in nome dell'altruismo è inganno. Non esiste società se non di individui liberi e indipendenti, non esiste famiglia laddove i componenti sono considerati meccanismi che partecipano di un corpo istituzionale e non essenziali componenti di un corpo mistico. L'individualismo è applicazione del libero arbitrio e non deve essere sacrificato a esigenze di ordine superiore.

Ci rimane la tecnocrazia. È una delle tante teste del mostro che domina le nostre vite e modella l'ambiente in cui siamo prigionieri. Limitarsi alla tecnocrazia è come indicare nell'influenza stagionale la summa di tutte le malattie mentre è solo la più comune e visibile. È vero che non possiamo opporci alla scienza applicata che ci persuade col marketing, quando non ci obbliga per legge, a utilizzare marchingegni di cui potremmo fare a meno. Lo fa per il nostro benessere, la nostra comodità, la nostra sicurezza, la nostra salute. Siamo nelle mani della scienza e a lei ci rivolgiamo nella speranza che scopra il segreto della bellezza, della gioia e della vita eterna. I sacerdoti della scienza continuano a fare promesse e a nutrirci di sogni, la pillola dell'intelligenza, i viaggi nel tempo e nello spazio interstellare, la società matematicamente progettata per eliminare ogni differenza, robot che fanno tutto il lavoro, energia gratuita e abbondante, una vita facile tutta da godere mentre quel che si ottiene è stress, traffico, inquinamento, uniformi, meno tempo libero, meno libertà, condizionamenti, vergogna, droghe, pressioni, violenza, disperazione. Ma siccome il PCGP non può scagliarsi contro la scienza o gli dicono che è creazionista, reazionario, bigotto, antimodernista, allora il PCGP deve evitare scontri frontali e ricorrere a mezzucci come la tecnocrazia, abbassa il livello della discussione al moralismo assai noto agli ipocriti, quello che tiene separati pensare e agire in una prospettiva di accettazione e perdono, e il PCGP allora dice che “è necessario colmare il divario tra formazione etica e preparazione tecnica evidenziando la sinergia tra 'praxis' (agire morale) e 'poièsis' (agire tecnico e produttivo)”, una sintesi che ha troppo dell'Hegeliano (così si spiega tutto quell'uso che fa il PCGP del verbo superare?). Ancora Hegel, ancora percorsi storici finalizzati, millenarismo babelico da paradiso robotico dentro un romanzo di fantascienza, ancora il primato della politica da affiancare alla delusione della realpolitik, ancora il massimalismo, il determinismo, e tutta la pappardella già ingoiata e digerita negli ultimi secoli che ha ucciso milioni di persone con la scusa di andare oltre, di venirne fuori. Ma non dobbiamo prendercela con il PCGP, cosa dovrebbe dire di diverso? La Chiesa quando esercita potere temporale si occupa dell'umanità intera e non dei singoli uomini che la compongono, il potere spirituale è demandato a quegli stessi individui che non vengono presi in considerazione dal PCGP, si sa che nelle grandi visioni politiche le strategie si fanno militari e i singoli diventano pedine inutili e sacrificabili.

giovedì 20 ottobre 2011

Le cerchie e i gironi.

(disclaimer: scusate, un'altra cosa lunga, ormai l'ho scritta e la mando, così com'è, che ho smesso di rileggere e correggere quel che scrivo da decenni, si vede che è periodo di chiacchiere, va così, logorrea, poi magari sto zitti per giorni e giorni, parla degli indignati, credo, di economia, di Leon, dei socia network, del fatto che se ti butti affoghi anche tu, della stupidità, di Sturm und Drang, insomma la solita roba da vecchi brontoloni, se vuoi leggere allora leggi sennò non leggere, giovane ragazzo del futuro, ciao, fa' come ti pare)

Non ho più una vita sociale come l'avevo quando andavo al bar o al campetto dell'oratorio, ma ho delle persone classificate come amici su facebook, anche se non so chi siano. Con alcuni di loro si verifica uno scambio di opinioni da un paio di decenni, altri invece li ho incontrati da poco. Scriviamo delle cose dentro a facebook e poi ci chiediamo che figura ci faremmo nel caso dovessimo cliccare mi piace oppure addirittura commentare. Perché c'è la complicazione che poi altra gente ancora più sconosciuta si accorgerebbe della nostra esistenza, della nostra volontà di evidenziare un contatto mediante il click, e partirebbero i pettegolezzi 'ma chi è?', come se tu gli sei piombato in casa senza telefonare prima, che poi manco ti conosco ma chi ti ha invitato? Per cui i social network, per chi non lo sapesse, funzionano che se devi fare pubblicità a te stesso o a tuoi prodotti va bene, dici delle cose, cerchi di fare il simpatico, come quando facevi pirlate per metterti in mostra da bambino, però a un livello più equilibrato, socialmente accettabile. Altrimenti parli per anni e anni con gente che non sai nemmeno chi è e in fondo non te ne frega nemmeno di saperlo, così se si ammala o muore a te basta togliere dalla lista, dalla cerchia, non devi nemmeno sforzarti di provare dispiacere.

Ci sono le liste, le cerchie, per tenere lontano la gente senza che se accorga, come a scuola che ti voltavi e le ragazze stavano ridacchiavano fra di loro e tu fingevi di non pensare che stessero ridendo di te, facevi l'occhiolino, la linguaccia, e loro ti dicevano che scemo. Ecco, eri in una lista bloccata, eri in una cerchia di esclusi. Così puoi far vedere il tuo diario segreto sollo alle amiche del cuore, puoi nascondere a familiari e conviventi i tuoi piccoli traffici da testa bassa e mani in tasca. Per esempio io ho una manciata ridicola di amici e li ho comunque divisi in famiglia, scuola, mmorpg, conoscenti e bloccati. Non ho la lista amici veri e propri, non so perché ma li ho finiti, mi ostino a considerare di averne ancora due vivi dei quali potrei fidarmi a chiedergli di farmi un favore nel caso mi succeda qualcosa di improvviso, cose così, uno era in classe con me alle elementari, l'altro al liceo. Entrambi li sento più o meno una volta all'anno, per gli auguri via sms. Sono delle icone dell'amicizia, sono degli amuleti viventi. Per il resto parlo con gente morta, parole scritte da così tanto tempo che adesso è difficile capirle, ti sembra che nel passato la gente fosse molto stupida, è come prendere in mano un attrezzo sporco e arrugginito e chiedersi a cosa cazzo potesse mai servire una tale mostruosità tecnologica. Oppure parlo con gente che deve ancora nascere, cercando di spiegare loro che non devono pensare che la gente del mio tempo sia stupida perché anche loro nel futuro lo saranno, forse un po' meno, può darsi, ma forse un po' di più.

Nonostante l'idea che il livello di stupidità degli esseri umani, sia presi singolarmente sia come società sia come umanità nel suo complesso, sia più o meno costante nel tempo, ovvero parecchio alta, ben al di sopra della soglia di pericolo, come quando un malato inizia a far male a se stesso e agli altri ma non c'è il medico, l'ospedale, gli infermieri, ci sei solo tu che ti si rizzano i capelli in testa e non sai dove scappare, ecco, la sensazione in linea di massima è quella del panico controllato. Solo che a volte il controllo sei stanco e ti lasci andare e rischi contatti umani. Nel film 'The professional' Leon dice "Il fucile è la prima arma che si impara ad usare perché ti permette di mantenere una certa distanza dal cliente. Più ti avvicini a diventare professionista, più riesci ad avvicinarti al cliente. Il coltello per esempio, è l'ultima cosa che si impara." I rapporti umani sono essenzialmente dolorosi, che ci sia o meno intenzione, perché a volte ci si fa male anche da soli, anche facendo attenzione a metterci tutto l'amore possibile. Ma che tipo di amore? Viviamo l'epoca del romanticismo, l'amore di questi tempi è spesso venato di masochismo. Ma qui entriamo in un altro argomento, stavo parlando di rete sociale, il fenomeno del momento, la copia tascabile dello Sturm und Drang for dummies, la catena di montaggio per tigri di carta, dove viene forgiato il futuro del mondo (virtuale).

Cerco di evitare il più possibile i social network perché poi mi scappa un commento, un battuta, e su internet ogni fiocco diventa valanga. Ragazzi del futuro, lo so che la gente è stupida, lo so che lo è chi segnala la pagliuzza della mediocrità, della sciatteria, definendola una riduzione generale della qualità dovuta alla tv e a chi ritiene responsabile dei contenuti della tv come strumenti educativo di massa. Lo so, ragazzi del futuro, e allora? Cosa posso farci? Credete che serva dire guardate che allora anche internet. Guardate che non è solo in Italia. Guardate che non si è ridotto il livello di qualità massimo raggiungibile, è piuttosto l'effetto dell'aumento del numero di voci che influisce sulla media. La democrazia come media delle opinioni è necessariamente populismo e demagogia. Sono cose che ai ragazzi del futuro sembreranno così lampanti da ipotizzare che il popolo a quei tempi fosse tenuto soggiogato dal potere e ipnotizzato dalla propaganda. Quello che diciamo noi dei popoli del passato, dagli unni agli assiri, dai nazisti ai comunisti. Eppure le masse si muovono come branchi di pesci, come sciami di api, come formiche eccitati dai feromoni. Vogliono che succedano cose determinanti, cambiamenti epocali, essere protagonisti o, se proprio, almeno testimoni, quando la testa del re viene spiccata dal collo e rotola nel cesto, quando la città dei nemici viene messa a ferro e fuoco, quando l'incarnazione del male viene impalata.

L'altro aspetto è sia commerciale che espressione di vanitosa superbia. La blasfemia è ribellione a parole come la violenza è ribellione nel gesto. E da sempre paga il ruolo del bardo, che incita rollando sul tamburello, soffiando nella tromba, scrivendo ballate, cantate, poemi omeriche o scespiriani. E il bardo di basso livello diventa giullare, diventa buffone, diventa ubriacone da prendere a calci ridendo quando diventa seccante. Noi abbiamo questo tipo di scadimento culturale anche nella nobile arte del narrare, intrattenimento che va dalla geisha alla vecchia puttana tossica e sifilitica di periferia. Ragazzi del futuro, lo so, sono stupido ma sono entrato nell'università più prestigiosa d'Italia, e forse d'Europa, superando rigidi test d'ammissione su conoscenze capacità potenzialità e quoziente intellettivo, sono stupido anch'io, va bene, ma non più di tanto. Lo so che è da stupidi rinchiudere tutto questo negli stretti ambiti di una malattia che riguarda solo chi guarda certi canali televisivi, chi vota un certo partito, chi la pensa in un modo piuttosto che in un altro su questioni politiche o si rifiuta di superare dilemmi etici e morali semplicemente cancellandone l'esistenza, come si cancella il furto eliminando la proprietà, cosa rubi se niente e è di qualcuno?, si elimina il primo comandamento eliminando Dio, è tutto così semplice, vero?, ma poi cosa ti resta in mano? Ragazzi del futuro, è inutile cercare di far ragionare le masse, è come cercare di far volare le montagne prendendole a calci, di fermare i salmoni quando decidono che è ora di tornare a casa.

Per esempio su internet negli ultimi giorni è stato un proliferare di frasi legate all'indignazione mondiale. Gente che va in piazza a protestare come sempre ci va, per un motivo o per l'altro. E quindi gente che nella vita fa tutt'altro si mette a parlare di economia come se la studiasse da una vita, come se usare i soldi ti rendesse esperto della materia, la stessa semplificazione che ti fa dire se mettiamo i bambini nel kibbutz nessuno ha madre e padre e tutta quella roba di Freud possiamo finalmente buttarla nella spazzatura. Demolizione della cultura, che diventa essa stessa sovrastruttura, oppio, e la ricerca di una spiegazione che non escluda la complessità viene scambiata per accanimento terapeutico. Arrendetevi alla banalità del reale. Un mondo di slogan dove no c'è più spazio per niente, cartelloni pubblicitari ovunque, vite tenute in ostaggio dalla modernità al punto da mandare nel panico chi è abituato a redditi da benestante e non ha idea di come si possa sopravvivere senza una buona lavanderia sotto casa e la banda larga. Quindi giù a lottare per mantenere lo status quo, a indignarsi per la crisi, a cercare colpevoli da punire. A volte quando sento dire assurdità mi viene da dire ma perché al posto di economia e politica, di cui sai poco o niente, non parli di laparotomia sottocostale, di simbionti azotofissatori, di costante di Planck, otterresti gli stessi risultati. Ma io non sono il tipo che manifesta, non sono quello che si mette alla testa del corteo o a capo della guarnigione, non sono quello che muore da eroe o non vede l'ora di farsi mettere in croce, gli direi caro Padre, bevitela tu quella merda. O forse no, fin che non lo vivi non lo puoi mica sapere, per esempio lo so che quando uno si tuffa per salvare uno che sta affogando di solito affoga pure lui, però se vedi un bambino che sta affogando come reagisci nella vita vera, gli fai ciao con la mano?

Anche oggi sto andando lungo, ma come fai a riaccumere tutta questa roba? Non trovo divertente né piacevole buttare il mio tempo a spiegare cose che per me sono elementari, se le trovassi già dette e scritte altrove non starei qui a sbattermi per fare arrivare informazioni ai ragazzi del futuro, che poi magari pensano che non ci aveva pensato nessuno e facciamo brutta figura come intera generazione. Volevo solo dire che stavolta la politica ha deciso di scaricare la responsabilità sui mercati nel tentativo di introdurre leggi che permettano ai governi di controllare i mercati e per avere la scusa di tassarli. I governi hanno speso troppo e hanno speso male e questo ha prodotto alti debiti pubblici e economie malfunzionanti. Quando la Cina è entrata nel WTO ha sconvolto dinamiche che stanno ancora cercando nuovi punti di equilibrio economico. I governi, dove per governi intendo gli Stati, non destre e sinistre spesso fittizie e di comodo all'interno delle singole realtà, realtà che vanno da tanta gente su poca terra con poche risorse, come l'Italia, a poca gente con tanta terra e risorse naturali (tipo gas e petrolio), governi che si trovano a non poter più garantire i livelli di spesa storici è logico che siano entrati in grosse difficoltà nel continuare a chiedere il consenso dell'elettorato. Governi che hanno foraggiato spesa improduttiva per garantire la pace sociale, per finanziare voto di scambio e accordi con le mafie o le multinazionali, insomma per tutto tranne che investimenti che si ripagano nel futuro. Governi che se la prendono con i mercati, gli 'speculatori' (uhhhh, che paura, mordono), al fine di impedire declassamenti e crolli dei prezzi, seguendo la folle logica che ho già spiegato sopra del se elimini i mercati elimini anche la crisi dei mercati, se riusciamo a essere noi quelli che decidono i prezzi di mercato non dobbiamo più preoccuparci che gli 'speculatori' comprino e vendano a prezzi che non ci piacciono per niente. Ragazzi del futuro, lo so che a voi sembra che sto dicendo delle cose banali, ma queste cose non le sento né leggo da nessuna parte, può darsi che sono io l'unico a sbagliare, l'unico stupido al mondo che non si unisce al branco, in tal caso meglio così. I governi ormai non possono più aumentare le tasse, anche mettere la Robin tax o altre tasse non farebbe che allungare un'agonia che va avanti da decenni, da quando si è innescata la corsa alla crescita, possono solo tagliare lentamente sperando che le cose si aggiustino e che non scoppino rivolte, oppure possono dare il potere all'ennesimo dittatorello eccitato e pieno di sé che si crede in missione per conto di dio e usa la forza per aggiustare economia e società a martellate.

lunedì 17 ottobre 2011

Entropia

L'effetto più vistoso della tecnologia si è manifestato nella produzione e distribuzione di storie. Storie che vanno da una frasetta a centinaia di pagine, fino allo stream of consciousness da fantascienza di un chip che legga il pensiero in diretta, da una singola immagine a ore di filmato, fino alla vita trasmessa da una webcam dentro all'occhio, da un jingle a musica suonata per ore, fino al concerto infinito di un computer che compone dirige e suona tutti gli spartiti girando in orbita sulle nostre teste. Il costo di produzione è diminuito, ci sono tastiere e programmi di videoscrittura, ci sono macchine fotografiche e telecamere digitali, ci sono strumenti musicali virtuali. E la capacità dell'autore materiale? Quanto rara e preziosa è, al momento, la capacità di manipolare parole, immagini, suoni? A giudicare dalla quantità di materiale in circolazione si direbbe che non è così difficile produrre materiale, anche se poi interviene la statistica e bisogna capire la qualità media, se si alza, se si abbassa, se sparisce del tutto, se al contrario c'è in giro molta più roba di qualità. E qui sorge il problema della selezione, che un tempo era legato alla distribuzione delle copie materiali. L'editore selezionava, produceva copie, le proponeva al pubblico. Adesso no. La selezione è sparita, è un bene o un male, dipende da chi selezionava cosa, per esempio se c'è un partito politico che usa soldi pubblici per finanziare autori propagandistici no, non va bene. Dopo qualche decennio di selezione hai influito sulla società con intenti educativi o rieducativi e non è detto che sia meglio di come sarebbe qualora lasciata libera di crescere senza condizionamenti culturali. Una delle critiche è proprio quella di aver lasciato a internet il ruolo didattico già pessimo svolto dalla tv commerciale, ovvero la tv che deve proporre programmi spazzatura che piacciono molto al fine di incassare proventi pubblicitari e non tv elitaria che guarda solo chi non ha alternative preferibili. Si dice che se prima la tv rovinava la gente, almeno c'era una regolamentazione, un controllo per tentare di evitare gli eccessi, anche se col tempo è diventato sempre più blando il concetto di eccesso, si sono allargate a dismisura le maglie della tolleranza su ciò che fa scandalo e ciò che fa audience. Si inizia ora a parlare di vietare per esempio il porno di internet ai minori, mettendo un blocco rimovibile su richiesta dell'abbonato al servizio internet maggiorenne. Nel frattempo il web offre tutto a tutti, senza nessuno che seleziona ufficialmente i prodotti se non chi si occupa di marketing virale, il resto è frutto di passaparola.

Il costo per produrre è calato, la selezione è svanita assieme al monopolio della distribuzione, quest'ultima resa gratuita da supporti immateriali come i file ospitati gratuitamente dai server, il costo della promozione pubblicitaria è rimasto solo per prodotti legati alla filiera produttiva, scrittori già famosi che sfruttano il libro di carta come oggetto di culto più che di cultura, film con budget milionari che cercano sempre nuovi modi di rivitalizzare le sale cinematografiche, cantanti che hanno spostato l'attenzione dagli introiti per copie di dischi venduti a numero di biglietti venduti per i concerti dal vivo. La scelta di creare una porzione di rete chiusa, dove per accedere devi dare il tuo numero di carta di credito e usate un apparecchio anch'esso blindato, ha reso felice il sistema di produzione e consumo analogico al punto da trasformare in una specie di semidio di cartapesta il tizio marchiato mela. E il mondo si è dimostrato felice di trovare un oasi simil televisiva, dove si possa andare quando l'entropia provoca ansia, confusione, irritazione. Perché è questo che si prova quando non si sa cosa scegliere, non c'è nessuno a dirmi cosa piace a moltissime persone e soprattutto cosa piace agli idoli mediatoci, gli opinion makers, alle persone che passano la vita a classificare i prodotti per aiutarci a scegliere cosa comprare, i consigli per gli acquisti, come pensarla riguardo a questo fatto, dove andare per manifestare a favore di questo o contro quello, a chi mandare una email con scritto cosa, insomma l'ultima versione di grande fratello. Senza una guida si piomba nella paura e nel caos, un grande fratello è lì pronto per accoglierci sotto la sua ala protettiva e amorevole. A volte è un dittatore, a volte un profeta, a volte qualcuno che sorride o grida rivolto alla telecamera. Nessuno vuole essere solo, nessuno vuole essere l'unico allo stadio che fa il tifo, il primo a tirare la pietra, nessuno vuole indossare qualcosa che gli procurerà risate di scherno, nessuno vuole sporcarsi la camicia, inciampare, andare a sbattere, scoprire di avere tutti gli occhi addosso quando vorrebbe passare inosservato o scoprire di passare inosservato quando vorrebbe avere tutti gli occhi addosso.

Soldi e fama, in fondo è solo l'ambizione a muovere la maggior parte di chi cerca di vendere qualcosa, compreso se stesso, al maggior numero di persone possibile. La ricerca del successo come scopo della vita. Ne ho già parlato, mi pare. Ma internet sta rendendo vano questo modello a prescindere da chi seleziona cosa, se è il partito comunista e tu sei un dissidente vai in prigione anche se hai preso il nobel, o dal livello di meritocrazia di una società, cosa che rende possibile il sogno americano, senza meritocrazia puoi essere bravo quanto vuoi ma ti passa davanti il raccomandato, il leccapiedi, l'amico dell'amico. Con internet tutto questo viene messo in crisi. Non c'è bisogno di essere criminali informatici per sapere che ci sono a disposizione, almeno fino a quando l'autorità non deciderà di dare un giro di vite alla libertà sul web, centinaia, migliaia di prodotti da tutto il mondo. Tanto che la difficoltà principale sta nell'ostacolo linguistico, servono traduttori per infrangere la barriera, non è una cifratura da far decrittare con forza bruta da processori sempre più veloci. Ci sono così tante storie al momento on line, potenzialmente tesori di cui guardo solo copertina, leggo il titolo o guardo la locandina, pensando a quanto tempo dovrei perderci per verificarne la qualità, per rendermi conto di aver speso bene o male del tempo sempre più prezioso. Si rimane paralizzati e si vuole un grande fratello, un selezionatore professionista, un investitore che ci abbia scommesso sopra grosse somme di denaro, un pubblicitario che ne valorizzi i punti di forza e mi renda appetibili anche le peggio stronzate. Ne vale la pena o nel frattempo mi perdo qualcosa di meglio? Se sì, cosa? C'è davvero qualcosa che mi sto perdendo? O è tutto un succedaneo nel niente originario, figli di un capostipite banale, senza cappello, senza baffi a manubrio, le mani sul ginocchio e la posizione a trequarti per il ritratto dipinto a olio. E mai esistito davvero un filone d'oro dell'arte? O le cose belle sono state pescate a caso e sono sopravvissute nel tempo per un colpo di fortuna? Perché ho già dedicato anni di vita a riempirmi di schifezze. Anche roba spacciata per toccasana universale, che dopo la tua vita non sarà più la stessa, e invece al dunque si rivela sbobba. Di tutto quello che ho visto e letto c'è poco o niente di cui non potrei fare a meno, alla quale imputo una causa del mio essere diventato quel che sono, un mattone fondamentale senza il quale crollerei su me stesso. Qualche film, qualche libro, qualche immagine. Ma la maggior parte di quanto proposto dal sistema dei selezionatori è entertainment di bassa lega. Quel tipo di intrattenimento che ti aiuta a vivere facendoti scordare che sei vivo, che hai una vita vera, che i giorni, i mesi, gli anni passano e tu no stai crescendo come una pianta sana e robusta, mentalmente sei rimasto un bonsai, tenuto nel buio confortevole dell'intrattenimento.

E mi chiedo anche se potrei raccontare una storia che non esista già là fuori, da qualche parte, che vada a toccare certi tasti, son come le note, sono emozioni, sono dilemmi morali, sono buoni e cattivi esempi? No, non potrei. Esiste già tutto, qualcuno ha già detto quello che andrebbe detto, non ci resta che recuperare le stesse cose, ancora e ancora, ripeterle con altre parole, dentro a storie differenti, con musiche inaudite eppure familiari fin dal primo ascolto. Tutto è compiuto. Tutto è già successo, il futuro è solo un colpo di coda, un eterno ritorno, un sentire bussare alla porta e spaventarsi oppure no, impaurirsi oppure no, arrabbiarsi oppure no. Perdersi nell'entropia di un mare di cose che nel tempo si riveleranno non così importanti, non così irreparabili, diventeranno foto ingiallite, ricordi selezionati di grandi storie sentimentali dalle quali sembrava pendere, appesa a un filo troppo sottile, nientemeno che l'esistenza e l'equilibrio mentale, quando era solo intrattenersi a vicenda, tenersi per mano, dare spiegazioni, proiettare ombre. E allora scrivere come opera decostruttiva e semplificatoria? Già fatto, la mercificazione e massificazione dell'arte. Tanto vale scrivere elenchi, numeri, percentuali, cronache, musiche monotone da ascensore, storie belle da ascoltare anche se non dicono niente, cambiare la vita, in meglio o in peggio, che importa, per farsi compagnia, per gestire il coma, la totale privazione sensoriale da eccesso di esposizione, la realtà virtuale ora in formato vita vera, oggetti esposti in bella mostra, merce posizionata con cura dentro una cornice accattivante, esche dalle quali siamo separati mediante una vetrina pulita, da uno monitor o uno schermo televisivo, la terza dimensione del desiderio con tanto di prezzo scontato, solo per pochi, solo per oggi, restate con noi, non cambiate canale, e noi sbattiamo contro le pareti come pesci in un acquario, specchiandoci. Là fuori c'è già tutto, il messia è già arrivato, proprio quando ti sei alzato dal divano per andare un momento in bagno, un momento al frigor, senza uscire dal coma, senza abbandonare la sicurezza del polmone d'acciaio. Non rimane altro da dire, da cantare, da scrivere, da disegnare, se non per aumentare l'entropia, per aggiungere dati alla curva statistica del gradimento e della qualità, che va da largo intrattenimento a per appassionati del genere.

Pertanto a cosa serve, oggi, essere ambiziosi, se non diventare rotelle di meccanismi che ti rendono cosa? Ricco, quanto vuoi diventare ricco? Quanti soldi ti servono? Cosa ci compri? A cosa sei disposto a rinunciare pur di diventare ricco? Perché tutto a un prezzo, anche la ricchezza ha un prezzo, oh, se ce l'ha. Famoso? Non ti interessano i soldi ma vuoi diventare famoso? Nel senso che la gente ti ama o nel senso di passare alla storia? La gente non ti ama per sempre, e anche quando ti ama non è che ti ama come pensi tu, magari ti ama come si amerebbe un gatto o un ricordo di infanzia, un vecchio zio che vedi ogni tanto e racconta barzellette e ti mette in mano dei soldi quando se ne va. Vuoi essere amato come? Come un dio? Come un padre? Come una madre? Come il figlio che sei stato o non sei stato? Passare alla storia per cosa? Per aver inventato qualcosa? Quante volte pensi in un giorno agli inventori del passato? Vuoi essere ricordato come un grande artista? Quanti artisti del passato ascolti normalmente, a parte mozart nelle pubblicità dei cioccolatini trasmessa alla radio mentre sei incolonnato con la macchina in tangenziale, intendo. Ricapitoliamo: le probabilità si successo sono minime, in ogni caso no diventerai ricco e se anche lo diventerai non è quello per cui produci storie, che siano di parole, immagini o suoni. Se vuoi diventare ricco apri un supermercato, una catena di fast food, un sito internet per il gioco d'azzardo. È così che la gente di solito diventa ricca, è molto più probabile diventare ricchi così che ottenendo successo come artisti. Inoltre non vuoi nemmeno passare alla storia: avere il proprio nome su una lapide al cimitero e dentro a un'enciclopedia non cambia molto, la tua vita può comunque essere stata fenomenale o una merda totale, piena di un senso di riconoscenza luminoso o piena di una tragica consapevolezza di inutilità. Non è la soluzione al problema della vita né a quello della morte quella che ci viene proposta dal marketing.

La risposta è altrove, non sarò certo io a dirti dove, il biglietto per arrivarci non è in vendita, ognuno nasce col proprio ed è libero di decidere se usarlo o buttarlo via, se credere che serva davvero a raggiungere una destinazione o sia solo una presa in giro. Certo, l'ambizione porta risultati, se e quando li porta, concreti e immediati, concede la meritata gratificazione per l'impegno profuso. Ma l'ambizione non è un meccanismo automatico, dove se non sei bravo lo diventi, che le cose basta volerle e tutto è possibile, se non sei fortunato lo diventi, che le occasioni bisogna procurarsele e non si deve aspettare che cadano dal cielo. L'ambizione se ci guardi dentro scopri che solo voglia di consolazione, bisogno di rivalsa, impulso naturale di competizione, di vincita, di ammirazione, l'equivalente sociale della spinta animale a scegliere o venire scelti mentre si cerca il partner geneticamente migliore in circolazione per accoppiarsi e riprodursi. L'ambizione se la guardi da vicino è solo insicurezza, solitudine, fragilità, disperazione, e ti accorgi che tutto quello che davvero ha avuto importanza nella tua vita ti è stato regalato, ti è stato donato da chi non aveva bisogno o possibilità di ambire a niente che si possa ottenere in questo mondo. I libri che ti hanno detto la verità quando tu avevi bisogno di bugie, o viceversa, i film che ti anno mostrato la realtà quando tu avevi bisogno di fantasia, o viceversa, i disegni che ti hanno fatto sentire bene quando volevi sentirti male, o viceversa, non sono stati fatti da qualcuno che voleva far soldi o diventare famoso, come un uccellino non canta per tuo piacere personale, quello succede solo alle principesse delle favole. Non c'è niente di male a coltivare delle ambizioni, purché restino il mezzo e non il fine. Un conto è fare delle cose che ti riempiono comunque la vita e che faresti anche se fuori dalla finestra ci fossero le macerie di una guerra mondiale e branchi di lupi affamati che ti aspettano sbranarti, e nel fare queste cose speri di venire pagato così da non dover fare quella cosa orribile che è lavorare, ovvero fare cose che non ti piacciono per niente, perché se ti piacciono non è lavoro nemmeno se ti pagano, e che le persone per cui ti stai sbattendo, che si presume siano persone a cui tieni, delle persone per le quali provi gratitudine, o l'amore per i figli, anche solo te stesso in un delirio di egocentrismo, qualcuno che possa un giorno, chissà, apprezzare lo sforzo. Anche se sai che è tutto inutile, che è già stato detto tutto, che là fuori c'è un mare di entropia pronto a ingoiarti e farti sparire dal tempo e dallo spazio. Un altro conto è fare delle cose perché sono quel tipo di cose che potrebbero renderti ricco e famoso, fare delle cose che possono renderti simile a quel tizio, uno o più di uno, che invidi, o che vuoi surclassare, imitare, scoprire il suo segreto e diventare come lui, oppure fare delle cose che reputi fichissime, attività da supereroi, cose diverse dal lavorare come magazziniere, come contabile, diverse dal mettere le mani in bocca alla gente per trapanare via le carie, cambiare i pannolini ai vecchi con l'alzhaimer, mungere la vacche, scendere in miniera. Vuol dire anche quello l'ambizione, una via di fuga, un paradiso artificiale, un biglietto che, a differenza dell'altro, sai esattamente dove ti può portare ma non sai se ti piacerà davvero arrivarci e, soprattutto, non sai se ti piacerà il viaggio mentre ci vai. Sto proprio diventando un vecchio barboso e rompipalle, faccio discorsi che se li avessero fatti a me da giovane sarei morto dalla noia, si vede che a una certa età il cervello perde colpi e si chiacchiera per ore e si finisce per fare predicozzi indigesti come questo.

lunedì 10 ottobre 2011

Aristocrazia 2.0

La mia generazione vien subito dopo quella degli anni '60, coi loro fiori nei cannoni e le dive sulla Croisette, i motori ruggenti del ribelle Dean che sposa idealmente la Marilyn bambola medicina per tenere su il morale dell'incompreso contemporaneo. Siamo il frutto di venticinque immagini al secondo, noi dei '70 siamo nativi televisivi come ora gli zeri sono i nativi digitali. I nostri modelli sono Star Trek, con i ruoli definiti dal colore della tutina elasticizzata, cibo che esce da un ricompositore molecolare, nemici ben definiti e primitivi che vanno convertiti più che sconfitti, abbracciati più che annientati. Anche Star Trek si è evoluto, passando ai nativi digitali, adesso il suo equipaggio non contiene solo rappresentanti di tutte le etnie del pianeta terra, unite dentro una sola e unica cultura, quella dell'occidente e in particolare degli Usa. Adesso Star Trek è ultraglobalizzata, universalizzata, ha incorporato il fattore multiculturalità con la convivenza tra specie aliene. I punti più alti di questa aristocrazia culturale si realizza nelle stazioni spaziali, sulle navi che percorrono le rotte commerciali e diplomatiche. L'orizzonte degli idealisti non si comprime mai, non sarebbero idealisti se permettessero ai loro desideri si scendere a patti con la realtà. Gli idealisti sono una parte dell'aristocrazia culturale che travalica le distinzioni tra scienziati, filosofi, ingegneri, borghesia commerciale, intellettuali.

Gli idealisti sono gli ambiziosi che, in alcuni casi, possiedono carismi (dal greco: dono) particolari che, uniti a fortuna e caso, all'essere nodi di particolari reti relazionali, al farsi creatori di bisogni nuovi o fornitori di prodotti che soddisfano bisogni nuovi mai considerati prima, danno luogo a persone simbolo in grado di mobilitare le masse. Le masse stanno appunto all'estremo opposto degli aristos (dal greco: migliore), in un ambiente in cui la meritocrazia ha appunto l'obiettivo di far emergere i migliori. La meritocrazia è aristocrazia, dove i migliori non sono definiti da una linea di sangue o decretati per investitura reale o papale, la meritocrazia è l'imborghesimento dell'aristocrazia nobiliare, il passaggio dall'origine per diritto morale, giuridico o divino, del riconoscimento pubblico all'origine per dimostrazione quasi-scientifica, come risultato della vincita di una competizione. Le masse invece rimangono tali. La curva statistica gaussiana che descrive quasi tutte le distribuzioni statistiche di una caratteristica all'interno di una popolazione sufficientemente numerosa si applica anche ai fattori di aristos o merito: una piccola percentuale soddisfa certi requisiti e il resto è massa. Se non si capisce questo non si scopre il bluff della rivoluzione digitale che nutre favole visionarie e omelie di santoni piene di ottimismo per il futuro e fiducia nell'evoluzione darwiniana.

Le masse sono quelle che hanno bisogno di idoli, di totem, di vitelli d'oro lari del focolare, amuleti contro il malocchio, riti per scacciare il demonio, pozioni d'amore o per cancellare le fatture. Non è religione, come vorrebbero gli atei o chi fugge e ridicolizza la religiosità come una qualunque espressione di superstizione. La religione è un'altra cosa, una faccenda da aristos come tante altre, come il sapere, come l'esperienza, come le molte capacità che posso essere sopra o sotto la media, riflettere, elaborare, unire i puntini, cogliere nessi, immaginazione, creatività, analisi, gli esseri umani possono scalare le vette così come possono sguazzare nel fango, entrambe sono scelte lecite e rispettabili, frutto del libero arbitrio. Ogni attività umana formalizzata e basta su criteri di selezione si ritrova con sacerdoti, sciamani, santi e soldati che combattono l'esercito dell'avversario coi suoi mille nomi. Quando vi trovate di fronte a un militare, un prete, uno scienziato, un giornalista, un medico, tenete sempre presente che è un elemento di un macchinario molto grande, che macina cultura da molto tempo, un omino del lego che si distingue dalla massa entrando a far parte di una particolare aristos. Anche il criminale cerca di essere il migliore nel suo campo. Anche il politico. È una tensione umana che solo con un grosso sforzo di volontà può essere abbandonata senza viverla come una rinuncia e un sacrificio.

Nessuno vuole essere l'ultimo, l'uomo qualunque, neanche per ottenere una forse vita forse eterna, forse un giorno, ammesso che esista dio, chissà, chi può dimostrare che non siano tutte fesserie inventate dall'uomo per giustificare il suo fallimento, non vergognarsi del suo essere un perdente che non si distingue nella folla, un elemento insignificante che fa numero nella massa? La religione protestante e il suo affermare che dio premia i migliori con il successo non è né la causa né l'effetto del fenomeno culturale che è al momento in atto nel mondo, lo stesso vale per il capitalismo e il libero mercato che si accompagna alla perfezione col il protestantesimo così come il socialismo si accompagna bene al buonismo perdonista cattolico, anche se è vero che nei paesi ricchi protestanti sono molto più comuni che altrove i suicidi di chi non accetta di essere destinato da dio a essere un perdente senza valore. In questo paradigma, riconducibile esclusivamente alle emanazioni storicizzate del macchinario culturale descritto poc'anzi, si è fatto strada internet: uno strumento pensato per fare evolvere le masse nella direzione voluta dall'aristos, al fine di realizzare la società desiderata dagli idealisti, che sono sempre altruisti, nessuna massa sostiene un idealista, o una formazione politica animata da idealismo, che promette un futuro in cui l'aristos diventa ricco e famoso e le masse rimangono tali. Il problema è che internet sta fallendo, su tutta la linea. Come ha fallito prima di internet la tv. La tv ha creato consenso attorno a valori e modelli comuni, ha creato il cittadino americano di provincia con una macchina due figli e un mutuo. La tv ha modellato le masse, verissimo, ha creato mercati, ha diffuso sermoni e documentari e dibattiti elettorali. La tv ha fatto su larga scala quello che un uomo dotato di potere avrebbe ottenuto lavorando sugli abitanti di un piccolo villaggio medievale. La tv ha creato il villaggio culturale globale quanto il petrolio ha creato il villaggio industriale globale.

È qui che fa il suo ingresso internet, con la possibilità di una comunicazione non più unilaterale distrugge il caposaldo di qualsiasi sistema di potere, che sia aristocratico nel senso antico del termine, ovvero basato sulla tradizione, sul mantenimento del patrimonio, dell'esercito, e sul matrimonio e filiazione come contratto fra potentati, o che sia un potere di aristos come selezione meritocratica, fingendo che non esistano variabili legate al caso, alla fortuna, alle conoscenze, alle opportunità, dove sei nato, da quale famiglia, dove hai studiato, che lingua parli, che colore ha la tua pelle, parli inglese e con quale accento? Con internet si annienta qualsiasi forma di aristos controllata e valutata da altrettanti aristos. La tv permetteva di imporre alle masse prodotti comunque selezionati da persone con l'obiettivo di educare (o rieducare, nel senso terribile dei sistemi totalitari) i cittadini o da persone che danno alle masse quello che vogliono pur di fare audience e incassare proventi pubblicitari. Con la tv il dibattito era proprio questo: cosa è meglio trasmettere, qualità poco gradita o immondizia molto gradita? Lo stesso discorso del cibo, insalata salutista o schifezza che rende obesi?

La storia ci ha dimostrato che le masse vogliono essere intrattenute piacevolmente mentre, sdraiate sul divano, mangiano porcherie. Internet lo fa molto meglio della tv, permette alla massa di snobbare completamente qualsiasi tipo di suggerimento possa venire da un'aristocrazia che non sia basata sul criterio della popolarità. Il paradiso del marketing, l'arte di indirizzare le masse utilizzando sentimenti, impulsi, la vasta area dell'irrazionale che governa le scelte umane: non è bello ciò che è bello ma ciò che piace. Se riesci a far cliccare il tuo prodotto a un milione di persone altre dieci milioni seguiranno, e così via. Gli aristos sono creati dalla popolarità e dal successo, e questo è il meno, diventa più inquietante quando la popolarità e il successo diventano a loro volta un prodotto industriale, un servizio commerciale. Le masse in fondo vogliono sentirsi tali, vogliono un personaggio che li faccia sentire parte di un gruppo, vogliono innamorarsi dell'eroe e piangere quando muore come sono stati abituati a fare fin da piccoli con i cartoni animati. Vogliono succhiare il midollo della vita, andare al massimo, restare affamati e folli, gli slogan che esprimono la contraddizione profonda fra il diktat calvinista al dovere di lavorare al massimo, il darsi da fare come premio a se stesso, e allo stesso tempo gli slanci epicurei del godersi la vita come fanno i protagonisti della pubblicità.

Oggi sto andando lungo ma sono argomenti tosti, non si possono riassumere in due parole. Potrei andare avanti per altre pagine e pagine ma a quale scopo? Se anche riuscissi a spiegare per filo e per segno la realtà quella non smetterebbe di essere quello che è, anzi, non c'è niente di peggio della consapevolezza senza rimedio per sentirsi inermi e inutili, tutto è vanità e la conoscenza aumenta il dolore (Qoelet) E io non volevo nemmeno parlare di questo. Volevo parlare di cosa faranno se la massa utilizzerà le possibilità della rete per fare quello che le riesce meglio: mandare al rogo streghe, impiccare il signorotto locale, marciare sul villaggio vicino, invadere scappando dalla carestia. Che in internet si traduce nel pubblicare foto di persone che vogliamo danneggiare, diffamare la concorrenza usando pseudonimi e server dislocati in capo al mondo, rovinare la reputazione del chirurgo che non è riuscito a salvare un nostro caro. Bullismo, truffe, furto di dati sensibili, esibizionismo, è solo una piccola parte delle attività di chi approfitta del suo essere invisibile nella massa, protetto dalla massa, e anzi vendicatore di torti contro le masse, ribelle contro il sistema, cellula di un corpo rivoluzionario digitale che sovvertirà l'ordine costituito che è ingiusto, vecchio, incompatibile con i nuovi formati. L'ipotesi che la gente smette di essere stupida e malvagia nel momento in cui entra nel magico mondo del digitale è come minimo azzardata.

Volevo parlare invece dei nativi digitali, dei nostri bambini. Della maestra che non ha 80 anni e mi dice della progressiva perdita di capacità di analisi e di manualità pratica che riscontra nei bambini delle elementari. Bimbi bravissimi a mettere un dito sullo schermo per tirare l'uccellino con la fionda virtuale ma che non capisce l'utilità di azioni ludiche svincolate dall'entertaiment, così che costruire una fionda vera è troppo difficile, noioso, complicato, ci vuole troppa pazienza, troppa concentrazione, troppa conoscenza teorica, troppa abilità gestuale. Addirittura recenti studi dimostrano che l'esposizione di un bambino a dieci minuti di cartoni animati a movimento rapido, ovvero dove i personaggi, al fine di immettere il maggior quantitativo di storia possibile, si muovono più veloci di quanto è naturale che facciano, e il bambino non riesce più a disegnare correttamente, cerca di replicare il dinamismo marinettiano di una realtà artificiale o virtuale che dir si voglia. Volevo parlare della tendenza a sistemi chiusi per rassicurare l'utente che sacrificano la tensione naturale dei bambini alla sperimentazione, aprire per vedere com'è fatto, rompere, affrontare imprevisti e ostacoli nel percorso espertivo di maturazione personale. Tutto ciò non è possibile su apparecchi venduti come status symbol, come traguardo estetico, come tecnologia nascosta che lavora senza bisogno dell'utente che non deve fare niente, solo muovere il pollice, l'equivalente digitale del mettersi sul divano a guardare la tv mangiando schifezze. Qui torniamo alle masse, alla curva gaussiana, all'idealismo di uno strumento che gioverà alle masse che si scontra contro il successo ottenuto vendendo alle masse oggetti ad alto contenuto di emozione, per la gioia del marketing che può usare slogan suadenti e infidi come 'lo sanno usare anche i bambini'. I bambini come soggetti adulti fisicamente o mentalmente menomati, le masse come bambini, con la sensazione che ci sia una mamma a coccolarli e un papà a tener lontani i pericoli. Bambini che non giocano davvero ma giocano a giocare, attaccati a una tecnologia che si presenta come una bicicletta e si rivela un polmone d'acciaio.

mercoledì 5 ottobre 2011

basta e avanza

Non è vero che internet ha promosso una specie di rivoluzione 2.0, portata avanti da generazioni digitali per aggiornare il mondo reale come se fosse un pezzo di hardware e la società come se fosse un software. Internet è solo stato uno strumento di aggregazione attorno agli slogan e di organizzazione pratica per fissare appuntamenti collettivi, sia nelle rivolte del nordafrica che nei saccheggi dei ragazzini londinesi che nel campeggiare infinito di indignados europei e americani. La crisi economica è la vera e unica forza motrice degli eventi sovversivi e/o eversivi, dove c'è ricchezza nessuno protesta, anche se vive in un regime, in un incubo di assolutismo religioso, in una finta democrazia neo-medievale. Ci sono paesi che si reggono sul petrolio, che stipendiano i cittadini e tutto è gratuito e garantito, che possono uccidere chiunque non rispetti i canoni fissati dal governo e tutti annuiscono soddisfatti, nessuno si lamenta né protesta quando ha molto da perdere. Quei pochi che ci provano lo fanno per ambizioni di eroismo o per conto di governi stranieri o per rovesciare il potere e prenderne il posto mandando la propria fazione al comando.

La favola di internet ha una fisionomia tutta particolare, fondata su capisaldi ideologici con radici nella cultura beat e poi nerd e poi hacker e infine in queste formazioni anarcoidi che inneggiano alla privacy assoluta, all'annientamento dell'individualità in sovrapersonalità androidi da ape regine borg cultura alveare rete di singole coscienze dalla quale zampilla naturalmente una consapevolezza collettiva. Tutte le controindicazioni vanno ignorate, verranno espulse nel processo iterativo della storia dell'evoluzione darwiniana culturale. È questa la cultura del web ancora senza un nome nel vocabolario che la definisca, io la conosco, io ne ho subito il fascino e ne ho superate le febbri, ne sono uscito vaccinato e terrorizzato. Da questa religione discendono e si riallacciano le varie emanazioni culturali vecchie e nuove, come la democrazia diretta, il buon selvaggio di Rousseau, il relativismo che parte da Voltaire e arriva a Popper e colora di preoccupazione alcune encicliche. L'ecologia del sistema pianeta, sistema natura, tutto è riconducibile a sistema ma non come lo intendevano i sassantottardi ma come system, system error, operating system, è una religione con i suoi dogmi: modelli e simulazioni in grado di rendere prevedibile il mondo, soluzione emergenti dal caos, integrazione come meccanismo automatico di autocompletamento.

Come religione si associa alla perfezione con credenze ideologiche in grado di essere upgradate alla versione 2.0, come la democrazia che passa da rappresentativa a diretta, come il sapere che passa da sforzo di crescita e maturazione lungo una vita a blocco monolitico di nozioni tascabili e facilmente reperibili. Gli esempi sono moltissimi, trovatene altri da soli se ne avete voglia. E come ogni religione ha i suoi sacerdoti e i suoi fedeli, i suoi cani da guardia e i suoi cavalli da guerra. E i suoi messaggeri, che mai come ora sono messaggeri efficaci ed efficienti, perché dotati di ali elettroniche e trombestatus di socialnetwork. Come ogni religione ha i suoi testi sacri, chi ha il Corano e chi il capitale, chi il listino di borsa e chi la guida tv, internet ha gli aggregatori di notizie e i reader di blog e gli ashtag con bottone mi piace e condividi. Giornalisti con o senza tesserino che si sentono in missione per conto del dio di internet e producono opinioni conformistiche, che uniscono il più possibile, che abbracciano non la verità ma il plausibile e soprattutto la versione che verrà più cliccata. Se scrivi contro il governo ti linkano di più che se lo difendi. Se scrivi contro un imputato per reati orribili ottieni più consenso, come se nella logica massificante dell'istinto animalesco della maggioranza si debba dimostrare l'innocenza e non la colpevolezza. Prima spara e poi chiedi, che abbandonando ogni razionalità passa dalla reazione istintiva del singolo al branco che impugna fiaccole e forconi.

Il messaggio principale di questa religione è che tu, come individuo, non hai alcuna importanza se non come elemento di un fenomeno collettivo. Tu, come singolo, per emergere e obbedire all'obbligo di avere ambizioni e di essere vincente come si aspettano da te genitori, professori, la società versione obsoleta, tu singolo dovresti impegnarti per tutta la vita al fine di farcela nonostante tutte le leggi della probabilità contro, tu singolo dovresti ottenere fama e ricchezze moltiplicate per mille rispetto alle tue necessità (pizza, fumo, bibite, porno) quando, senza fare niente, in mille potrebbero avere abbastanza (pizza, fumo, bibite, porno) per vivere. Se invece ti basta attivarti da casa per far parte della squadra dei vincitori ecco che diventa tutto più facile. Se poi la tua partecipazione sfocia nel mondo reale soddisfa anche il bisogno di socialità, che davanti al computer la solitudine viene drogata solo da contatti ludici mai del tutto soddisfacenti, quando non volutamente conflittuali all'eccitante riparo di uno pseudonimo. Tu come individuo magari non sei il massimo, ma fai parte di un gruppo che prende mille piccole idiozie e le trasforma in una perla di saggezza futura, molto futura, sempre futura, in divenire, mentre nel frattempo va tutto alla malora ma basterà fare un reset, riavviare il sistema. È vero che l'intelligenza è rara, purtroppo non sono tutti geni tranne pochi stupidi facilmente individuabili, però la religione di internet afferma che un mondo intero di stupidi è in grado di portare alla vita un'entità sovrumana di intelligenza incommensurabile, che non sbaglia mai, che sa tutto, che trova soluzioni a tutti i problemi.

Una mamma globale di nuova generazione al posto di tanti papà ormai obsoleti e preistorici. È anche questo un passo nella direzione del femminino garantito dal benessere. Più la società diventa ricca e più diventa femminile. Va bene, per carità, non è che me ne freghi più di tanto, che ci sto sveglio la notte. Però c'è il piccolo problema della realtà: non c'è uno sciacquone da tirare, la realtà prima o poi torna a galla, il benessere di cui godiamo è temporaneo, legato al petrolio. Il benessere di cui godiamo inizia a declinare e non è un capriccio, non è colpa di qualcuno, non c'è qualcosa che si può fare per evitarlo. Questo deve essere chiaro: la crescita economica infinita è una chimera. Le risorse non solo non bastano per tutti ma non sono neanche rinnovabili, quando abbiamo consumato tutto basta, fine, non ce n'è più, internet o non internet, socialismo o dittatura religiosa, benessere diffuso o schiavismo, austerità o consumismo sfrenato, indignati o compiaciuti, complici o carnefici, maschilisti o femministi, sparta o atene. Il programma è terminato in maniera anomala a causa di un errore imprevisto, il sistema verrà spento per evitare danni irreversibili all'hardware.

lunedì 3 ottobre 2011

Hero today

Per capire la mentalità dell'uomo contemporaneo non serve studiare la storia, basta leggere il viaggio dell'eroe, la matrice di tutte le storie che hanno raggiunto le persone che vivono in zone provviste di cinema e televisione. La cultura non è più formata da letture di formazione, aristocratica o borghese che sia, postmoderna o underground che sia, no, la cultura maggioritaria è stata costruita da racconti fondati sul viaggio dell'eroe, veicolati per mezzo di fumetti, serie tv, film. La figura stessa dell'eroe si è trasformata per aderire alle esigenze del copione, passando dal santo martire o dal soldato coraggioso al prescelto dal fato, dal destino, dalla genetica. Si è passati dal sacrificio altruista e volontario alla vittoria del più dotato, il migliore che si assume le responsabilità e i doveri di un ruolo di guida e sostegno (vedi spiderman: un grande potere dà grandi responsabilità). Lo schema si adatta alla perfezione all'etica protestante (dove se vai all'inferno è perché sta scritto nel tuo dossier celeste fin dall'inizio dei tempi, dove se sei più forte hai il dovere di comportarti da più forte senza vergognarti della tua forza), e si adatta anche agli USA come superpotenza mondiale in grado di imporsi per vedere affermarsi ovunque il proprio stile di vita improntato sulla democrazia e sul benessere diffuso della classe media.

Questa è la fotografia della civiltà occidentale nel XXI secolo. Africa, asia, oriente, lì il discorso si sporca di localismi e infezioni culturali ma comunque l'intero mondo gravita attorno al nucleo puro della cultura occidentale, come è da sempre, dai tempi di greci arabi e romani. L'incongruenza del teorema che ipotizza la crescita economica infinita è esplosa anzitempo e creando grossi squilibri ovunque con l'ingresso di miliardi di cinesi con redditi prossimi allo zero nel sistema economico globale. Perfino in sperdute isolette del pacifico è arrivata la cartamoneta e gli abitanti vendono le proprie risorse in cambio di pezzi di carta da scambiare con televisori coreani, t-shirt colorate, attrezzi fatti di buon vecchio acciaio americano. Cercare di fermare tutto questo è come spegnere il sole con lo sputo. Anche semplicemente rallentare è un tentativo che suona ridicolo a chiunque abbia un minimo di conoscenza approfondita e concreta del mondo e del suo funzionamento. La cultura si diffonde mediante le informazioni, così come le specie animali si diffondono mediante i trasporti. Abbiamo nutrie canadesi in europa, zanzare indocinesi nel mediterraneo, pesci siluro russi in francia, pesci persici in italia, pesci sudamericani nel mississippi. Gli animali si diffondono in nuovi ambienti e li colonizzano, distruggendo le specie autoctone. Allo stesso modo la cultura più forte distrugge quelle più deboli.

La cultura più forte è senza dubbio quella che si diffonde meglio, che si riproduce più rapidamente, che si adatta con maggiore dinamismo. Torniamo al viaggio dell'eroe. Stiamo parlando dell'equivalente della vita eterna promessa dal cristianesimo, del paradiso in terra promesso del comunismo, stiamo parlando della versione 3.0 del desiderio di qualunque essere umano. Per capire meglio vediamo come si è sviluppato nel tempo il concetto di ricco, il grande signore, il miliardario, il potente, il re. All'inizio era esempio di saggezza e dispensatore di giustizia e comandante di eserciti. Potremmo scrivere libri sulla concezione dell'autorità nei tempi antichi. Poi è diventato signorotto locale, un po' vanesio, peccatore, afflitto da problemi struggenti, tutta paccottiglia fornitaci dal romanticismo nel quale ancora viviamo. Noi siamo ancora romantici e continueremo a esserlo fino a quando ci lasceremo alle spalle lo schema in tre atti nel quale si articola il viaggio dell'eroe. Quando analizziamo un qualsiasi problema o situazione noi usiamo questa apparecchiatura mentale che si chiama cultura e che, in questo momento storico, su quasi tutto il pianeta, si rifà al romanticismo (che non è languore sentimentale ma tutta una serie di argomentazioni filosofiche, morali, artistiche) e al viaggio dell'eroe.

Torniamo al miliardario, emblema del successo e del potere. Siamo partiti dal re che somministra giustizia e sconfigge i nemici (paternalismo del conquistatore pre-romantico) principe che tutte le ragazze vorrebbero sposare (versione romantica). Siamo passati alla regina vittoriana che amministra con efficacia (maternalismo dell'eguaglianza pre-moderna) all'industriale studioso e filantropo che aiuta bambini bisognosi (versione romantica). Siamo giunti al miliardario attuale che sfrutta manodopera a basso costo e si arricchisce inquinando il mondo alla faccia di miliardi di persone che muoiono di fame (il rigetto dell'organo produttivo che ti mantiene in vita e dei medicinali che ti guariscono quando sei malato, come l'idea della morte quando sei giovane: non esiste, non fa paura, è lontana) da affiancare alla (versione romantica) fama da patheon del cantante famoso che si batte per i diritti e contro le malattie, il genio del computer che ha fatto prevalere la propria intelligenza sul mare di desolazione che promana da un'umanità composta quasi del tutto da idioti, consumatori/elettori/soldati utli alla causa che si possono benissimo sacrificare sull'altare di grandi obiettivi. E come la figura del 'ricco' potrei citare molte altre figure, come a estrarre carte da un mazzo di tarocchi: il santo, il furbo, il pedone e la pedina, il malato fisico e il malato mentale, e via dicendo.

Cosa c'entra il viaggio dell'eroe? È la chiave per comprendere tutto quello che vi circonda, ecco cosa c'entra. Perfino le manifestazioni in piazza di chi non trova soddisfacente rivolgersi ai propri rappresentanti eletti democraticamente e preferirebbe una specie di democrazia diretta con voto popolare telematico so ogni singolo provvedimento (non me lo invento, c'è gente che recita il suo credo religioso dentro a chiese laiche di tutti i tipi), oppure che protesta perché non ci sono proposte condivisibili di buon senso oppure perché ci sono proposte che richiedono drastici e rovinosi interventi e vengono o non vengono adottate. Perfino le mode e come la gente si sente è comprensibile leggendolo col filtro del viaggio dell'eroe. Perché da sempre l'uomo imita un modello, lo fa come singolo da quando nasce e lo fa come gruppo quando è adulto. Modelli, ecco cosa offre la cultura, modelli per fabbricare il ricco, il santo, il furbo, istruzioni per costruire un uomo con l'insieme di caratteristiche specifiche in grado di garantirgli la definizione cui ambisce. L'essere umano vuole essere accettato, rispettato, invidiato, desiderato, imitato, osannato, obbedito. Vuole essere nutrito, guarito, salvato, servito. Sono cose che non cambieranno mai.

L'eroe un tempo salvava il villaggio uccidendo cento guerrieri nemici, poi si lasciava uccidere pur di non perdere la propria integrità morale, poi si avventurava nella giungla o altra azione temeraria in nome della scienza, in seguito andava in aiuto dei ribelli o dei rivoluzionari per combattere il potere costituito e provocare la rivoluzione (vista come passo che avvicina a una società ideale, al progresso indirizzato alla perfezione ideale incarnata nel modello capitalismo protestante USA o nell'ormai ex modello comunismo ateo URSS), oggi cos'è l'eroe? Questa è la domanda che vi pongo stamattina. L'eroe descritto nel viaggio, che è poi quello hollywoodiano e disneyano, diventa eroe quando il mondo gli crolla addosso e lui decide di reagire e di vincere a qualsiasi costo. L'eroe dei nostri tempi non si sa cosa fa dopo, quando ha ucciso il mostro, quando torna a casa ferito e con i postumi di una sbronza di adrenalina. Perché è così che vi sentite quando chiudete il libro, finisce il film, si spengono le luci e gli altoparlanti, con gli effetti di un post coito conto terzi, l'immedesimazione da epos e da eros che vi nobilita di rimando, per contaminazione, per aggregazione, per consenso e spirito di partecipazione. Oggi anche gli eroi sono finti, sono eroi di plastica.