La spiegazione prevalente è che ci sia qualcosa che non va in loro, qualcosa di rotto. Non hanno la forza di combattere e scelgono l'opzione più semplice. Un'altra causa viene indicata nell'espressione di protesta, l'esercizio della richiesta di aiuto nella sua forma può estrema: il rifiuto. Un'altra ragione viene identificata nella soddisfazione di un bisogno di visibilità, di ri-conoscenza, che non può venire soddisfatto in mancanza di un'azione eclatante, degna di venir notata e portata all'attenzione degli spettatori. Un'altra ancora suggerisce l'ambiziosa autoillusione di possibile grandezza che viene instillata nei giovani, quando si rivela un'esca per costringerli all'impegno e sul loro biglietto della lotteria non ci sono i numeri estratti per loro non esiste più futuro.
Oppure la morte come manifestazione artistica per esprimere la padronanza di un senso dell'esistenza altrimenti inesprimibile. Sembrano dirci che hanno capito o capiranno ciò che chi non si toglie la vita non capirà mai. E il fatto di togliersi la vita li libera dal dovere di dimostrarlo, garantendo la vincita a tavolino in un gioco che ha valore solo per chi lo gioca. Quando la complessità dell'essere umano si riduce a un sentimento di inganno l'esito non può che essere l'annientamento per chi non ha nessuna intenzione di lasciarsi truffare.
Questo secondo me val la pena di indagare: l'origine della coltre di finzione che avvolge certi giovani. Siamo ancora in grado di fornire un orizzonte, una prospettiva? O tutto si riduce a riuscire a farsi notare da chi può decidere la nostra vita in un meccanismo che premia la capacità di scendere a compromessi, di svendersi, di perdersi, mettendoti nella condizione di dover scegliere tra l'uccidere la persona che ami o morire entrambi?
Quali sono i giovani che premiamo? Quelli che seguono tutti i consigli della pubblicità? Quelli che fanno più audience? Quelli che hanno saputo crearsi una rete di relazioni sociali dimostrando di essere malleabili e corruttibili? Quelli che hanno il coraggio di compiere azioni così eclatanti da meritarsi titoli in prima pagina? Quelli che guadagnano tanto sfruttando un presunto talento banale e ridicolo?
Inoltre, che tipo di vita attende chi non ce la fa o non accetta le regole? Ha la speranza di trovare un luogo in cui stare e un gruppo di suoi simili? Oppure si sente così solo e diverso da sentirsi in dovere di uscire di scena per non rovinare lo spettacolo? Ha paura di avere davanti giorni tutti uguali fatti di occhiate pietose, sorrisi di scherno e sentimenti elemosinati? Siamo sicuri che non si buttino perché sentono il peso di un interrogativo ma non sanno porre domande come queste nemmeno a se stessi?

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