Non capisco se c'è la precisa volontà di un manovratore occulto che attua una strategia ben precisa o se non c'è bisogno di coltivare sospetti e basta invece fare riferimento all'emersione naturale di una forma comportamentale del tutto spiegabile e riconducibile a teorie classiche della sociologia. Parlo dell'identificazione di un nemico comune, parlo del gridare “Eccolo, è lui, è tutta colpa sua, prendiamolo e facciamogliela pagare!” Il capro espiatorio in tempi antichi era veramente un capro, un esemplare maschile della capra, un animale vero, in carne e ossa, al quale si appendeva al collo una collana fatta coi peccati singoli e collettivi e lo si mandava a morire di stenti in esilio, nel deserto. Questa cerimonia serviva a dimenticare vecchi torti in una sorta di perdono vicendevole ritualizzato, un segno di pace, serviva anche a esorcizzare le superstizioni, una specie di sacrificio non cruento per placare il cattivo umore di entità soprannaturali. Sembra una storiella degna di un documentario sulle tribù primitive, ma le ripercussioni culturali di quel semplice gesto si ramificano e si fanno imponenti nell'evoluzione del pensiero, nello sviluppo della filosofia nelle varie sottodiscipline umanistiche che studiano l'essere umano al di là del suo corpo materiale.
Periodicamente pare proprio che la gente senta la necessità di scaricare la coscienza della collettività mediante l'individuazione di un capro espiatorio, il caricamento su di esso di tutte le colpe per la sofferenze e le ingiustizie che si riscontrano, quindi l'espulsione dal corpo sociale. Fateci caso, i capri espiatori più o meno vistosi si sprecano nella storia, sia antica che recente – non stiamo nemmeno a citare Gesù, capro espiatorio, fra le altre cose, per eccellenza. Quando c'è qualcosa che ci infastidisce, ci fa arrabbiare, ci fa sentire piccoli e deboli e impotenti, ecco che sentiamo il bisogno sempre maggiore di liberarci, di mettere la maggior distanza possibile fra noi e la causa del nostro malessere. Gli psicologi sono pronti a dirci di stare calmi, che il male è dentro di noi e non è così facile liberarsene, ma un conto è rendersene conto (Froid) e un conto è rifiutare il sollievo che può dare una pratica magica (Jung). Essere convinti di poter trasferire, come fa quel tizio che ho nominato prima, i demoni in un branco di maiali che poi si buttano da soli nel precipizio è come minimo liberatorio. La ricerca di Dio come ricerca della libertà è senz'altro un tema affascinante, ma non è ciò che volevo approfondire oggi.
Fate un rapido controllo: quante volte vi è capitato di sentirvi assolutamente d'accordo con chi accusa e giudica? Gli inquisitori, il terrore come virtù dei sanculotti, i nazisti, gli Hutu in Ruanda, i campi di rieducazione russi e cinesi, la lista potrebbe essere lunga da qui a là e quello che accomuna ogni elemento di questa lista è che la gente, il popolo, era d'accordo, gioia, si esaltava. In seguito si parla di sonnambulismo, di lavaggio del cervello, di una manciata di persone che è riuscita a compiere il male di nascosto, che il popolo non ha reagito perché aveva paura delle conseguenze. E no, cari miei, diciamo la verità: la gente batteva le mani, la gente rideva, sputava addosso la nemico comune (spesso chiamato proprio 'nemico del popolo'), anche quella gente che poi, quandosi chiude la parentesi di follia legalizzata, fa come Pietro e rinnega una, due, tre volte se necessario, dice io no, io non c'ero, e se c'ero non ero d'accordo. Il giudizio è la radice di uno iato profondo dal quale scaturiscono gli esseri mostruosi della sopraffazione, dell'incomprensione, della soppressione e via dicendo. Il giudicare, il cercare pagliuzze e travi, il sentirsi autorizzati a esprimere sentenze, atteggiamento che va dallo spettegolare dal parrucchiere al costruire elaborati j'accuse politici.
Il giudizio è esercizio della ragione e strumento di civile convivenza ma allo stesso tempo è un'arma delicata, che esplode nelle mani di un utilizzatore imprudente. E quando succede non sempre si risolve tutto espellendo dal corpo sociale il bacillo dell'infezione, appendendo per i piedi il suo cadavere in piazza, fucilandolo dopo un processo sommario e gettandolo in una tomba senza nome, condannandolo a passare il resto della sua vita in carcere, obbligandolo a cercare rifugio all'estero. Quando vedo che inizia la caccia la capro espiatorio mi viene sempre il sospetto che ci sia una mano che organizza, una mente che bisbiglia calunnie in orecchie bendisposte all'ascolto, insomma un progetto che mira a stravolgere il mondo perché ha in mente un dopo, perché sa cosa fare quando avrà raggiunto il suo scopo di parare a festa e bandire dal villaggio il capro espiatorio. E invece il più delle volte non c'è una logica, una ragione, è solo il sangue che pompa nelle vene, i demoni che non ci pensano neanche a trasferirsi nei maiali, i difetti di una creatura che ambisce alla perfezione e con le pretese della superbia, da sempre la trappola che il rappresentante dell'avversione si costruisce con le proprie mani, finisce per cadere più in basso di dov'era partita.
Una vicenda triste, se vogliamo, non tanto perché con tutta evidenza è una delle tante prove che dimostrano, se ce ne fosse bisogno, la intrinseca manchevolezza dell'essere umano, la colpa originaria che ci vincola a una vita di sforzi inutili ma comunque necessari a fornire un senso all'esistenza individuale e collettiva. Riassumo il discorso: o c'è qualcuno che davvero briga e manovra per incolpare un innocente e farne un capro espiatorio (è successo molte volte nella storia), oppure non c'è una persona o un gruppo di persone che trama nell'ombra o manifesta apertamente ma si verifica una sorta di moto ondoso nella coscienza collettiva che è come minimo inquietante. Un corollario qui solo abbozzato: è cosa succede dopo? Si aspetta che la situazioni torni favorevole alla cacciata di un nuovo capro? La magia esiste e in questo caso si compie davvero e i problemi si risolvono da soli, l'economia migliora per incanto, la gente diventa improvvisamente buona, gentile, generosa, tollerante, simpatica, intelligente solo perché abbiamo trovato qualcuno da incolpare per come andava il mondo fino a ieri? Quando vi viene voglia di giudicare qualcuno, quando godete nel vedere qualcuno coperto di ignominia, fermatevi a chiedervi se quello che state cercando è l'ennesimo capro espiatorio su cui tirare la neve sporca che tutto noi serbiamo nel profondo.
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